martedì 8 dicembre 2020

Patrick Zaki

Patrick Zaki è un cittadino egiziano.

L’Egitto è un paese sovrano.

Perché dovrei chiedere al mio governo

di intervenire per liberarlo?

E poi perché il mio paese dovrebbe fare qualcosa per lui se non sta facendo nulla per ottenere verità e giustizia per il cittadino italiano Regeni? Il buonismo è stucchevole, bisogna essere realisti. L’Egitto è un partner importante, se non facciamo affari con le dittature, ci penseranno altri stati senza scrupoli a farle. Avete sentito cosa ha detto Macron poche ore fa? Nemmeno lui vuole interrompere “i rapporti di dialogo con l'Egitto" ha spiegato, perché “vorrebbe dire influenzare negativamente il paese nella sua lotta al terrorismo”. Le armi all’Egitto servono anche per questo. Per difendere gli egiziani dai terroristi! E visto che noi italiani produciamo armi è bene che siamo noi a vendergliele. Vendere armi e prendere da loro le risorse del sottosuolo è indispensabile per l’Italia. Lo dice pure un intellettuale importante, Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, che “esiste un’importante ragion di Stato (l’Eni…) che invita ad evitare una rottura con l’Egitto”. L’ha scritto poche settimane fa che “E’ assai doloroso dirlo, ma che valgono dunque, se le cose stanno così, le invocazioni «#veritapergiulioregeni» e altre analoghe”?

E infatti dice che bisogna smetterla con questi appelli inutili e ha fatto la “proposta di intitolare al suo nome una via o una piazza in tutti i comuni della Penisola”.

E poi chi mi garantisce che Zaki non sia davvero un terrorista? Se fosse solo un innocuo studente che si batte per degli ipotetici diritti, perché tutti gli altri studenti egiziani che studiano all’estero non vengono arrestati quando tornano in patria per le vacanze? Magari non è un terrorista, ma è possibile che sia una testa calda, un provocatore. Uno che ha passato il segno. Si tratta di uno studente, una persona che ha studiato, dovrebbe saperlo che nel suo paese certi comportamenti sono un reato. E poi ho sentito dire che è un omosessuale. Io non sono gay, ma non ho niente contro i gay. Ho tanti amici gay. Non mi piace quando ostentano la loro diversità, quando fanno le parate con le piume in testa, ma nel loro privato sono liberi di fare quello che vogliono. Sono contrario al matrimonio tra gay, ma per il resto devono avere gli stessi diritti delle persone normali. In Italia è così, ma in certi paesi è un reato. Anche tanta gente di “sinistra” che lo difende dovrebbe saperlo. E dovrebbe ricordarsi che anche in Unione Sovietica era un reato.

Perché nessuno dice niente per i nostri pescatori sequestrati in Libia?

Perché non si stracciavano le vesti per i nostri marò?

Caro lettore, se sei arrivato fin qui e sei d’accordo con quanto hai letto sappi che sei un razzista. Che tra te e i carnefici che sequestrano, torturano, uccidono, che ci guadagnano denaro e potere

l’unica differenza

è che tu

non ci guadagni niente

a essere una carogna.

(Ascanio Celestini)


#FreePatrickZaki

giovedì 3 dicembre 2020

[IRAN] Nasrin Sotoudeh torna in carcere


Come anticipato ieri da diverse Ong, l'avvocatessa iraniana per i diritti umani Nasrin Sotoudeh è tornata in prigione meno di un mese dopo il suo rilascio temporaneo. Deve scontare una pena di 12 anni di carcere. A confermarlo è stato suo marito Reza Khandan: "Nasrin è tornata in prigione", ha detto.

Sotoudeh, 57 anni e vincitrice del premio Sakharov del Parlamento europeo, era stato rilasciata il 7 novembre dopo aver ottenuto un congedo temporaneo ed essere risultata positiva al Covid-19.

L'avvocatessa e attivista è in carcere dal 2018 per aver difeso una donna arrestata per le proteste contro l'obbligo per le donne iraniane di indossare l’hijab. 

All'epoca era stata condannata a cinque anni di carcere in contumacia per spionaggio, ma nel 2019 è stata le sono stati inflitti 12 anni di carcere "per aver incoraggiato la corruzione e la dissolutezza”.

Secondo suo marito, la salute di Sotoudeh si è gravemente compromessa durante la detenzione e a settembre l’attivista ha terminato uno sciopero della fame di 45 giorni che aveva cominciato per chiedere il rilascio dei prigionieri a causa della diffusione  della pandemia di coronavirus nelle carceri.  

Le "autorità giudiziarie hanno insistito perché tornasse oggi" in prigione, ha detto suo marito. L'avvocatessa è risultata positiva al Covid-19 pochi giorni dopo il suo rilascio temporaneo, ha detto Khandan.

Il mese scorso, l'Iran ha registrato quasi 49 mila decessi per coronavirus e oltre 989 mila casi. La Repubblica islamica è il paese più colpito del Medio Oriente.  Da marzo a più di 100 mila detenuti è stata concessa una liberazione temporanea per limitare la diffusione della malattia nelle carceri, molti però sono poi tornati in prigione.