La
persona del prete, le sue fragilità e la vicinanza della comunità:
qualche riflessione nata da uno scambio di idee tra sacerdoti e laici a
Crema
di Christian Albini, VinoNuovo.it | 22 aprile 2013
Il disagio del prete è un dato di fatto che oggi, a differenza del passato, è più evidente. Quali sono le situazioni personali ed ecclesiali che non aiutano a riconoscere i limiti relazionali del prete, ma possono anzi alimentarle, incoraggiando comportamenti che sono dannosi per gli altri e per se stesso? La manifestazione più grave ed evidente è quella dei casi di abusi sessuali. Ma ci sono molte altre problematiche meno appariscenti: dipendenze, autoritarismo, carrierismo, fissazione sul ruolo, isolamento...
Questi appunti per un discernimento sulla persona del prete e le sue fragilità nascono da uno scambio tra alcuni preti e laici e sono pensate per favorire una riflessione. L'idea di fondo è che il prete non va lasciato da solo, ma sostenuto e accompagnato, così come lui accompagna la sua comunità.
1. La teologia e la spiritualità del sacramento dell'ordine, espressioni di un volto di Chiesa
Quale
teologia e spiritualità del sacramento? Se non lo si considera, a
partire del sacramento del Battesimo, nel contesto della pluralità e
comunione dei carismi in cui il ministero ordinato si configura come
servizio, c'è il rischio di suscitare una percezione "magica"
e individualistica del sacramento, per cui l'ordinato si pensa come
un eletto che è più che uomo. Tutto ciò alimenta un senso distorto
di sé e un'illusione di autosufficienza. Alla radice, c'è una
visione di Chiesa. Il superamento dell'immagine del prete come
"separato" e "preservato", in forza dell'ordine, dalle
altrui fragilità corrisponde al modello di Chiesa promosso dal
Vaticano II, centrata sull'ecclesiologia di comunione in cui fedeli
e pastori appartengono al Popolo di Dio in fraternità e
corresponsabilità (unità nella diversità). Alla radice ci sono la
parabola degli operai nella vigna e l'allegoria della vite e dei
tralci e il conseguente insegnamento di Gesù sugli apostoli a non
seguire le logiche di potere e lavarsi i piedi a vicenda (cfr. Mc
10,35-45; Gv 13,1-17).
2. Il rapporto tra esperienza umana ed esperienza di fede
Gratia
non tollit naturam sed perficit (Tommaso
d'Aquino). Dio non fa niente senza la nostra libertà e
responsabilità. Il cammino di fede va di pari passo con il cammino
di crescita umana, secondo la logica dell'incarnazione. Come due
sposi, i quali hanno pure ricevuto un sacramento, possono aver
bisogno di un supporto qualificato dalle scienze umane per le proprie
difficoltà relazionali, così il prete nella cui vocazione non entra
solo la volontà, ma anche il vissuto psicologico. Respingere questi
apporti in nome del sacramento ricevuto, può diventare una scusa per
non fare verità su se stessi e non favorire una vera formazione
della spiritualità. Un autentico cammino umano e un autentico
cammino spirituale vanno di pari passo; altrimenti, si confonde la
spiritualità con una successione di pratiche e di "doveri" di
preghiera senza un vero cammino di conversione del cuore. In
particolare, l'elaborazione di un rapporto positivo, sereno e
maturo con la soggettività femminile è un passo indispensabile.
Tutto ciò fa parte di quella custodia del cuore che il Signore ha
insegnato come necessaria per la vera conversione (cfr. Mt 6,22-23;
15,18-19; Mc 7,20-22; Lc 6,45).
3. Il rapporto con la sessualità, il potere, il denaro
Là
dove il cammino umano e spirituale rimane incompiuto, il prete rimane
prigioniero del suo ego e delle idolatrie, per cui prevale in lui la
ricerca della propria gratificazione o il patirne la frustrazione,
nascosti dietro la maschera del proprio ruolo (rimuovendo i conflitti
psicologici). Da qui derivano i comportamenti patologici e lesivi per
sé e per gli altri. La forma più evidente e stigmatizzata è quella
dei comportamenti sessuali, con i casi estremi, ma ne esistono anche
altri che riguardano soprattutto il rapporto con il potere nelle sue
diverse sfumature, con il denaro, la ricerca di qualche forma di
rilevanza o il rifugio in un'identità forte (soprattutto a livello
di immagine). Qui si richiede di prendere sul serio quella "lotta
spirituale", il cui paradigma sono le tentazioni di Gesù nel
deserto (cfr. Mt 4,1-11; Lc 4,1-13). «Tu devi lottare in te stesso,
perché la lotta procede dal profondo del tuo cuore» (Origene).
Bisogna
fare attenzione a impostazioni educative, anche di "successo",
che prediligono la guida carismatica e il verticalismo, perché
nell'adesione a un leader e a un gruppo si può trovare una via di
fuga dall'attenzione a se stessi.
4. Il rapporto tra i preti e con il vescovo
È
indispensabile favorire una comunicazione il più possibile aperta e
sincera, anche imparando le modalità di rispetto e ascolto che non
sempre si riscontrano tra confratelli. In particolare, al vescovo
spetta l'attenzione alle situazioni di disagio e ai comportamenti
dannosi, così come la vigilanza verso quelle realtà in cui
l'appartenenza particolare può offuscare la comunione e la
diocesanità. Quali contesti e attenzioni possono favorire
l'esercizio di una correzione fraterna in revisione di vita (cfr.
Mt 18,15.21-22; Lc 17,3-4)? Non dovrebbe essere il Vangelo (in cui
Gesù invia gli apostoli ad annunciare il Regno e a guarire in
fraternità, povertà e gratuità) il metro di misura dello "stile"
del prete, del suo modo di vivere e di comportarsi (cfr. Mt 10,7-10;
Lc 9,1-6; 10,1-4)? In un orizzonte di comunione e fraternità
presbiterale, la sincerità reciproca e il verificarsi su questo (con
l'attenzione a forme che non opprimano e svalutino la persona) è
indispensabile.
5. Il rapporto con la comunità
Il
prete esercita il suo ministero pastorale "sulla" comunità o
"nella" comunità? C'è l'abitudine a uno stile di relazioni,
per cui si vive la comunità come una realtà di "famiglia" nella
sua pluralità di soggetti, o prevale l'isolamento? Le decisioni
sono prese "monarchicamente" o esercitando l'ascolto e il
confronto per accogliere le diverse sensibilità e punti di vista?
Come
educare i giovani preti alla comunità e come aiutare i preti già
avanti nel ministero a rivedere le proprie abitudini? Come le unità
pastorali possono essere un'occasione per favorire uno stile
relazionali tra i preti e con la comunità? (cfr. Atti 2,42-47; Atti
4,32-35)
6. Le colpe dei fratelli
Quando
si verificano fatti gravi, come può la Chiesa fare verità e
giustizia, continuando nello stesso tempo a essere madre? Quali
attenzioni, in una prospettiva evangelica, verso le vittime e quali
verso chi è colpevole? (cfr. Mt 6,14-15; Mt18,21-22; Lc 6,36ss; Rom
15,7; Ef 4,32; Col 3,12ss).
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