Il Centroamerica nel mirino delle “tre pi”.
Nel giugno 2002, al
termine di un vertice tra alcuni funzionari della Banca Mondiale e i presidenti
delle nazioni centroamericane, il premier messicano Vicente Fox annunciava
ufficialmente l’esistenza del Piano Puebla Panama (PPP). Basato su uno
stanziamento di circa 12-15 miliardi di dollari, questo progetto ciclopico ha
in cantiere la costruzione del cosiddetto “canale asciutto”, comprendente 288
chilometri di nuove autostrade e ferrovie, oleodotti, porti, aeroporti, 25
dighe per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica, e una fitta rete di maquiladoras
(le fabbriche subappaltatrici e sfruttatrici di mano d’opera a bassissimo
costo).
Secondo
la volontà dei suoi artefici (capi di governo interessati e fameliche
multinazionali) e delle banche finanziatrici, tutta la zona mesoamericana sarà
coinvolta in un immenso cantiere a cielo aperto: dai nove stati che compongono
il sud-est messicano fino allo stretto di Panama, passando attraverso i sei
paesi dell’America Centrale (Belize, Guatemala, El Salvador, Honduras,
Nicaragua e Costa Rica). Dunque, un’area geografica sconfinata in cui vivono -
o per meglio dire sopravvivono a malapena - 65 milioni di abitanti (28 milioni
di messicani e 37 milioni di centroamericani), con un tasso di povertà del 75%
frutto di politiche economiche fallimentari che, da quarant’anni a questa
parte, “cercano solo di [...] rafforzare l'economia capitalistica senza alcuna
considerazione sociale o ecologica”.
E’
utile ricordare che, dopo il progetto di “Alleanza per il progresso” sostenuto
dagli Stati Uniti all'inizio degli anni '60, “decine di piani ufficiali hanno
cercato di risolvere la piaga del sottosviluppo. Malgrado ciò, il numero di
poveri è continuato ad aumentare in questa regione come nel resto dell'America
Latina.” *
Il
PPP si inserisce a pieno titolo nel contesto dei trattati di libero commercio -
tanto cari agli Stati Uniti - e ne diventa, anzi, premessa essenziale per la
loro realizzazione, in quanto il flusso mercantile su terra da e verso il
canale di Panama (il vero “perno” dell’integrazione del Centroamerica
nell’economia globalizzata) necessita di una rete viaria e infrastrutturale
molto più efficiente di quella attuale. Ancora una volta, sull’altare del
progresso economico saranno sacrificati migliaia di indigeni, le cui comunità
dovranno accettare - di buon grado o con la forza - lo sfollamento dalle loro
terre d’origine interessate al progetto, oppure diventare carne da macello per
le maquiladoras in cambio di salari da fame; “quattromila di queste
fabbriche sono già presenti sul territorio messicano (la stragrande maggioranza
in prossimità della frontiera con gli Stati Uniti). Ma sono molto presenti
anche in America Centrale”. *
In Messico, Rocio Ruiz, sottosegretario per il
commercio interno presso il Ministero dell'Economia, conferma cinicamente il
motivo per cui queste maquiladoras sono ormai costrette a stabilirsi a
Oaxaca, in Chiapas e più in generale nel sud-est: «nel nord si paga un salario
due o tre volte più alto; di conseguenza non siamo più competitivi per questo
tipo di impresa». E sempre nell’ambito del PPP, allo scopo di rafforzare le
garanzie per gli investitori stranieri, peraltro già inserite nel precedente
Accordo di Libero Scambio dell’America del Nord (NAFTA), il governo messicano
sembra orientato ad introdurre ulteriori incentivi “in termini di esoneri
fiscali e di sicurezza”.
Più a sud, oltre il Messico, negli altri
Paesi coinvolti nel PPP la situazione non è meno drammatica. Pressoché tutti i
governi locali puntano a sedurre gli investitori stranieri - ma soprattutto le
compagnie nordamericane -, accelerando i processi di privatizzazione dei
servizi pubblici (sanità, istruzione, trasporti, sicurezza sociale, erogazione
dell’acqua) e mettendo in atto l’esproprio dei terreni edificabili. Il modello
ultraliberista al quale si ispirano - in fatto di sfruttamento umano e
dell’ecosistema - presenta evidenti analogie con quello delle “tigri
asiatiche”.
Parallelamente
all’avanzamento di tali progetti, si moltiplicano però le mobilitazioni e le
proteste di sindacati e movimenti della società civile.
Già nel 1984, l'Istituto per
l'Ecologia Culturale dei Tropici si era opposto alla costruzione del complesso
di dighe sul fiume Usumacinta (al confine tra Messico e Guatemala), riuscendo
infine a scongiurarne i pericoli anche grazie ad un appello mondiale:
“esprimiamo la nostra profonda preoccupazione sul progetto delle dighe, perché
pensiamo costituisca una grave minaccia per la popolazione, per le località
archeologiche Maya di valore mondiale, per i boschi tropicali e per la
diversità biologica del Guatemala".
In effetti, secondo le stime del
Piano Nazionale dal nome altisonante “Messico Terzo Millennio”, le inondazioni
della conca dell’Usumacinta coinvolgerebbero ben 72.500 ettari di terre
indigene e selva, nella regione di Ocosingo (Chiapas) e Petén (Guatemala), con
danni incalcolabili all’ambiante e agli abitanti del luogo. “Oltre all'impatto
irreversibile a livello ecologico sul poco che resta delle selve mesoamericane,
lo spostamento di abitanti indigeni e quindi il loro impoverimento avverrà nel
quadro di una maggiore presenza militare nella regione”. Questo assicurerà che
il progetto possa essere concesso a stranieri attraverso il Guatemala, in
concreto alla multinazionale spagnola Union Fenosa, padrona della società
DEORSA “che possiede il monopolio del servizio di erogazione dell'energia
elettrica nel nord del Guatemala, caratterizzato da un cattivo servizio ai
clienti, da frequenti interruzioni della fornitura e alti prezzi al consumo”.
**
Naturalmente, quello appena
citato è solo un minuscolo frammento del megaprogetto allo studio di un
esercito di burocrati statali e funzionari di grandi compagnie transnazionali,
perennemente a caccia d’affari. Il timore è che, con il PPP, si stia per aprire
un nuovo - e orrendo - capitolo dell’era della ricolonizzazione del
Nuovo Mondo.
(Chile)
Note:
* “Il Piano Puebla Panama, nuova
trappola per l’America Latina” di Braulio Moro.
** “Chiapas al dìa”, Bollettino n°
301 del 12/08/2002 (Ciepac, Chiapas – Messico).
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