giovedì 1 luglio 2004

AlReves: Centroamerica


Il Centroamerica nel mirino delle “tre pi”.

 Nel giugno 2002, al termine di un vertice tra alcuni funzionari della Banca Mondiale e i presidenti delle nazioni centroamericane, il premier messicano Vicente Fox annunciava ufficialmente l’esistenza del Piano Puebla Panama (PPP). Basato su uno stanziamento di circa 12-15 miliardi di dollari, questo progetto ciclopico ha in cantiere la costruzione del cosiddetto “canale asciutto”, comprendente 288 chilometri di nuove autostrade e ferrovie, oleodotti, porti, aeroporti, 25 dighe per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica, e una fitta rete di maquiladoras (le fabbriche subappaltatrici e sfruttatrici di mano d’opera a bassissimo costo).
Secondo la volontà dei suoi artefici (capi di governo interessati e fameliche multinazionali) e delle banche finanziatrici, tutta la zona mesoamericana sarà coinvolta in un immenso cantiere a cielo aperto: dai nove stati che compongono il sud-est messicano fino allo stretto di Panama, passando attraverso i sei paesi dell’America Centrale (Belize, Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua e Costa Rica). Dunque, un’area geografica sconfinata in cui vivono - o per meglio dire sopravvivono a malapena - 65 milioni di abitanti (28 milioni di messicani e 37 milioni di centroamericani), con un tasso di povertà del 75% frutto di politiche economiche fallimentari che, da quarant’anni a questa parte, “cercano solo di [...] rafforzare l'economia capitalistica senza alcuna considerazione sociale o ecologica”.
E’ utile ricordare che, dopo il progetto di “Alleanza per il progresso” sostenuto dagli Stati Uniti all'inizio degli anni '60, “decine di piani ufficiali hanno cercato di risolvere la piaga del sottosviluppo. Malgrado ciò, il numero di poveri è continuato ad aumentare in questa regione come nel resto dell'America Latina.” *
Il PPP si inserisce a pieno titolo nel contesto dei trattati di libero commercio - tanto cari agli Stati Uniti - e ne diventa, anzi, premessa essenziale per la loro realizzazione, in quanto il flusso mercantile su terra da e verso il canale di Panama (il vero “perno” dell’integrazione del Centroamerica nell’economia globalizzata) necessita di una rete viaria e infrastrutturale molto più efficiente di quella attuale. Ancora una volta, sull’altare del progresso economico saranno sacrificati migliaia di indigeni, le cui comunità dovranno accettare - di buon grado o con la forza - lo sfollamento dalle loro terre d’origine interessate al progetto, oppure diventare carne da macello per le maquiladoras in cambio di salari da fame; “quattromila di queste fabbriche sono già presenti sul territorio messicano (la stragrande maggioranza in prossimità della frontiera con gli Stati Uniti). Ma sono molto presenti anche in America Centrale”. *
In Messico, Rocio Ruiz, sottosegretario per il commercio interno presso il Ministero dell'Economia, conferma cinicamente il motivo per cui queste maquiladoras sono ormai costrette a stabilirsi a Oaxaca, in Chiapas e più in generale nel sud-est: «nel nord si paga un salario due o tre volte più alto; di conseguenza non siamo più competitivi per questo tipo di impresa». E sempre nell’ambito del PPP, allo scopo di rafforzare le garanzie per gli investitori stranieri, peraltro già inserite nel precedente Accordo di Libero Scambio dell’America del Nord (NAFTA), il governo messicano sembra orientato ad introdurre ulteriori incentivi “in termini di esoneri fiscali e di sicurezza”.
Più a sud, oltre il Messico, negli altri Paesi coinvolti nel PPP la situazione non è meno drammatica. Pressoché tutti i governi locali puntano a sedurre gli investitori stranieri - ma soprattutto le compagnie nordamericane -, accelerando i processi di privatizzazione dei servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti, sicurezza sociale, erogazione dell’acqua) e mettendo in atto l’esproprio dei terreni edificabili. Il modello ultraliberista al quale si ispirano - in fatto di sfruttamento umano e dell’ecosistema - presenta evidenti analogie con quello delle “tigri asiatiche”.
Parallelamente all’avanzamento di tali progetti, si moltiplicano però le mobilitazioni e le proteste di sindacati e movimenti della società civile.
Già nel 1984, l'Istituto per l'Ecologia Culturale dei Tropici si era opposto alla costruzione del complesso di dighe sul fiume Usumacinta (al confine tra Messico e Guatemala), riuscendo infine a scongiurarne i pericoli anche grazie ad un appello mondiale: “esprimiamo la nostra profonda preoccupazione sul progetto delle dighe, perché pensiamo costituisca una grave minaccia per la popolazione, per le località archeologiche Maya di valore mondiale, per i boschi tropicali e per la diversità biologica del Guatemala".
In effetti, secondo le stime del Piano Nazionale dal nome altisonante “Messico Terzo Millennio”, le inondazioni della conca dell’Usumacinta coinvolgerebbero ben 72.500 ettari di terre indigene e selva, nella regione di Ocosingo (Chiapas) e Petén (Guatemala), con danni incalcolabili all’ambiante e agli abitanti del luogo. “Oltre all'impatto irreversibile a livello ecologico sul poco che resta delle selve mesoamericane, lo spostamento di abitanti indigeni e quindi il loro impoverimento avverrà nel quadro di una maggiore presenza militare nella regione”. Questo assicurerà che il progetto possa essere concesso a stranieri attraverso il Guatemala, in concreto alla multinazionale spagnola Union Fenosa, padrona della società DEORSA “che possiede il monopolio del servizio di erogazione dell'energia elettrica nel nord del Guatemala, caratterizzato da un cattivo servizio ai clienti, da frequenti interruzioni della fornitura e alti prezzi al consumo”. **
Naturalmente, quello appena citato è solo un minuscolo frammento del megaprogetto allo studio di un esercito di burocrati statali e funzionari di grandi compagnie transnazionali, perennemente a caccia d’affari. Il timore è che, con il PPP, si stia per aprire un nuovo - e orrendo - capitolo dell’era della ricolonizzazione del Nuovo Mondo.
(Chile)


 

Note:
* “Il Piano Puebla Panama, nuova trappola per l’America Latina” di Braulio Moro.
** “Chiapas al dìa”, Bollettino n° 301 del 12/08/2002 (Ciepac, Chiapas – Messico).