Nicaragua: vita e morte del sandinismo.
Nella regione montuosa di Las
Segovias (Nicaragua nordoccidentale) sorge, abbarbicato su un cerro,
il piccolo villaggio di Niquinohomo (letteralmente “valle del guerriero”, nella
traduzione castigliana). Da questa sparuta località ha origine il mito di una
delle più originali ed affascinanti figure rivoluzionarie dei movimenti di
liberazione dell’America Latina: il suo nome era Augusto Cesar Sandino.
Relegato dalla storiografia ufficiale a semplice attore
della rivoluzione marxista del primo novecento, Sandino - il “generale degli
uomini liberi”- incarna in realtà il simbolo della lotta armata contro gli
invasori yankees, accorsi sul suolo
nicaraguense unicamente per salvaguardare i propri interessi economico-militari.
Senza rifarsi chiaramente a nessuna delle ideologie
novecentesche (tanto meno a quella comunista), egli sognava un’America Latina
“unita sotto un'unica bandiera”. Il suo modesto esercito, un singolare amalgama di contadini, patrioti e
prostitute, dopo i primi insuccessi militari riuscì a prevalere su un nemico
più numeroso e meglio equipaggiato, costringendo alla fine i marines
statunitensi a ritirarsi definitivamente dal Nicaragua (1933). Correvano gli
anni della Guerra Costituzionalista, combattuta tra i conservatori legati ai
privilegi dell’aristocrazia terriera e la schiera dei liberali in lotta per
l’autodeterminazione del popolo e per l’indipendenza dall’autorità
statunitense.
Gli Stati Uniti iniziarono ad interferire nella politica
interna del Nicaragua già dal 1909, provocando la caduta dei governi liberali e
favorendo l’instaurazione di regimi autoritari (come quelli di Adolfo Diaz e di
Somoza), la cui funzione repressiva era esercitata dalla Guardia Nazionale e
dal Corpo dei Marines. Gradualmente, attraverso un astuto sistema di prestiti
bancari, il governo della Casa Bianca cominciò a prendere “in garanzia” il
controllo della dogana, delle ferrovie nazionali e dei trasporti del Lago
Grande, “indeciso se costruire o no un canale tra i due oceani, mentre si
verificava la capacità di quello di Panama”. Il canale - dopo tutto - non fu
mai realizzato, ma l’occupazione militare Usa durò lo stesso più di vent’anni.
Oggi, a settant’anni dalla morte
di Sandino e a più di venti dall’affermazione del primo governo popolare
sandinista, il fragile stato centroamericano si trova sempre più alla mercé del
capitale straniero che controlla ormai buona parte del settore bananiero e
della produzione del caffè.
Nonostante l’economia sia cresciuta negli ultimi otto anni del 13%, la
popolazione è aumentata del 24 %, il che significa una diminuzione del 9% delle
entrate per persona. Se a questo si aggiunge la chiusura della banca statale,
che avrebbe dovuto essere il motore finanziario dello sviluppo dei piccoli e medi
produttori, la mancanza di una politica di sostegno al settore produttivo,
l’abbandono totale dei servizi nelle campagne da parte delle istituzioni
pubbliche, bisogna per forza ammettere che la situazione economica della
maggior parte del popolo nicaraguense è disperata.
Secondo gli ultimi
dati a disposizione, “l’82% della popolazione vive in condizioni di povertà e
il 44% in condizioni di estrema povertà, il che significa sopravvivere con un
dollaro o meno al giorno. Il settore rurale presenta un tasso di analfabetismo
del 40%; la sanità è privatizzata e negli ospedali vengono consegnate ai malati
le ricette perché si procurino le medicine da soli; ci sono circa 500.000
giovani in età scolare che non fanno niente e altri 260.000 che lavorano e non
studiano.”
Cosa è mancato,
dunque, nell’esperienza della rivoluzione popolare sandinista degli anni 80 che
ebbe comunque il merito ripristinare le libertà fondamentali nel Paese?
Tra gli interventi rimasti incompiuti, c’è al
primo posto quella riforma agraria che avrebbe dovuto consentire una più equa
distribuzione della terra. In secondo luogo, il sandinismo non è stato capace
di conservare le ricchezze strategiche del paese - le risorse agricole sono
cadute via via nelle mani delle multinazionali -, penalizzando di conseguenza
lo sviluppo, il sistema scolastico, le pensioni, la salute, l’educazione per
tutti. E’ un fatto ormai che “molti obiettivi della rivoluzione sono stati
cancellati dalla storia e di loro non rimane niente: dai forti investimenti sul
sistema educativo e sanitario al tentativo di aumentare il livello di reddito
dei nicaraguensi.” *
Il fallimento delle politiche sociali si
somma al declino della sinistra istituzionale, logorata da lotte intestine e
scissioni, come quella che portò alla nascita del Movimento di Rinnovamento
Sandinista.
La principale forza di opposizione, il Frente
Sandinista de Liberacion Nacional, si dimostra oggi un partito “chiuso”, più
interessato - forse - alla difesa delle porzioni di potere fin qui conquistate
che alla costruzione di alternative concrete alla politica liberista del
governo Bolanos. Negli ultimi anni, il consolidamento della leadership
di Daniel Ortega, guida storica del FSLN e più volte candidato alla presidenza,
ha lasciato poco spazio alle spinte di rinnovamento - interne al movimento e
allo stesso partito - per degenerare, infine, in una sorta di caudillismo
che alimenta inutili personalismi ed impoverisce i contenuti del confronto
politico.
Sull’altro versante, l’attuale presidente
Bolanos - esponente del Partito Liberale - si è rivelato nella gestione del
potere un degno erede del suo predecessore Arnoldo Aleman. Quest’ultimo, come aveva già fatto Somoza in precedenza, trasformò il
Nicaragua in un suo personale feudo; e persino l’opposizione sandinista aveva
trovato la maniera di scendere ad accordi con lui per una spartizione indolore
del potere. “El Pacto” fu sottoscritto nel gennaio del 2000 e aveva in pratica
diviso tutti i poteri dello Stato tra gli uomini dei due partiti, PL ed FSLN,
con una tacita intesa di non aggressione. Si era trattato di una decisione
molto discussa, soprattutto perché, per mezzo di una legge votata dai due
schieramenti, erano stati sciolti tutti gli altri partiti d’opposizione.
Nonostante la caduta di Aleman,
uscito di scena di recente dopo le condanne per corruzione, la via del
compromesso “scellerato” tra i due maggiori partiti continua a polarizzare lo
scenario politico nicaraguense e l’immobilismo che ne consegue non aiuta certo
lo sviluppo economico ed il progresso sociale di cui il Paese ha estremo
bisogno.
Frattanto, le strutture di governo devono
confrontarsi con la crisi del settore agricolo, seriamente danneggiato dalla
caduta del prezzo del caffè di esportazione (-64% in soli due anni), effetto
provocato dall’immissione sul mercato del caffè del Vietnam (nuovo ed acerrimo
concorrente dei paesi latinoamericani).
(Chile)
* Intervista a Sergio
Ramirez Mercado, fondatore del Movimiento de Renovacion Sandinista (MRS).
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