La guerra perpetua degli Usa
Chiuso il doloroso capitolo della guerra irachena con il suo
stillicidio di lutti e devastazioni “umanitarie”, ci si avvia verso un periodo
di normalizzazione caratterizzato dalle rinnovate velleità imperialiste degli
Stati uniti.
Intanto l’amministrazione Bush incassa soddisfatta il premio
per i suoi successi militari, ottenuti contro un esercito di straccioni
surclassati numericamente e tecnologicamente dalla potenza di fuoco degli
alleati. Esultano petrolieri e guerrafondai e c’è già chi pregusta il boccone
più appetitoso: la gestione degli appalti per la ricostruzione già assegnati
alle imprese più meritevoli, quelle legate cioè – neanche a farlo apposta –
agli ambienti della Casa Bianca.
Il torbido intreccio di affari e politica è sufficiente da
solo a spiegare i veri motivi dell’intervento armato Usa in Afghanistan e Iraq.
Smascherato il “casus belli” di tutta l’operazione, ovvero il controllo diretto
delle risorse energetiche (petrolio e minerali) nel Golfo Persico, l’argomento
della lotta al terrorismo diventa un mero pretesto per mascherare la pratica
della guerra imperialista.
Per giunta, le mire espansioniste nordamericane raggiungono
il loro apice proprio nel momento in cui il treno dell’economia Usa subisce un
brusco rallentamento e il sistema finanziario mondiale inizia a scricchiolare
sotto i colpi degli scandali conseguenti alla bancarotta di colossi come la
Enron e la Worldcom. Sull’argomento riportiamo un breve frammento
dell’intervento di Giulietto Chiesa alla conferenza tenutasi a Bastia Umbra,
pochi mesi fa, alla vigilia della guerra in Iraq.
“Questa Enron aveva due caratteristiche
"divertenti": era il più grande gigante energetico del mondo e la
settima impresa mondiale nella graduatoria. Se crolla una cosa di questo
genere, che era nell'elenco dei primi 100 potenti del mondo, è come dire non
tanto che sono state messe sul lastrico circa 50 mila persone a cui hanno
rubato anche le pensioni, ma è come se ci dicessero che il Belgio è affondato,
sparito. Nel 2001 l'intero gruppo dirigente della Enron si è portato via
qualcosa come 1.000 miliardi di dollari. Questo sarebbe niente se non fosse
anche che la Enron ha finanziato la campagna elettorale di Bush, Cheney,
Rumsfield, e altri membri di questa amministrazione che praticamente è tutta
composta di ex funzionari o dirigenti della ENRON CORPORATION”.
Così le lobbies politico-militari Usa tirano dritto per la
linea dura. Malgrado l’ostinata opposizione dell’Onu e di alcuni governi
europei (Francia e Russia in primis), la dottrina della “guerra preventiva”
cerca attuazione nel folle disegno di conquista del mondo da parte dell’unica
superpotenza rimasta.
Dopo l’Iraq e l’Afghanistan l’attenzione dei “gendarmi del
mondo” si sposterà presumibilmente sull’Iran e la Siria - quest’ultima
ripetutamente oggetto di intimidazioni e minacce per aver osato dichiararsi
solidale verso il regime del raiss iracheno –, con il rischio di far
precipitare tutto il mondo islamico in una guerra santa contro l’Occidente.
I “signori della guerra” devono però fare i conti con
l’ondata di dissenso manifestata da gran parte dell’opinione pubblica mondiale.
Dovunque nel mondo, dal Chiapas zapatista al medioriente islamico (che non
accetta i modelli economico-sociali imposti dall’Occidente), passando per il
folto schieramento dei movimenti “no global”, si leva alta la protesta
antimperialista. Da tempo non si vedeva un fronte antagonista così vasto e
variegato (qui in Italia si va dall’area cattolica terzomondista ai centri
sociali) di quelle forze che in tutto il mondo, in nome della democrazia e
della pace, continuano ad opporsi all’ondata di repressione scatenata dal
gigante nordamericano, braccio armato del neoliberismo economico.
Si prospettano ancora scenari inquietanti per i destini del
mondo, con l’estensione dei conflitti verso aree geografiche sinora risparmiate
dagli orrori della guerra. Non rimane che confidare nella buona volontà di
tutte quelle forze della “società civile” che quotidianamente - spesso
all’ombra delle cronache delle testate che “contano” - si adoperano con fatica
per far prevalere nel mondo la pace e la concordia tra i popoli.
(Chile)
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