Un mese fa il conclave eleggeva il Card. Jorge Mario
Bergoglio a vescovo di Roma. Gli rinnoviamo il nostro primo benvenuto,
quello della sera del 13 marzo, con maggior convinzione e con
sentimenti non formali. Il nostro è un atteggiamento ben diverso da
quello che manifestammo il 19 aprile del 2005, quando fu eletto
Benedetto XVI. Il messaggio che arrivava allora dal conclave ci
appariva di “chiusura, di rigidità dottrinale e pastorale ecc…”; la
realtà ha purtroppo confermato quanto temevamo. Ora invece Francesco,
con il nome che si è scelto, con i primi gesti compiuti e le parole
pronunciate, induce a coltivare nuovi sentimenti di speranza e di attesa
fiduciosa. Questi sentimenti ora percorrono ovunque nel mondo il Popolo
di Dio; non sappiamo se altrettanto possa dirsi per tante strutture
ecclesiastiche. Anche molti esponenti di altre Chiese cristiane e di
altre religioni, non credenti o diversamente credenti guardano con
occhi di nuova simpatia a una Chiesa che, al vertice, sembra aver preso
atto della crisi di credibilità di troppe sue situazioni, a partire dal
Vaticano. Tanti di essi hanno avuto l’impressione che ci sia stato uno
scatto di “consapevolezza evangelica” forte e non prevista; per i
credenti la sensazione è quella di una vera illuminazione dello Spirito.
Inattesa e diversa dalle ben note candidature
“continuiste” da noi temute, l’elezione di Bergoglio si è presentata con
i gesti semplici, misericordiosi e benevolenti di un pastore, ben
differenti dalla pesantezza delle precedenti liturgie
monarchico-trionfalistiche e dai continui interventi sul relativismo e
sul rapporto fede/ragione. Questi gesti sono proposti da Francesco come
manifestazione di una Chiesa che deve uscire dalle sue
autoreferenzialità e che si propone di occuparsi delle “periferie
esistenziali” e degli ultimi. Dobbiamo prendere poi atto che l’elezione
di un arcivescovo latino-americano è un esplicito messaggio che
contraddice l’eurocentrismo precedente ed è espressione evangelica di
una Chiesa della periferia, che si propone come povera e dei poveri.
Quello di Francesco è l’atteggiamento pastorale e non dottrinale che
auspicavamo da sempre. Così pure la sottolineatura di Bergoglio di
essere vescovo di Roma che “presiede nella carità”, se gestita in modo
coerente e continuativo, potrebbe avere grandi conseguenze, da una parte
sul piano ecumenico, dall’altra a favore di una gestione più collegiale
della Chiesa. Non ci è poi sfuggita la Lavanda dei piedi durante il
triduo pasquale che, per la prima volta nella storia pontificia, il
nuovo vescovo di Roma ha aperto anche a non cattolici e a due donne.
Vogliamo leggere tale gesto in particolare come segno di un nuovo
atteggiamento nei confronti delle donne e, di conseguenza, come auspicio
per un salutare incremento della presenza femminile nei vari ministeri
ecclesiali e magari anche in Vaticano.
Sarà vera svolta? La aspettiamo, la speriamo, vogliamo
contribuirvi. Queste nostre attese e speranze – lo confessiamo
apertamente – le coltiviamo con un animo sospeso e timoroso. Se
leggiamo le posizioni di Bergoglio come arcivescovo di Buenos Ayres, per
alcuni aspetti ci troviamo in una posizione critica nei suoi confronti.
Anche il fatto che, domenica 24 marzo, non abbia ricordato che quel
giorno era l’anniversario del martirio di mons. Romero ci è dispiaciuto.
Adesso comunque vogliamo guardare avanti, sperando di vedere realizzate
le nostre attese e fugati questi nostri motivi di disagio. In ogni
caso, non vogliamo sopravvalutare i segnali positivi o, al contrario,
sottovalutare le grandi resistenze che probabilmente si opporranno al
possibile nuovo corso da parte di quelle ben consolidate posizioni
curiali, culturali ed anche economiche che sono presenti nella Chiesa.
Siamo anche consapevoli delle forti pressioni esterne, che tenteranno
di condizionare l’azione di Francesco.
E allora diciamo:
— dell’auspicato cambiamento devono essere protagoniste le tante
forze positive presenti nella nostra Chiesa, da tempo attive in
un’azione pastorale inclusiva, nel sociale e in campo ecumenico.
Questo Popolo di Dio, che si richiama soprattutto al Concilio Vaticano
II, non dovrà essere più ostacolato da indebiti interventi, espressi o
inespressi, di una struttura gerarchica che si impone spesso in modo del
tutto autoritario;
—per fare un servizio alla Chiesa noi non potremo e non dovremo
stare zitti, ma continueremo a parlare se questo nuovo corso non
nascerà o andrà troppo a rilento o si insabbierà. Continueremo a
proporre i nostri punti di vista con costanza, con un atteggiamento di
ricerca e di servizio ma anche con più speranze di prima di essere
ascoltati;
—in una crisi economica così pesante in un contesto ormai
globalizzato, l’atteggiamento generale dei credenti nell’Evangelo e dei
pastori che li guidano deve diventare credibile, anche e soprattutto,
per un impegno generalizzato nel mondo a favore della pace fondata sulla
giustizia. Al riguardo facciamo nostri i contenuti conclusivi dell’incontro di sabato 6 aprile a Roma, promosso da movimenti e
riviste di ispirazione “conciliare” sotto il nome di
“Chiesadituttichiesadeipoveri”, a 50 anni da quando papa Giovanni
firmò l’enciclica Pacem in terris.
Infine, mentre rinnoviamo al nostro fratello
Francesco il nostro abbraccio beneaugurante e le nostre preghiere per
il suo ministero, gli rivolgiamo un’esplicita richiesta: si
riapra il dialogo con tanta teologia contemporanea, cancellando tutte le
interdizioni, proibizioni ed esclusioni che, nel corso degli anni,
hanno colpito teologi e pastori che hanno cercato vie nuove per capire e
proporre l’Evangelo. Si realizzi da subito un vero e proprio “anno sabbatico”, un evento di liberazione e di profonda riconciliazione intraecclesiale. La Chiesa, in cammino con il suo vescovo di Roma, ne trarrà grande giovamento.
NOI SIAMO CHIESARoma, 13 aprile 2013
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