giovedì 15 dicembre 2011

Riflessioni di un antieconomico


Tutti, da Monti a Berlusconi a Prodi, dalla Confindustria ai sindacati, dai neoliberisti ai neokeynesisti, invocano la crescita. Un mantra, un dogma ossessionate, “il mito fondativo – scrive Franco Cassano in La mitezza del male, Laterza, 2011 – dell’ordine simbolico e dell’immaginario della modernità”. Il rimedio universale alle crisi (finanziaria, produttiva, occupazionale, ambientale, climatica, energetica, alimentare, idrica… sistemica) è la crescita economica. Le differenze tra i diversi attori politici è sul come ottenerla, non sulla sua necessità.  Ma domandiamoci cosa significa crescita oggi, nel contesto del market system, dei modi di produzione capitalistici e della competizione senza frontiere.
Semplice: crescita significa aumentare il volume di denaro in circolazione da spendere poi per salari, investimenti, servizi. Vale a dire, il fantomatico Pil. Il denominatore con cui si misura deficit e debito e ogni altra performance economica. L’usuale indicatore del benessere secondo politici ed economisti.
I modi per ottenere la crescita dei flussi monetari in circolazione sono tre (non mi pare ce ne siano altri, ma sono pronto a imparare nuovi giochi di prestigio dagli economisti): aumentare la produzione di merci commerciabili, stampare moneta, ottenere prestiti. Per un paese periferico come l’Italia temo che tutte tre queste strade siano precluse, che non vi siano più margini di manovra. Per le aziende, produrre sempre di più a prezzi sempre più bassi significherebbe vincere la competizione con le “fabbriche del mondo” low cost di Cindia, da una parte, e con i giganteschi complessi industriali e militari che più investono nell’innovazione tecnologica e nella ricerca scientifica, dall’altra.
Creare artificialmente liquidità (come fanno Stati Uniti e Gran Bretagna) non è possibile perché, banalmente, non disponiamo più di una moneta e, se lo facesse l’Unione Europea per noi con l’euro, la sua “divisa” verrebbe inevitabilmente svalutata nelle transazioni internazionali. L’ultima strada, l’indebitamento, ovvero quella percorsa fino ad oggi, non ci è più consentita, semplicemente perché non c’è più nessun “investitore” disposto a prestarci denari se non a interessi usurai e chiedendo in pegno cespiti quali i beni demaniali, la gestione dei servizi pubblici e qualsiasi altro “gioiello di famiglia” ancora non privatizzato.
Mi domando, domandiamoci: vale la pena far lavorare di più e più a lungo un numero sempre minore di persone per meno salario e con meno diritti, lasciando senza lavoro i giovani, indebitando chi verrà dopo di noi per generazioni e svendere i patrimoni pubblici per cercare di inseguire la crescita? Cerco di farmi capire dagli economisti usando il loro linguaggio: il calcolo dei costi/benefici generati dalla spirale debito/sacrifici/crescita è palesemente negativo, contro produttivo e peggiora le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione. Perseverare nel progetto della crescita economica, cioè nel tentativo di aumentare i flussi monetari dentro questo sistema di mercato, è mera follia devastante, autodistruttiva.
Il tema, quindi, dovrebbe essere non come inseguire la chimera della crescita, ma come prendere atto con realismo e umiltà che siamo già entrati nella post growth economy, in una economia-dopo-la-crescita, che non saranno mai più possibili incrementi esponenziali permanenti (un tot all’anno) del Pil. Chi ce lo fa credere ci inganna sapendo di mentire. Tenta solamente di tenerci soggiogati, di spremerci fino all’ultimo centesimo. Il dramma sociale della Grecia, con 100 mila aziende chiuse e un aumento del 40 per cento dei suicidi nel primo semestre del 2011 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, funziona da monito.
Non c’è possibilità di reversione in una economia governata dalle logiche dei mercati finanziari. Da trent’anni siamo entrati nell’economia del debito che si basa sulla anticipazione di flussi di cassa immaginari, ipotetici ma irrealizzabili. Nel “primo mondo” atlantico, i rendimenti finanziari superano quelli realizzati nell’economia reale. Le rendite superano e surrogano i profitti. Scrive Maurizio Lazzarato (La fabrique de l’homme endetté. Essai sur le candition néolibérale. Editions Amsterdam, 2001. Traduzione in “Alfabeta2”, n.15) che il capitalismo finanziario, il sistema del credito è una vera e propria fabbrica dell’uomo indebitato: “La successione delle crisi finanziarie ha fatto emergere violentemente una figura soggettiva che era già presente, ma che occupa ormai l’insieme dello spazio pubblico: l’uomo debitore”. 
Il governo attraverso il ricatto del debito (onora i tuoi impegni o perderai tutto) crea dipendenza, intossica la società e funziona come dispositivo di schiavizzazione.. Le élites al potere economico-finanziario sono così in grado di dettare la loro legge ai parlamenti: remunerare i capitali, pagare i possessori dei titoli del debito, gli investitori, i proprietari dei capitali finanziari.
L’estorsione del valore del lavoro non avviene più fabbrica per fabbrica, ma attraverso il gigantesco, planetario gioco dei mercati obbligazionari: il “Grande Creditore Universale” che manovra un flusso di denaro dalle 8 alle 12 volte maggiore del Pil mondiale. Le regole si sono rovesciate: sono i crediti a fare i depositi; è la moneta (in eccesso) che drena il risparmio.
Tutti siamo diventati debitori, anche chi non ha il mutuo o non usa la carta di credito, a causa del  debito pubblico contratto dallo Stato, dal Comune, dall’istituto di previdenza, dalla azienda municipalizzata, dalla azienda sanitaria, dalla scuola dove va a studiare il figlio e così via. O paghi (riduzione dei salari, delle pensioni e tagli al welfare) o default; niente lavoro, niente servizi. Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia insieme devono al resto del mondo 3.000 miliardi di euro. Solo l’Italia dovrà vendere più di 30 miliardi di euro di nuovi titoli di stato entro la fine di gennaio per rifinanziare i propri debiti. Non c’è nessuna crescita che possa ripagare questi debiti.
E’ giusto mettere in discussione il rapporto di forza e di potere asimmetrico creditore/debitore (audit e rinegoziazione con congelamento dei debiti,  moratoria dei rimborsi, “default controllato”, titoli sovrani riallocati nelle riserve bancarie ope legis, ecc.) fino a rivendicare il “diritto all’insolvenza” a fronte della esosità dei creditori e gridare – come fanno i movimenti degli indignati in tutto il mondo – “non paghiamo noi i vostri debiti”. Ma serve anche mettere in campo una idea di società post-crescita e post-debito, che possa cioè fare a meno di indebitarsi per investire, per produrre, per lavorare, per usufruire di servizi.
Una società che riesca a liberarsi definitivamente dagli strozzini, dall’intermediazione finanziaria parassitaria priva di scrupoli e di rischi è una società che riesce a superare l’economia debitoria. Una società che riconosca anche nel denaro un bene comune, un bene strumentale neutro. La moneta deve tornare ad essere un mezzo tecnico di servizio utile a facilitare gli scambi equi e fiduciari tra le persone, non una merce con cui ci si possa arricchire ai danni dei produttori. Una società in cui anche i mercati tornino ad essere costruzioni sociali, non templi della religione del dio denaro, nient’affatto “liberi” e meno che mai “naturali”. Vanno sottoposti continuamente a regole che ne finalizzino la funzione al bene delle popolazioni, non il contrario.
Non è vero che non esistono alternative. Forme e modalità di relazioni economiche alternative, fuori mercato, possono essere pensate e già ve ne sono. Basti pensare al lavoro domestico e di cura, all’economia informale in tanta parte del sud del mondo e all’autoproduzione, agli ecosystem service che ci vengono donati gratuitamente dalla natura, alla fruizione collettiva, condivisa e compartecipe dei beni comuni. Serve un benessere senza crescita, un’economia del bastevole che sappia soddisfare i bisogni e i desideri di ciascuno con ciò che si ha a disposizione, senza l’assillo dell’accumulazione, dell’accaparramento delle risorse, senza cadere nelle fauci dei detentori dei titoli di credito.

giovedì 24 novembre 2011

Le battaglie per l’acqua dopo il voto referendario

** Quale relazione fra crisi, politiche europee del patto di stabilità e beni comuni **
di Marco Bersani, il Granello di Sabbia

C’entra la battaglia per la ripubblicizzazione dell’acqua con la crisi e con le politiche monetariste della Banca Centrale Europea?
Moltissimo e per diversi motivi.
Il primo dei quali ha a che fare con la risposta che Governo e poteri forti hanno dato alla vittoria referendaria dello scorso giugno. Consapevoli di aver perso il consenso sociale, preoccupati dell’evidente erosione della catena culturale che per più di due decenni ha legato le persone all’idea del pensiero unico del mercato, Governo e poteri forti hanno rilanciato una nuova stagione di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, giustificandola con le risposte da dover dare all’Unione Europea in merito alla riduzione del debito pubblico. La stessa Unione Europea, nell’ormai famosa lettera-diktat, con la quale chiede addirittura modifiche della
Costituzione al nostro Paese, rilancia le politiche liberiste proprio nel senso della svendita del patrimonio pubblico e della messa sul mercato di tutti i beni comuni.
L’operazione ideologica, che sottende a questo perseverare in politiche che sono state la causa stessa della crisi globale, è quella che tenta di far credere, come se fossimo nell’antica Grecia, che esistano nuove divinità impalpabili e inconoscibili - i cosiddetti mercati - che tuttavia provano emozioni: possono dare e togliere fiducia, divenire euforici o collerici, turbarsi. E che alle popolazioni non resti altro che fare continui sacrifici in loro onore, sperando di ingraziarli per suscitare la loro benevolenza o per mitigarne la collera.
Di conseguenza, il voto della maggioranza assoluta del popolo italiano a favore dell’uscita dell’acqua dal mercato e dei profitti dall’acqua non può essere considerato perché cause di forza maggiore, ed indipendenti dalle volontà umane, impongono altre strade e direzioni.

Il secondo motivo sta proprio nella radicalità della battaglia del movimento per l’acqua.
Avendo scelto, con la legge d’iniziativa popolare e con la battaglia referendaria, l’obiettivo strategico di non limitarsi a contrastare le privatizzazioni selvagge cercando di ottenere una riduzione del danno, bensì di disegnare uno scenario di fuoriuscita totale dei beni comuni dalle gestioni attraverso SpA, il movimento per
l’acqua apre nuovi scenari che parlano di nuovo ruolo della fiscalità generale, di necessità di una nuova finanza pubblica, di ridisegno radicale degli enti locali di prossimità, di cultura della democrazia come partecipazione.
Tutti obiettivi che cozzano inevitabilmente con la costruzione di un’Unione Europea che, lungi dall’essere stata pensata come entità politica e culturale, è stata forgiata come spazio monetario con un unico scopo: il consolidamento dei dogmi liberisti, attraverso le politiche della Banca Centrale Europa, finalizzate esclusivamente alla stabilità dei prezzi, all’equilibrio di bilancio e allo stimolo della concorrenza e sottratte, attraverso la totale “indipendenza” dai Governi, a qualsivoglia controllo democratico dei cittadini.
La battaglia per la riappropriazione sociale dell’acqua e dei beni comuni contrata inevitabilmente con il patto di stabilità esterno ed interno, perché è esattamente attraverso questo strumento che si impedisce agli Stati di poter esercitare un ruolo pubblico nell’economia e si costringono gli enti locali al drastico restringimento delle loro funzioni, fino al loro smantellamento definitivo.
Significativa a questo proposito la norma contenuta nell’art. 4 della manovra finanziaria estiva che,  nell’obbligare –nonostante il voto referendario- i Comuni a vendere tutti i servizi pubblici locali, prevede che i ricavi di tali vendite possano essere introitati dai Comuni stessi e spesi per opere che non verranno conteggiate nel patto di stabilità interno (come dire, se vuoi asfaltare una strada o costruire un asilo devi vendere l’acqua o il trasporto pubblico).
Nell’attuale contesto di crisi, ciò che sta succedendo è il trasferimento di un debito del sistema bancario e finanziario agli Stati e da questi ultimi ai cittadini; ovvero, si salvano le banche socializzandone gli oneri e poi si interviene per evitare il default degli Stati con misure di macelleria sociale che mandano in default i
cittadini. Si tratta di una gigantesca trasposizione dal welfare, che aveva caratterizzato, seppur in forme differenti tra loro, tutti i paesi dell’Unione Europea della seconda parte del ‘900, come compromesso sociale tra il capitale e il lavoro, verso un sistema di bankfare, all’interno del quale il ruolo del pubblico diviene
esclusivamente quello di sostenere, a spese dei cittadini, il sistema bancario e finanziario internazionale, causa prima della crisi in atto.
Il risultato è un circolo vizioso grazie al quale il debito degli Stati è notevolmente aumentato proprio grazie al fatto che i governi hanno deciso di accollarsi le perdite del capitale finanziario. 
Ma l’idea di invertire la rotta non sfiora neppur lontanamente i poteri forti politico-economici, tant’è che la linea di “rigore” è stata recentemente rafforzata con alcune misure a livello comunitario, in primis attraverso le sei proposte legislative per il rafforzamento del patto di stabilità, così riassumibili: ulteriore controllo della spesa pubblica, ulteriori restrizioni nei parametri relativi a debito e deficit, obbligo di deposito cauzionale
a garanzia del rispetto delle raccomandazioni, nuove regole di redazione dei bilanci, set di indicatori economici per valutare gli squilibri, ammende in caso di mancato rispetto.
Sono tutte norme conseguenti al nuovo “Patto per l’Euro”, approvato dal Consiglio Europeo il 24-25 marzo 2011 e che prevede obiettivi comuni per tutti i governi, a partire dalla “sostenibilità” della finanza pubblica, con l’ unico scopo di riaffermare il primato dell’impresa e del mercato sui beni comuni, i diritti sociali e del lavoro.  

Che fare, dentro questo quadro?
E’ evidente che per il movimento per l’acqua, dopo la straordinaria vittoria referendaria, si aprono nuovi scenari di lotta. La realizzazione dei risultati referendari, con la ripubblicizzazione di tutte le gestioni dei servizi idrici e la loro gestione partecipativa e senza profitti è senz’altro il primo compito. Da questo punto di vista la mobilitazione per l’approvazione della legge d’iniziativa popolare da una parte e il lancio della campagna
di “Obbedienza civile” per l’autorganizzazione della riduzione delle tariffe in obbedienza al voto del popolo italiano, sono gli obiettivi immediati. Ma possono essere portati a vero compimento solo se collocati in una mobilitazione più ampia che prenda di petto le politiche monetariste dell’UE e liberi un nuovo ruolo del pubblico nella finanza e nell’economia.

Un primo obiettivo non può che riguardare il debito. Un debito che va studiato ed esaminato attraverso la creazione di auditorie popolari che facciano l’anamnesi dello stesso, ne identifichino le responsabilità e ne propongano la drastica riduzione/ristrutturazione sino al suo non pagamento.

Un secondo obiettivo riguarda il controllo dei capitali finanziari, a partire dall’approvazione della FTT, ovvero la tassa su tutte le transazioni finanziarie, sino alla costruzione di condivise politiche fiscali europee.

Un terzo obiettivo deve diventare l’apertura di un fronte per il superamento del patto di stabilità, cominciando a sottrarre allo stesso tutta la spesa rivolta all’accesso ai beni comuni naturali e sociali e all’erogazione e qualità dei servizi pubblici locali.

Infine, la riapertura di uno spazio nuova di finanza pubblica che preveda la risocializzazione del sistema bancario, a partire dalla ripubblicizzazione della Cassa Depositi e Prestiti, il cui capitale pubblico è immenso, ma tutto orientato alla valorizzazione finanziaria e all’investimento in dannose grandi opere.

Con la vittoria referendaria il movimento per l’acqua ha inserito un fortissimo granello di sabbia negli ingranaggi dell’economia liberista, ora si tratta di costruire percorsi, alleanze e intrecci a livello nazionale ed europeo per arrivare tutte e tutti assieme a ingripparne definitivamente il motore. Aprendo un futuro migliore per tutte e tutti.

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giovedì 27 ottobre 2011

Acqua, Napoli ABC


L'APPROVAZIONE DELLA DELIBERA IN CONSIGLIO COMUNALE A NAPOLI

Addio Arin, ora c'è «Acqua bene comune»

Ufficializzata la trasformazione in azienda speciale
di diritto pubblico. Napoli prima a recepire referendum

NAPOLI - Il Consiglio comunale di Napoli ha approvato la delibera che modifica la società Arin spa per la gestione dell'acqua in un'azienda speciale a carattere totalmente pubblico chiamata Acqua Bene Comune Napoli. Si tratta del progetto di trasformazione della ragione sociale dell'Arin auspicato e caldeggiato a lungo negli ultimi anni da tutti i movimenti civici sull'acqua pubblica. Oggi si è concretizzato. Non a caso in aula oggi erano presenti, oltre all'assessore Alberto Lucarelli delegato ai beni comuni, anche alcuni esponenti delle associazioni di cui sopra, come padre Alex Zanotelli, da sempre attivissimo su questo fronte (nelle foto).
Il Comune di Napoli è il primo a rendere concreta la scelta referendaria di giugno (no ai privati nella gestione del ciclo delle acque).
«GRANDE VALENZA POLITICA» - Soddisfatto il sindaco Luigi de Magistris: «Ringrazio innanzitutto chi per primo ha voluto questo e ha ottenuto questo: il movimento per l’acqua pubblica - scrive su Facebook- Qualche mese fa, quando ancora non ero sindaco, firmai quel referendum perché ne comprendevo la valenza anche politica. Ed infondo stiamo andando anche oltre le intenzioni del movimento per l’acqua pubblica perchè ci stiamo occupando di beni comuni e democrazia partecipativa. L'assessorato ad hoc che abbiamo istituito, solo apparentemente può sembrare non avere diretta incidenza politica, perché privo di “portafogli”, ma invece è l'assessorato con maggiore valenza politica della storia di questa amministrazione comunale».
IL FORUM ITALIANO: ALTRE CITTA' SEGUANO ESEMPIO - Il Forum Italiano dei movimenti per l'acqua e il comitato acqua pubblica Napoli esultano. «Si tratta delle prima effettiva attuazione del voto referendario, e della volontà di 27 milioni di cittadini, in una grande città: a Napoli l'acqua torna pubblica. Si compie il primo, storico, passo verso la ripubblicizzazione del servizio idrico nel nostro paese. Ci aspettiamo adesso che tutte le altre città seguano l'esempio napoletano».

RobinTax Campaign

Ti piace l'idea della Robin Hood Tax (la Tassa sulle Transazioni Finanziarie) sostenuta dalla Campagna ZeroZeroCinque e appoggiata dai Gruppi d'Acquisto Solidale?
SantaMoniGAS for the Robin Hood Tax Campaign 
Allora condividi e diffonti l'appello, il G20 è vicino !

Luca

lunedì 24 ottobre 2011

Ciao Enzo, RIP

E’ morto don Enzo Mazzi
Il prete 'contro' che aprì il '68

pubblicata da Informare ControInformando News, FIRENZE, 23 OTTOBRE 2011


E' stato un simbolo, ma avrebbe voluto che la sua morte avvenisse lontano dai riflettori. A sapere che era morto Don Enzo Mazzi, il primo prete che aveva platealmente 'rotto' con le gerarchie ecclesiastiche – o viceversa – sono state solo le persone a lui più vicine. Poi in serata la notizia ha 'bucato' anche quella rete di affettuosa riservatezza.
Per qualcuno era un ''prete contro'', ma ascoltando i membri della Comunità dell'Isolotto non c'è stata altra persona oltre a lui che sia stata così ''per'', e non ''contro''. Soprattutto ''per'' loro e, più in generale, ''per'' gli ultimi.
Don Enzo Mazzi era Enzo e basta, anche prima che quel titolo ecclesiale non gli spettasse più; un rapporto franco e diretto con i parrocchiani, l'attenzione a quell'attualità della fine anni Sessanta fatta di tante contraddizioni anche nella fede, l'impegno quotidiano in uno dei quartieri popolari e periferici di Firenze. Lo stesso impegno che ha mantenuto fino a quando, ormai molto malato le forze glielo hanno consentito.
Ormai da diverso tempo non si svolgono le ''assemblee eucaristiche', come le chiamava lui, in piazza, con i fedeli della Comunità fondata dopo la rimozione da parroco nel 1968 dal cardinale Ermenegildo Florit: spesso sotto il sole o, quando pioveva, sotto le tettoie del mercato del quartiere. Il braccio di ferro con le gerarchie ecclesiastiche cominciò con la lettera di solidarietà agli occupanti del Duomo di Parma. Florit chiese di ritirare quella lettera ma di fronte non si trovo il diniego del riottoso parroco dell'Isolotto, bensi' centinaia di fedeli.
Così il 4 dicembre 1968, tre giorni prima della clamorosa protesta degli studenti davanti alla Scala di Milano e poche settimane prima di una analoga, ma sanguinosa manifestazione davanti alla Bussola di Viareggio, arrivò la rimozione da parroco.
Si susseguirono le manifestazioni di protesta e anche ''sfide'' plateali. Una la ricordava lo stesso Mazzi: ''Quando venne un incaricato del vescovo a chiedermi le chiavi della chiesa dell'Isolotto si trovò davanti a centinaia di persone che tirarono fuori dalle tasche le chiavi delle loro case dicendo 'eccole, sono queste le chiavi della chiesa'. Fu un concerto di chiavi – raccontava Don Mazzi – un concerto meraviglioso''.
''Poi mandarono un povero prete a sostituirmi, un kamikaze – raccontava ancora – che denunciò alcuni fedeli dicendo che gli avevano impedito di celebrare la Messa. Furono allora altre centinaia di persone che si autodenunciarono dicendo: allora lo abbiamo fatto anche noi''.
Da quei momenti ''caldi'' e attraverso i decenni Don Mazzi ha comunque proseguito il suo lavoro pastorale nel mondo delle comunità di base, a partire da quella che si era costituita attorno a lui. I suoi interventi si sono susseguiti anche negli ultimi anni su temi delicati come quello del fine-vita, continuando a segnare e ad animare la discussione tra cattolici e non.
E che il segno sia comunque rimasto lo testimoniano i messaggi ed i commenti di personalità molto diverse tra loro, dal sindaco Matteo Renzi che ne ricorda l'impegno speso per la sua gente fino all'ultimo, all'arcivescovo emerito Silvano Piovanelli che invita alla preghiera e a non giudicare, fino a Don Alessandro Santoro, un altro prete di frontiera considerato in parte un suo 'erede', che ricorda come Mazzi amasse ''il vero Gesu'''.
Domani l'ultimo saluto di preghiera della ''sua'' comunità, quella che tintinnava le chiavi per fargli sentire che era dalla sua parte.

domenica 23 ottobre 2011

GTT, AMIAT, TRM, SAGAT

Ricevo e condivido
Luca


Privatizzazione servizi pubblici locali

Gentili cittadine/i,
scrivo a titolo personale in quanto promotrice, circa un anno fa, dell'appello, al quale avevate aderito, contro la privatizzazione di GTT come servizio essenziale.
Il Comitato informale che allora si era creato attualmente non è più attivo, ma ritengo comunque mio dovere informare che il 7 ottobre scorso la Giunta comunale di Torino ha approvato la delibera (in allegato) nella quale si avvia la privatizzazione di GTT (attualmente il servizio di trasporto pubblico è affidato con gara alla stessa GTT che opera dunque come un privato), AMIAT (attualmente a gestione diretta), TRM (Trattamento Rifiuti Metropolitani, cioè l'inceneritore del Gerbido) e SAGAT (Società di gestione dell'Aeroporto di Caselle), di cui il Comune detiene il 38%.

L'operazione prevede la completa cessione delle quote possedute dal Comune alla Finanziaria Comune di Torino (FCT) che provvederà in seguito alla vendita dal 40% al 49% delle azioni.
FCT sarà trasformata in Holding e scissa in tre società: una Holding (HCT) che si occuperà delle operazioni societarie di AMIAT, TRM e GTT; una società immobiliare per la gestione delle dismissioni immobiliari del Comune; una teza società per gestire le partecipazioni diverse da quelle citate.

FCT è anche autorizzata a vendere le azioni in suo possesso di IREN (circa l'11% del totale delle partecipazioni del gruppo).

La delibera ottempera alla cosiddetta Manovra di Ferragosto, che fissa nuovamente scadenze per la dismissione delle partecipazioni degli enti locali nelle società esercenti servizi pubblici di rilevanza economica diversi dal servizio idrico.

Dato che sia la Manovra (contro la quale vi è attualmente un ricorso in Corte Costituzionale della Regione Puglia) sia la delibera di Torino contravvengono palesemente ai risultati del referendum di giugno, che riguardava tutti i servizi pubblici e non solo il servizio idrico, il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua si sta mobilitando, mentre il Comitato Acqua Pubblica di Torino sta diffondendo un volantino informativo e ha inviato alle/i consigliere/i comunali la lettera in allegato.

Tra le moltissime osservazioni possibili su questa delibera, tengo a osservare che si tratta di una precisa scelta politica della maggioranza che governa il Comune, in piena continuità con la Giunta precedente e in zelante coerenza con le scelte governative senza alcuno spazio per la tutela dei beni comuni. Inoltre il linguaggio e la logica della delibera rivelano una piena sintonia con i metodi e le pratiche di quel sistema finanziario che sta mettendo in ginocchio il mondo intero e che non vorremmo veder imitato da chi governa la nostra città.

La discussione nella Commissione comunale competente avrà luogo venerdì 21 ottobre alle 11.30. Successivamente, se non verrà rinviata, sarà portata alla approvazione del Consiglio Comunale.

Lunedì 24 ottobre dalle 15 alle 18 è previsto un presidio davanti al Comune di Torino indetto da diversi soggetti politici e di movimento, al fine di dare risonanza alla spoliazione delle/i cittadine/i torinesi dei servizi pubblici essenziali a favore di una logica di mercato e di profitto. Non appena sarà pronto, invierò il volantino con la convocazione.

L'intera operazione sta infatti passando sotto silenzio con buona pace di quella partecipazione di cui tanto abbiamo sentito parlare in campagna elettorale.

Pertanto invito coloro che ancora oggi ritengono le privatizzazioni e la finanziarizzazione delle municipalità un danno ai diritti di cittadinanza e ai beni comuni a partecipare al presidio e a diffondere questa mail.

Concludo informando che il sito NonPriviatizziamoGTT sul quale sono pubblicati vari documenti e il testo dell'appello con le firme, era stato oscurato per motivi misteriosi e pertanto ne avevo creato un altro con indirizzo http://www.nonprivatizziamogtt.org/ (più bello). Attualmente il primo sito è misteriosamente ricomparso e i siti con l'appello ora sono due. L'elenco delle/gli aderenti è leggermente diverso perchè avevo dovuto ricostruire l'elenco.

Un caro saluto
Terry Silvestrini


lunedì 3 ottobre 2011

Acqua: Piemonte

Comunicato Stampa

Organizzazione del Servizio Idrico Integrato : Interlocutorio l’incontro tra l’Assessore Regionale alle Risorse Idriche R. Ravello e il Comitato Referendario Piemontese 2 Sì per l’Acqua Bene Comune

L’incontro era stato sollecitato da tempo, in previsione dello scioglimento entro il 31 dicembre 2011 degli attuali Organismi di Gestione del Servizio Idrico Integrato. Nel frattempo la Regione ha predisposto il Disegno di Legge regionale n. 129 “Disposizioni in materia di servizio idrico integrato e di gestione integrata dei rifiuti urbani “ sul quale abbiamo espresso le nostre valutazioni e proposte.

In particolare abbiamo chiesto:
- l’introduzione nel testo di legge del principio, affermato dall’Art. 8 della Legge Galli n. 36/1994, secondo il quale la gestione del Servizio Idrico Integrato si esercita su un territorio corrispondente al bacino idrografico e non a una zona delimitata con criteri amministrativi
- la separazione della legislazione regionale sul Servizio Idrico Integrato da quella sui rifiuti
- l’introduzione nel testo di legge del principio della gestione partecipativa del Servizio Idrico Intergrato. A domanda dell’Assessore abbiamo citato non solo gli esempi più noti (Grenoble, Parigi, Napoli) ma anche l’art. 10 – Governo partecipativo del servizio idrico integrato, della nostra proposta di legge di iniziativa popolare che prevede esplicitamente un ruolo delle Regioni: “… le regioni definiscono, attraverso normative di indirizzo, le forme e le modalità più idonee ad assicurare l’esercizio di questo diritto.”

Ci siamo poi soffermati più a lungo sull’art. 14 che, a nostro avviso, modificando l’art. 13 della Legge regionale n. 13/97, attribuisce alla Regione il potere di stabilire che una quota della tariffa (min. 5%) non è più il corrispettivo (tariffa) del servizio erogato, ma è un prelievo (tributo = tassa) – che solo lo Stato può imporre - destinato a generici capitoli di entrata/uscita del bilancio regionale a fini connessi alla tutela e alla produzione delle risorse idriche ecc.
L’Assessore, nel confermare che sarebbe la Regione a controllare l’impiego di queste risorse destinate alle Comunità Montane, si è riservato di verificare con l’Ufficio Legale della Regione il buon fondamento delle nostre obiezioni giuridico-fiscali.

L’Assessore non ha assunto nessun impegno in merito alle nostre richieste, dichiarando di rimettersi alla volontà del Consiglio Regionale.

E’ infatti questo il secondo passo che compiremo nei prossimi giorni presso i gruppi consiliari regionali e i membri delle Commissioni competenti in materia.

Per il Comitato Referendario 2Sì per l’Acqua Bene Comune
Stefano Breda – Giorgio Gardiol - Ilaria Mardocco – Mariangela Rosolen

Torino, 30 settembre 2011

mercoledì 28 settembre 2011

Acqua: due scenari antitetici

SUD:
 il 23 settembre la giunta del Comune di Napoli ha deliberato per la trasformazione dell'Arin da SpA in Azienda di diritto pubblico, denominata :" ABC Napoli ( ABC sta per Acqua bene Comune)". Delibera a firma dell'Assessore ai Beni Comuni Alberto Lucarelli e dell'Assessore al Bilancio Riccardo Realfonzo.  Un passo in avanti,  più in avanti certamente di altri Comuni d'Italia, che ancora non danno seguito a quanto 27 milioni di elettori hanno espresso, attraverso i referendum, nel giugno scorso, con  il loro " No alle Società di capitali, perché non fanno dell' acqua un bene comune bensì  una merce.  Ora il passo successivo è l'approvazione in Consiglio Comunale, attraverso una delibera che ratifichi questa decisione.
SE TUTTO CIO' ACCADRA', E CI AUGURIAMO AVVENGA QUANTO PRIMA, NAPOLI SARA', COME AUSPICAVAMO DA TEMPO, LA CAPITALE DELL'ACQUA PUBBLICA, traguardo per il quale sin dal 2004 i comitati napoletani per la gestione pubblica si sono battuti.

Comitato Acqua Pubblica Napoli
blogrefacquacampania@gmail.com

NORD:
Oltre al divorzio con i francesi, oltre agli equilibri non sempre facili con i bresciani, sulla scrivania di A2a c'è già il dossier di una super holding del Nord Italia insieme a Iren e Hera. La multiutility, partecipata in modo paritetico da Milano e Brescia (col 27,5%), prima ancora di risolvere definitivamente, nei prossimi giorni, i problemi con Edf per l'uscita da Edison e lo spacchettamento di Edipower, ha già avviato un altro progetto. Allo studio di dirigenti e consulenti - e soprattutto degli amministratori locali del Pd - c'è la creazione di una multiutility del Nord, che nascerebbe dalla fusione tra tre società, A2a, Hera e Iren. Ovvero: Milano e Brescia (che controllano A2a) insieme a Bologna (che controlla Hera), Torino e Genova (che controllano Iren). Un polo energetico pubblico da oltre 11 miliardi di ricavi e oltre 23mila dipendenti, attivo nelle principali regioni del Nord ma in grado di fare shopping anche altrove. Le quote ipotizzate sarebbero, nella bozza allo studio, divise momentaneamente per città di riferimento: il 28% a Milano e Brescia, tra il 9 e il 10% a Torino e Genova, il 20% a Bologna, Reggio Emilia e Parma.
L'obiettivo è dare vita alla prima multiutility del Nord Italia. Dentro A2a ci sarebbero già alcuni consulenti al lavoro per valutarne gli esiti. A tirare le fila dell'operazione sono le città attualmente amministrate da giunte di centrosinistra. In particolare, per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, il sindaco di Bologna Virginio Merola e il sindaco di Torino Piero Fassino, si tratterebbe di un traguardo notevole: mettere insieme un colosso pubblico e gestirlo da subito con i propri uomini.
A livello politico, è soprattutto il Partito democratico a spingere in questa direzione. In una riunione che si è tenuta a Milano una settimana fa, i capogruppo consiliari del Pd delle città del centrosinistra hanno fatto capire che si procede in questa direzione: si è parlato di «reti di municipalizzate», e di «sinergie soprattutto nel settore energetico». A Milano, la capogruppo democratica Carmela Rozza spiega che «bisogna essere cauti, valutare le opzioni e ciò che è meglio fare anche alla luce delle normative introdotte dalla manovra estiva. Tuttavia - dice - è interessante fare rete e sostenersi a vicenda per trovare soluzioni, soprattutto nel campo energetico, ma anche forse per i trasporti».
Il progetto di una grande multiutility sta dunque andando avanti prima di tutto come disegno politico. Un disegno che permetterebbe al centrosinistra di costruire una nuova società pubblica e di gestirla dall'interno, se venisse realizzata in tempi brevi. E in effetti, si dice negli ambienti vicini ad A2a, si parla di un'iniziativa che già tra qualche mese potrebbe concretizzarsi. I più ottimisti parlano di inizio 2012, praticamente in coincidenza con il rinnovo del cda di A2a e la fine del mandato del presidente Giuliano Zuccoli.
Un ruolo di primo piano in questa fase di studio è affidata a Fassino e all'assessore al Bilancio di Milano Bruno Tabacci. Secondo cui, dopo aver risolto il problema del divorzio coi francesi in Edison, A2a dovrà fare un bilancio sulla sua esperienza. Bilancio con cui Tabacci probabilmente vorrà mettere in luce le difficoltà di una doppia guida (nel caso di A2a si parla di Milano e Brescia), oltre che del sistema duale. Suggerendo quindi una guida unica per il nuovo polo, evitando un frazionamento tra i tanti Comuni e un cda con tante rappresentanze che paralizzino le decisioni operative.

Da Torino, intanto, arrivano segnali di interesse. Piero Fassino parlava del progetto già in tempi non sospetti (in campagna elettorale, quando era difficile prevedere la vittoria di Pisapia a Milano, aveva ipotizzato una convergenza tra Iren ed Hera), e anche se nel Pd torinese non tutti sembrano convinti dell'operazione – c'è chi teme un'altra svendita di pezzi pregiati a Milano, come era già accaduto con Intesa-Sanpaolo – tra i manager si guarda al dossier con attenzione: «Premesso che è una scelta che compete agli azionisti – dice l'amministratore delegato di Iren, Roberto Garbati –, da tecnico condivido questo percorso perché si pone in continuità con quanto avvenuto negli ultimi anni». Vale a dire con il percorso compiuto prima con la fusione tra Aem Torino e Amga Genova, da cui era nata Iride, e poi con l'aggregazione con l'emiliana Enìa, che l'estate scorsa ha dato i natali a Iren. Una strada lunga che ha ingarbugliato la matassa della governance, e che la nascita della maxi-holding potrebbe contribuire a sciogliere.

Marco Ferrando Sara Monaci 
L'alleanza di A2a, Hera e Iren.
Il Pd pensa alla megaholding
I Comuni di centrosinistra verso la gestione del nuovo polo
[Il Sole 24 Ore]

sabato 3 settembre 2011

Salviamoci con la Pacha Mama

Un appello alla mobilitazione per la salvezza del pianeta e per la giustizia Ambientale e Climatica. RIGAS, la Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale promuove, aderisce ed invita ad aderire all'appello “Salviamo la Pachamama”, dando seguito a quanto emerso dall'assemblea nazionale Rigas tenutasi durante le giornate di Genova 2011.
Luca

Il testo riporta le proposte ed il percorso dei movimenti italiani verso Durban - Sud Africa, dove si terrà alla fine dell'anno il Forum organizzato dai movimenti sociali di tutto il mondo sulla giustizia ambientale e climatica parallelamente al 17° vertice Onu sui cambiamenti climatici. Nel testo viene riaffermata, dopo i fallimenti clamorosi dei vertici Onu passati, la necessità da parte dei governi di far fronte in maniera concreta all'enorme emergenza ambientale e climatica globale attuale, tutelando il pianeta - la Pacha Mama o Madre Terra, dal processo di progressiva distruzione causato dalla voracità del modello di produzione e consumo capitalista.
Un appello alla mobilitazione dal basso a livello locale, regionale e nazionale, già firmato da rappresentanti di sindacati, associazioni, comitati territoriali, movimenti in difesa dei beni comuni e intellettuali e aperto alle adesioni di tutte le realtà che condividono con la Rete un impegno concreto in difesa della giustizia ambientale e sociale.

* * *
APPELLO

SALVIAMOCI CON LA PACHA MAMA

“Come abbiamo salvato Sorella acqua, così ora dobbiamo salvare Madre Terra”, potrebbe essere lo slogan delle Giornate trascorse a fine luglio a Genova e di quel colorato corteo di oltre 50.000 persone, che ha sfilato per le vie di quella città. Da Genova gridiamo a tutti che la cittadinanza attiva, che i poteri forti avevano tentato di massacrare nelle giornate del G8 del 2001, è più forte e vegeta di allora. Ne è riprova la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua e sul nucleare. Queste giornate genovesi ci hanno aiutato a ritrovarci , a ricompattarci per la grande sfida: salvare Madre Terra.
La comunità scientifica mondiale è concorde nel ritenere che se non ci saranno delle sterzate radicali, la temperatura sul nostro pianeta salirà di i 3-4 gradi. Sarebbe una catastrofe. E i tempi per evitarla sono strettissimi: una decina di anni? Gli esperti ci dicono che per salvarci, dobbiamo tagliare l’80% dell’emissioni di gas serra entro il 2050. E i governi del mondo non ne vogliono sentir parlare, tanto è che hanno fatto fallire tutti i tentativi per trovare una soluzione ,dal Protocollo di Kyoto(1997) alle 16 Conferenze delle Parti (COP) tenutesi tra il 1995 e il 2010. Clamoroso il fallimento della COP 15 a Copenaghen nel 2009 con oltre 15.000 delegati! E lo scorso anno altro fallimento a Cancun, in Messico. Ed ora ci prepariamo alla COP17 che si terrà a Durban, in Sudafrica. Ma le prospettive non sono buone perché i governi sono prigionieri dei potentati economico-finanziari-agroindustriali che traggono enormi profitti da questo Sistema. Ancora più grave è che ora vogliono fare business anche con la crisi ecologica tramite la cosiddetta “green economy”, la geo-ingegneria e le nano-tecnologie.
La Rete per la Giustizia Ambientale e Sociale (RIGAS) riunita qui a Genova, invita tutti a organizzarsi, come abbiamo fatto per l’acqua, a livello locale,regionale e nazionale.
Abbiamo quasi tutti contro, i media, i partiti, i poteri economico-finanziari. Dobbiamo, partendo dal basso, ritornare a parlare alla gente, aiutarla a capire che ora è in ballo il futuro stesso dell’umanità e della nostra Casa Comune: la Terra. Dobbiamo aiutare tutti a comprendere che sono il modello di sviluppo ed il nostro stile di vita due delle ragioni fondamentali del surriscaldamento e del disastro ecologico (il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse a incredibile velocità). Se tutti nel mondo seguissero i precetti e le proposte della governance globale, avremmo bisogno di quattro pianeti Terra in più per far fronte alle risorse necessarie a questo modello di sviluppo ed ai rifiuti che questo stile di vite produce.
Solo se cambieremo il modello e lo renderemo sostenibile, permetteremo a tutti di vivere. La salvezza ed il futuro di molti non dipenderanno certo dalle false soluzioni offerte da BM, multinazionali e governi che maggiormente inquinano. False soluzioni come green economy, “mercato del carbonio”, “Reed+”, introducono l’assurdo principio del ‘diritto ad inquinare’ e finanziarizzano la crisi ecologica per poterci speculare, aumentando il problema invece che risolverlo. Questo mix letale rischia di dare il colpo mortale al nostro ecosistema ed ai diritti di miliardi di persone ed altri viventi sul pianeta Terra.
Per questo come Rete chiediamo a tutti di unirsi, di connettersi, di informarsi e di informare su vari livelli.Livello personale: un cambiamento di stile di vita, più consapevole e sobrio nei consumi, nel lavoro e nel risparmio. Livello locale: spingere affinché le amministrazioni optino per il riciclaggio totale dei rifiuti, dicendo no agli inceneritori, insieme ad un piano energetico basato sul risparmio e l’efficienza. Livello nazionale: lavorare per un Bilancio Energetico Nazionale all’altezza del Piano Europeo che prevede di ridurre di oltre il 30% le emissioni di gas serra entro il 2020. Livello europeo: sostegno al Piano presentato dalla Commissione Europea, che prevede una riduzione per tappe dell’80% delle emissioni di gas serra entro il 2050. Livello globale: un Fondo per le politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici per i popoli del sud del mondo (tra i più colpiti), attraverso il 6% del PIL dei paesi che hanno maggiormente inquinato; il riconoscimento del debito ecologico contratto dai governi del nord del mondo nei confronti del sud del mondo; la tassazione del 20% delle transazioni finanziare;l'attuazione degli impegni assunti dai paesi sviluppati nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici in materia di sviluppo e trasferimento di tecnologie; un meccanismo multilaterale e multidisciplinare per un controllo partecipativo delle scelte; il riconoscimento da parte dei paesi sviluppati dei diritti dei migranti climatici, attraverso la firma di accordi internazionali che contemplino la definizione di migrante climatico. Tutto ciò è fattibile se si pensa che i principali inquinatori della Terrai spendono una cifra maggiore per la difesa nazionale ed hanno destinato una cifra 5 volte superiore per salvare banche e speculatori dalla banca rotta.
Solo un ampio movimento popolare che andrà oltre i divari ideologici, politici, sociali e religiosi, sarà capace di superare questa sfida planetaria.
E’ un momento epocale questo: si tratta di vita o di morte per il Pianeta Terra che non sopporta più le follie di un sistema degenerato e distruttivo. I tempi sono stretti. A dicembre ci attende la COP17 a Durban, in Sudafrica. E a giugno 2012 l’ONU ha convocato tutte le nazioni del mondo a Rio, venti anni dopo la nota Conferenza tenutasi in quella città brasiliana nel 1992. Ce l’abbiamo fatta per l’acqua, ce la dobbiamo fare per salvare la Madre Terra, la Pacha Mama.

RETE ITALIANA PER LA GIUSTIZIA AMBIENTALE E SOCIALE

Primi firmatari:
Alez Zanotelli, Giuseppe De Marzo, Carla Ravaioli, Ugo Mattei, Paolo Cacciari, Anna Pizzo, Francesca Koch, Wilma Mazza, Massimo Torelli, Alessandra Cangemi, Celeste Costantino, Luca Tornatore, Tonino Mancino, Marta Frigo, Marco Bersani, Marco Furfaro, Corrado Oddi, Mimmo Rizzuti, Raffaele K. Salinari, Alessandra Mecozzi, Vittorio Agnoletto, Vittorio Bardi, Antonio Pacor, Tonino Lepore, Beatrice Bardelli, Paolo Di Franecesco, Finella Giordano, Marica Di Pierri, Maria Pia Pizzolante, Nico Disabato, Francesco Benciolini, Roberto Morea, Andrea Del Testa, Laura Greco, Stefano Romboli, Consiglia Salvo, Danilo Chirico, Maria Grazia Campus, Mena Moretta, Patrizia Salerno, Cinzia Di Fenza, Michela Cusano, Ciro Pesacane

Inviare le adesioni all'indirizzo maricadipierri@asud.net

venerdì 2 settembre 2011

Misteri italiani: Graziella De Palo e Italo Toni

Questa estate mi sono portato sotto l'ombrellone "Fratelli d'Italia" di Ferruccio Pinotti (che consiglio a tutti); mi sono imbattuto nella misteriosa e troppo in fretta sopita storia di Graziella De Palo e Italo Toni, due giornalisti scomparsi ormai 31 anni fa a Beirut (proprio oggi, 2 settembre, ricorre l'anniversario del tragico evento), cui viene dedicato un intero capitolo...
[QUI è possibile visionare la puntata de La storia siamo noi di Giovanni Minoli dedicata al tema]

“Chi sa, parli” – Lettera aperta ad Andreotti, Forlani e Colombo di Amedeo Ricucci, giornalista RAI, vuole scuoterci dal colpevole torpore mediatico che ha avvolto sin dall'inizio tutta la vicenda ...
La ripropongo anche sulle pagine del nostro Blog, il cui titolo ancora una volta appare profetico!

Luca

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CHI SA, PARLI
Lettera aperta a GIULIO ANDREOTTI, ARNALDO FORLANI, EMILIO COLOMBO e a tutti gli uomini politici che sanno ma non hanno mai parlato:

Venerdì 2 settembre 2011 è il 31° anniversario della scomparsa a Beirut di Italo Toni e Graziella De Palo. Due giornalisti onesti e senza protezioni, che sono stati inghiottiti nel buco nero della guerra civile libanese, con la complicità attiva e passiva dei nostri servizi segreti dell’epoca, in particolare del SISMI di Santovito e Giovannone. A differenza di altre nazioni occidentali -che hanno smosso mari e monti alla ricerca dei loro desaparecidos in Libano – le autorità italiane non hanno fatto nulla in tutti questi anni per cercare di sapere cos’era veramente successo a Italo e Graziella. Anzi, hanno apposto il segreto di stato sulla vicenda, imponendo così un muro di silenzio e di omertà, che è servito solo a proteggere le nostre presunte relazioni internazionali, a partire dal “Lodo Moro”. Contro questo muro si sono infrante sia le inchieste giudiziarie che gli appelli lanciati a più riprese da familiari, amici e colleghi. 
Eppure, la verità è nota: la conoscono diversi uomini politici che stavano fra i banchi del governo negli anni che vanno dal 1980 al 1984, e voi in primo luogo; voi che della vicenda vi siete occupati, viste le cariche ricoperte, e che con il SISMI avevate rapporti istituzionali continui e precisi. Per questo mi rivolgo a voi, chiedendovi di parlare. Parlate perchè questa triste vicenda possa finalmente chiudersi. Parlate, in nome della giustizia e della verità. 
                                                                                                   Amedeo Ricucci

P.S. Questa Lettera Aperta è stata sottoscritta dalle famiglie di Italo Toni e Graziella De Palo

domenica 28 agosto 2011

Stangata sui referendum: la manovra affossa i Sì

Interessante articolo di Francesco Cundari, (L'Unità, 26.08.2011)
Luca

Il tentativo di affossare il risultato dei referendum sui beni comuni del 12 e 13 giugno non potrebbe essere più esplicito. Approfittando dell’emergenza finanziaria, il governo ha inserito nella manovra norme che sono in palese contrasto con il risultato plebiscitario di appena due mesi fa. Un tentativo dichiarato di forzare ovunque possibile la privatizzazione dei servizi pubblici locali, come se niente fosse, che suscita naturalmente la protesta e la mobilitazione di tutti i movimenti che per i quesiti referendari si sono battuti. A segnalare la violazione della volontà popolare che si è espressa nei referendum di giugno non sono però soltanto i movimenti che li hanno promossi, ma parte significativa dello stesso Pdl.
Nel merito, infatti, la commissione Affari costituzionali ha parlato mercoledì con cristallina chiarezza. Il parere «non ostativo» della commissione sulla manovra del governo è «condizionato» alla riformulazione di una lunga serie di disposizioni contenute nel decreto di ferragosto, a cominciare dall’articolo 4, che «introduce disposizioni volte a liberalizzare i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di creare le condizioni per l’apertura al mercato». I rilievi della commissione In proposito, i rilievi della commissione sono molto precisi: «Appare necessaria, al fine di evitare possibili censure di incostituzionalità e perché sia assicurato il pieno rispetto della volontà popolare, un’attenta verifica della compatibilità di tale nuova disciplina con gli effetti abrogativi prodotti dall’esito di due dei quattro referendum popolari del 12 e 13 giugno 2011 relativi, rispettivamente, alle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito».
Dunque, come ricorda il parere autorevolissimo elaborato dalla commissione Affari costituzionali (e al suo interno proprio dai membri del Popolo della libertà), il primo quesito referendario non riguardava semplicemente l’acqua, ma tutti i «servizi pubblici locali di rilevanza economica».

La lettera del Forum per l’acqua
Non può stupire pertanto la protesta che viene dai promotori dei referendum di giugno. Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha indirizzato una lettera aperta al presidente della Repubblica e a tutte le forze politiche. «Il governo non solo non ha ancora attuato le indicazioni referendarie - si legge nel testo - ma, con la manovra economica in fase di discussione parlamentare... ha riproposto in altra forma la sostanza delle norme abrogate con volontà popolare». Il Forum contesta poi il fatto che «nell’articolo 5 si arrivi a dare un premio in denaro agli enti locali pur di convincerli a lasciare al mercato delle privatizzazioni i propri servizi essenziali per le comunità: un premio che dovrebbe servire per fantomatici investimenti infrastrutturali quando invece ai Comuni vengono sottratti trasferimenti essenziali per le loro funzioni».
Tutto questo, prosegue la lettera, costituisce «una chiara violazione della Costituzione poiché il popolo italiano si è pronunciato con referendum contro l’affidamento al mercato di tutti i servizi pubblici locali previsti dal Decreto Ronchi, e tale decisione è vincolante per almeno cinque anni (come affermato dalla giurisprudenza costante della Corte Costituzionale)».

L’appello dei giuristi
L’appello dei giuristi estensori dei quesiti sui beni comuni, sottoscritto tra gli altri anche da Alex Zanotelli, da Giorgio Airaudo della Fiom e dall’ex magistrato Livio Pepino e dal direttore editoriale del Manifesto Gabriele Polo, ha raccolto in poche ore cinquemila adesioni.
«La lettura della manovra di ferragosto e del dibattito politico che ne ha accompagnato la presentazione - scrivono gli estensori dell’appello - produce una sensazione di profonda preoccupazione in chi ha a cuore la democrazia e i beni comuni». La denuncia del Codacons Dalla parte dei difensori del risultato dei referendum del 12 e 13 giugno si schiera anche il Codacons. «Appare incredibile - scrive in una nota - che il governo, approfittando dell’importanza di una manovra urgente, cerchi di intrufolare una norma palesemente illegale». L’associazione dei consumatori si dice pronta a ricorrere alla Consulta. E ribadisce: «L’articolo sottoposto mesi fa a referendum, il 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 numero 112 riguardava tutti i servizi pubblici di rilevanza economica, non solo quello idrico».

venerdì 12 agosto 2011

Inceneritore del Gerbido

Da http://www.rifiutizerotorino.org/



Buongiorno,
in allegato trovate il nuovo volantino per sensibilizzare le persone al problema dell'inceneritore.

Troverete inoltre un piccolo documento con le principali informazioni su BUGIE e VERITA' sugli inceneritori.

A questo punto se volete contribuire alla lotta contro l'inceneritore è necessario:
- inoltrare questa email a tutti i vostri amici, conoscenti, colleghi... tutta la rubrica che avete nella vostra casella di posta
Con il volantino è necessario:
- stamparlo (fronte e retro), se ne avete l'opportunità. Se non potete stamparlo e vi servono copie cartacee fatecelo sapere che ci organizziamo per farvele avere!
- consegnarlo di persona alle persone che si conoscono, facendo giusto 2 parole sul grave problema dell'inceneritore
- distribuirlo anche alle persone che non si conoscono, cercando di superare un po' la vergogna iniziale. Se provate dopo un po' vedrete che è anche molto soddisfacente, perché al di la di qualcuno che prenderà il volantino guardandovi in malomodo, ci saranno TANTISSIME PERSONE che saranno d'accordo con voi, anzi vi diranno NON POTEVATE MUOVERVI PRIMA ?
NOTA: potete anche affiggerlo nei pressi del quartiere dove abitate, informandovi però prima su quali sono le normative presenti nel vostro comune di residenza per quanto riguarda l'affissione dei volantini

- TUTTE QUESTE OPERAZIONI HANNO LA SEGUENTE FINALITA':

1. FAR SAPERE AI CITTADINI CHE A TORINO C'E' UN GRANDE PROBLEMA, L'INCENERITORE DEL GERBIDO.
Tanti non sanno neanche che si sta costruendo un inceneritore al Gerbido. Noi glielo facciamo sapere. Poi decideranno loro se accettarlo a no.
2. QUANDO TROVATE QUALCUNO CHE CONOSCE IL PROBLEMA ED E' PARTICOLARMENTE INTERESSATO fatevi dare l'email, con il NOME e COGNOME.
In allegato trovate un file excel con un esempio dei dati necessari. In realtà se siete in giro e non avete dietro la tabella fatevi dare almeno la sua email, oppure sollecitatelo a mandare l'email all'indirizzo del volantino (rifiutizerotorino@gmail.com )
In questo modo il nostro gruppo continuerà ad aumentare, a ramificarsi. Basta anche solo che ognuno di noi porti una sola persona nel gruppo e già il gruppo si raddoppia!

Grazie a tutti
NO INCENERITORE - RIFIUTI ZERO
Regola 4R (Riduci, Ripara, Riusa, Ricicla) verso l’obiettivo Rifiuti Zero


NB: i documenti di cui si parla nel comunicato sono scaricabili ai seguenti link:

volantino A5 fronte-retro v10 (pdf)

bugiardino sugli inceneritori (pdf)


tabelle raccolta nominativi (xls)



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SITO INTERNET PER DOCUMENTAZIONE, APPUNTAMENTI, ATTIVITA':
http://www.rifiutizerotorino.org/

ARCHIVIO WEB PER DOCUMENTAZIONE CATALOGATA
(scaricate le cartelle che vi interessano)
http://www.zumodrive.com/share/cQnQODQzYT

ISCRIVITI AI GRUPPI FACEBOOK:
NO INCENERITORE TORINO e ARIA BENE COMUNE
http://www.facebook.com/groups/ariabenecomune?ap=1

domenica 31 luglio 2011

AlReves: i 5 cubani


La verità sequestrata
Il caso dimenticato dei cinque cubani detenuti negli Stati Uniti

E’ notizia di qualche settimana che il Dipartimento di Stato USA ha inserito Cuba - per la trentesima volta - nella sua particolare lista nera degli “Stati patrocinatori del terrorismo internazionale”.
Per tutta risposta, le autorità cubane rimandando le accuse al mittente hanno sottolineato a più riprese come il governo degli Stati Uniti, “che storicamente ha praticato il terrorismo di Stato, le esecuzioni extragiudiziali, i sequestri di persona, gli assassini con aerei non pilotati, la tortura e le detenzioni illegali, che ha stabilito carceri segrete, che è responsabile della morte di centinaia di migliaia di civili innocenti come risultato delle sue guerre di occupazione e di conquista in Iraq e in Afghanistan […]”, non possieda la minima autorità morale per giudicare un paese come Cuba, che è stato ripetutamente vittima di aggressioni illegali e che ha sempre seguito un percorso irreprensibile nella lotta al terrorismo internazionale.
Da parte nordamericana l’obiettivo (mai dichiarato) è sempre lo stesso: giustificare l’anacronistico blocco economico e le politiche restrittive contro Cuba diffondendo false accuse, come la solita “bufala” del terrorismo internazionale, oppure aggrappandosi a pretesti assurdi nel tentativo di gettare discredito sul governo cubano.
Per quest’ultimo, la prova più evidente della doppia morale degli USA è rappresentata dal caso giudiziario dei “Los Cinco”: i cinque informatori cubani condannati per spionaggio e cospirazione, rinchiusi dal 1998 nelle carceri di massima sicurezza dello Zio Sam.

L’accusa.
Dal 1959, anno dell’insediamento della Revolución, ad oggi Cuba ha subito numerosissimi atti terroristici per mano di gruppi paramilitari eversivi - come “Alpha 66” e “Omega 7” - che operano indisturbati in Florida e che notoriamente sono finanziati dalle lobbies anticastriste e dalla Cia.
Nel settembre del 1998, al momento del loro arresto, i cinque agenti dell’intelligence cubana Antonio Guerrero, Fernando Gonzalez, Gerardo Hernandez, Ramon Labaniño e René Gonzalez stavano operando in territorio statunitense come infiltrati per scoprire i piani contro Cuba, messi a punto dai gruppi anticastristi di stanza a Miami.
L’arresto, eseguito dal FBI, avvenne poco tempo dopo l’abbattimento di due velivoli di “Hermanos al rescate” (un’organizzazione eversiva composta da esiliati cubani con base a Miami) da parte dell’aviazione militare cubana. I due aerei, che secondo fonti cubane stavano sorvolando lo spazio aereo dell’isola senza essere autorizzati, poterono essere intercettati grazie alle informazioni passate dai cinque agenti cubani. E per questo il principale accusato, Gerardo Hernandez, è stato giudicato direttamente responsabile dell’abbattimento dei due aerei e condannato a due ergastoli.
Il governo degli Stati Uniti accusò prontamente tutti e cinque gli agenti di “spionaggio e cospirazione per conto di una nazione straniera” - in realtà, i capi d’accusa contestati ai cinque furono, in tutto, ben 24 -, mentre quello cubano si difese sostenendo di aver inviato negli Usa i cinque unicamente con l’ordine di infiltrarsi tra le file dei gruppi terroristici anticubani, allo scopo di ottenere informazioni utili circa le loro attività terroristiche.

Il giudizio.
Il processo contro i Cinque Cubani, cominciato a Miami nell’autunno del 2000, si concluse nel giugno 2001 dopo 7 lunghi mesi di dibattimento. Nelle udienze sono comparsi più di 70 testimoni e sono stati presi in esame più di un centinaio di dossier contenenti trascrizioni e documenti probatori, compresi 15 volumi con le narrazioni dei fatti.
Alla fine, la condanna più pesante (due ergastoli) toccò a Gerardo Hernandez; Guerrero e Labaniño ricevettero anche loro l’ergastolo, mentre Fernando e René Gonzalez furono condannati rispettivamente a 19 e a 15 anni. In tutti e cinque i casi fu inflitta la massima pena per quel genere di reati.
In seguito alle vibranti proteste giunte non solo da parte cubana ma anche da numerosi ambienti politico-culturali e dell’opinione pubblica internazionale, nell’agosto 2005 l’undicesimo tribunale della Corte d’Appello di Atlanta sospese le condanne, ordinando l’esecuzione di un nuovo processo.
Ma appena un anno dopo - a sorpresa - la stessa Corte, sovvertendo la decisione della precedente sentenza, confermò tutte le condanne della Corte di Miami e mise il sigillo finale a questo singolare caso giudiziario, nonostante l’aperta opposizione di due dei suoi membri, i giudici Byrch e Kravitch, secondo i quali “si è trattato di un caso d’eccezione nel quale si doveva imporre un cambio di sede [il trasferimento del processo dalla sede di Miami, ndr], dovuto al pregiudizio latente nella comunità di Miami che rende impossibile la composizione di una giuria imparziale”*.

Le conclusioni.
In spregio alle garanzie legali sancite dal diritto statunitense e da quello internazionale, i cinque cubani sono stati sottoposti ad un processo iniquo ed imparziale nella città dove impera la mafia d’origine cubana, la stessa che ha avuto buon gioco “nello scatenare una violenta e fallace campagna propagandistica per manipolare l’opinione pubblica di Miami e la giuria del tribunale, cosa che è stata ripetutamente denunciata dagli avvocati della difesa”.**
Dalla data del loro arresto sono passati più di dodici anni, e tuttavia i “Cinque Cubani” godono attualmente del sostegno di innumerevoli associazioni e di gruppi di solidarietà in tutto il mondo: tra le personalità più influenti c’è il presidente dell’Assemblea Generale dell’ONU, Miguel D’Escoto, che ha sempre denunciato la loro detenzione come “ingiusta ed illegale”.
L’ultima voce levatasi a difesa dei cinque informatori è quella del Senato belga che, in seguito all’infaticabile opera di sensibilizzazione del “Comitato belga per la liberazione dei Cinque”, ha recentemente approvato una risoluzione che esige dal governo statunitense “un intervento immediato per ottenere la scarcerazione dei cinque detenuti cubani”.   

Andrea Necciai

Note: *es.wikipedia.org/Los cinco cubanos presos en los Estados Unidos. **www.freeforfive.org/es/thefive.