Signora Presidente
Onorevoli Deputati,
appena una settimana fa il capo dello Stato, Giorgio Napolitano,
pronunciava il suo discorso di insediamento alla Presidenza della
Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere nuovamente un sincero
ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra
comunità nazionale con il quale ha accettato la rielezione per il
secondo mandato. Voglio inoltre ringraziare i Presidente del Senato, Pietro Grasso, e
della Camera, Laura Boldrini, per la collaborazione offerta nella fase
di consultazione in questo primissimo avvio dell’esperienza di governo. Quella del presidente Napolitano è stata – lo sappiamo – una «scelta
eccezionale». Eccezionale perché tale è il momento che l’Italia e
l’Europa si trovano a vivere oggi. Di fronte all’emergenza il presidente
della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della verità.
Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese e al mondo, una
testimonianza di volontà di servizio e senso di responsabilità. Ci ha
concesso un’ultima opportunità. L’opportunità di dimostrarci degni del
ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della
nazione. Degni di servire il Paese – attraverso l’esempio, il rigore, le
competenze – in una delle stagioni più complesse e dolorose della
storia unitaria. Accogliendo il suo appello intendo rivolgermi a voi proprio con il
linguaggio “sovversivo” della verità. Confessandovi che avverto,
fortissimi in questo momento la consapevolezza dei miei limiti e il peso
della mia personale responsabilità, ma impegnandomi a fare di tutto
affinché le mie spalle siano larghe e solide al punto da reggere, nelle
vesti di presidente del Consiglio di un Governo che richiede, qui e
oggi, la fiducia del Parlamento.
Infine, non potrei iniziare questo discorso, in un passaggio cosi
impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di
gratitudine profonda verso chi con generosità e senso antico della
parola “lealtà” mi sostiene anche in questo difficile passaggio:
Pierluigi Bersani.
UN GOVERNO AL SERVIZIO DELL’ITALIA E DELL’EUROPA
La prima verità è che la situazione economica dell’Italia è ancora
grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come
una macina sulle generazioni presenti e future, e che rischia di
schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande
sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal
senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita in quanto la
disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per
contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari.
Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di Economia e
Finanza è necessario ad uscire, quanto prima, dalla procedura di
disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all’interno dei
vincoli europei. Nelle sedi europee e internazionali l’Italia si
impegnerà poi per individuare strategie per ravvivare la crescita senza
compromettere il processo di risanamento della finanza pubblica. L’ Europa è in crisi di legittimità ed efficacia proprio quando tutti
i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno. L’Europa può
tornare ad essere motore di sviluppo sostenibile – e quindi di speranza e
di costruzione di futuro – solo se finalmente si apre. Il destino di
tutto il continente è strettamente legato. Non ci possono essere
vincitori e vinti se l’Europa fallisce questa prova. Saremmo tutti
perdenti: sia nel Sud che nel Nord del continente. E’ per questo che se otterrò la vostra fiducia, immediatamente
visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito
il segno che il nostro è un governo europeo ed europeista. La risposta, dunque, è una maggiore integrazione verso un’Europa
Federale. Altrimenti il costo della non-Europa, il peso della mancata
integrazione, il rischio di un’unione monetaria senza unione politica e
unione bancaria diventeranno insostenibili: come la crisi di questi
cinque anni ci ha mostrato. Questo Parlamento ha già dimostrato di poter
trovare intese per dare all’Europa un contributo italiano innovativo.
Questo è avvenuto nel sostegno all’azione europea del governo Monti e
nell’elaborazione di posizioni comuni come quella elaborata dai colleghi
Baretta, Brunetta e Occhiuto in vista del Consiglio Europeo del Giugno
scorso. Da quelle premesse politiche ripartiremo. Le premesse macroeconomiche sono quelle dell’Euro e della Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi.
LE RISORSE PER LA CRESCITA: GIOVANI E TERRITORIO
Di solo risanamento l’Italia muore. Dopo più di un decennio senza
crescita le politiche per la ripresa non possono più attendere.
Semplicemente: non c’è più tempo. Tanti cittadini e troppe famiglie sono
in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla
vulnerabilità individuale che nel disagio e nel vuoto di speranze
rischia, di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come ci ricorda lo
sconcertante fatto avvenuto ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi. Ieri
andando a visitare in ospedale il Brgadiere Giangrande ferito gravemente
insieme al Carabiniere Scelto Negri, sono stato impressionato dalla
forza e dalla fermezza della figlia Martina. Il Parlamento deve
stringersi a lei in questo momento. E il Parlamento deve stringersi
anche all’Arma dei Carabinieri e a tutte le forze dell’ordine per il
servizio continuo, silenzioso, encomiabile, spesso in condizioni
disagiate, svolto nell’interesse della nazione in Italia e all’estero. Senza crescita e coesione l’Italia è perduta. Il Paese, invece, può
farcela. Ma per farcela deve ripartire. E per ripartire tutti devono
essere motori di questa nuova energia positiva. L’architrave
dell’esecutivo sarà l’impegno a essere seri e credibili sul risanamento e
la tenuta dei conti pubblici. Basta coi debiti che troppe volte il
nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni
successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria
pelle e non faranno lo stesso con i propri figli. Ecco perché la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un
obiettivo continuo e a tutto campo. Anzitutto, quindi, ridurre le tasse
sul lavoro, in particolare su quello stabile e quello per i giovani neo
assunti. Poi una politica fiscale della casa che limiti gli effetti
recessivi in un settore strategico come quello dell’edilizia, con
includere incentivi per ristrutturazioni ecologiche e affitti e mutui
agevolati per giovani coppie. E poi bisogna superare l’attuale sistema
di tassazione della prima casa: intanto con lo stop ai pagamenti di
giugno per dare il tempo a Governo e Parlamento di elaborare insieme e
applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle
famiglie, soprattutto quelle meno abbienti. Misure ulteriori dovrebbero essere il pagamento di parte dei debiti
delle Amministrazioni pubbliche; l’allentamento del Patto di stabilità
interno; la rinuncia all’inasprimento dell’IVA; l’aumento delle
dotazioni del Fondo Centrale di Garanzie per le piccole e medie imprese e
del Fondo di Solidarietà per i mutui. Ma questi provvedimenti – sebbene
necessari nel breve termine – non sono sufficienti. La crescita economica di un paese richiede una strategia complessa,
che eviti dispersione a pioggia delle poche risorse e che possa
innescare meccanismi virtuosi. Per questo è necessario una sintonia tra
le azioni del Governo e quelle delle banche e delle imprese, che debbono
essere mirate ad una crescita di lungo periodo degli attori economici
per superare gli annosi ritardi dell’Italia in termini di crescita della
produttività e della competitività. Il Governo deve accompagnare questa
crescita e rimanere a fianco delle imprese anche e soprattutto quando
queste si impegnano all’estero nell’arena globale. Un importante argomento di contesto concerne la giustizia, in quanto
solo con la certezza del diritto gli investimenti possono prosperare.
Questo riguarda la moralizzazione della vita pubblica e la lotta alla
corruzione, che distorce regole e incentivi. Questo riguarda anche la
giustizia nel suo complesso. La giustizia deve essere giustizia
innanzitutto per i cittadini. La ripresa ritornerà anche se i cittadini e
gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi
rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della
giustizia italiana. E tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere
una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte
della Corte dei diritti dell’uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il
paese di Cesare Beccaria! Dobbiamo liberare le energie migliori del Paese. Non partiamo da
zero, ma da due grandi risorse. Prima di tutto, i giovani. “Scommettete
su cose grandi” ha detto proprio ieri Papa Francesco rivolto a loro. E
noi abbiamo gli strumenti per aiutarli. Quello generazionale non è certo
solo un tema attinente al rinnovamento della classe dirigente, come
troppo spesso emerge nel dibattito pubblico. È una questione drammatica
che scontano sulla propria pelle milioni di giovani. Segnala bassi tassi
di istruzione e di occupazione, porta con sé lo sconforto, e anche la
rabbia, di chi non studia né lavora. Chiediamoci quanti bambini non
nascono ogni anno, in Italia, per la precarietà che limita le scelte
delle famiglie giovani. Non è solo demografia, è una ferita morale.
Perché non devono esistere generazioni perdute, perché solo i giovani
possono ricostruire questo Paese: le loro nuove esperienze e competenze
ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad
investire su di loro è un suicidio economico. Ed è la certezza di
decrescita, la più infelice. Semplificheremo e rafforzeremo l’apprendistato, che ha dato buoni
risultati in paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla legge
92/2012, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal
presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a
termine, finché dura l’emergenza economica. Aiuteremo le imprese ad
assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con
sostegni ai lavoratori con bassi salari, condizionati all’occupazione,
in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso
fiscale. Non bastano incentivi monetari. Occorre prendersi cura dei
giovani, volgendo il disagio in speranza, puntando su orientamento e
stimolo all’imprenditorialità. E occorre percorrere la strada europea
tracciata dal programma Youth guarantee, per garantire effettivi sbocchi
occupazionali.
Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così
come bisogna valorizzare gli italiani all’estero. La nomina di Cecile
Kyenge significa una nuova concezione di confine, da barriera a
speranza, da limite invalicabile a ponte tra comunità diverse. La società della conoscenza e dell’integrazione si costruisce sui
banchi di scuola e nelle università. Dobbiamo ridare entusiasmo e mezzi
idonei agli educatori che in tante classi volgono il disagio in speranza
e dobbiamo ridurre il ritardo rispetto all’Europa nelle percentuali di
laureati e nella dispersione scolastica. In Italia c’è una nuova
questione sociale, segnata dall’aumento delle disuguaglianze. Solo il
10% dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi,
mentre sono il 40% in Gran Bretagna, il 35% in Francia, il 33% in
Spagna. Bisogna finalmente dare piena attuazione all’art. 34 della
Costituzione, per il quale «i capaci e meritevoli, anche se privi di
mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
L’uguaglianza più piena e destinata a durare nelle generazioni è oggi
più che mai l’uguaglianza delle opportunità. Per rilanciare il futuro industriale del Paese, bisogna scommettere
sullo spirito imprenditoriale e innovare e investire in ricerca e
sviluppo. Per questo intendiamo lanciare un grande piano pluriennale per
l’innovazione e la ricerca, finanziato tramite project bonds. La
ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo,
come ad esempio l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie,
l’aerospaziale, il biomedicale. Si tratta di fare una politica
industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e
soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero
motore dello sviluppo italiano. Oltre all’alta tecnologia bisogna
investire su ambiente ed energia. Le nuove tecnologie – fonti
rinnovabili ed efficienza energetica – vanno maggiormente integrate nel
contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti esistenti
di incentivazione, in un’ottica organica con visione di medio e lungo
periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il
processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei
confinanti. Questo implica, per l’energia elettrica, il completamento
del cosiddetto market coupling e, per il gas, il completo riallineamento
dei nostri prezzi con quelli europei e la trasformazione del nostro
Paese in un hub.E’ chiaro che episodi come quello dell’ILVA di Taranto
non sono più tollerabili. Tutta l’impresa italiana, per crescere, ha bisogno di più semplicità,
di un’alleanza tra la pubblica amministrazione e la società, senza
tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la
voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere
l’intero sistema delle autorizzazioni. Bisogna snellire le procedure e
avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare, offrire posti di
lavoro. Non si possono più chiedere sacrifici sempre e soltanto ai «soliti
noti». I sacrifici sono socialmente sostenibili solo se sono ispirati ad
un principio di equità. Questo significa coniugare una ferrea lotta
all’evasione con un fisco amico dei cittadini, senza che la parola
Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata. L’altra grande risorsa è l’Italia stessa. Bellezza senza navigatore.
La nostra tendenza all’autocommiserazione è pari solo all’ammirazione
che l’Italia suscita all’estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei
nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano.
L’Italia e il made in Italy sono le nostre migliori ricchezze. E’ per
questo che uno dei primi atti del Governo sarà quello di nominare il
Commissario unico per l’Expo, una grande occasione che non dobbiamo
mancare. A questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il
decreto per partire per l’ultimo miglio di questo evento strategico. Per questo dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre
investimenti. Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l’Italia per
molti non sia una scelta di vita. Questo significa puntare sulla
cultura, motore e moltiplicatore dello sviluppo, o sulle straordinarie
realtà dell’agro-alimentare. Questo significa valorizzare e custodire
l’ambiente, il paesaggio, l’arte, l’architettura, le eccellenze
enogastronomiche, le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e
aeroportuali. Questo vuol dire anche valorizzare il nostro grande patrimonio
sportivo. La pratica dello sport significa prevenzione dalle malattie,
lotta contro l’obesità, formazione a stili di vita sani, lealtà e
rispetto delle regole. Dobbiamo impegnarci per diffondere la pratica
sportiva sin dalle scuole elementari con un piano di edilizia scolastica
su tutto il territorio nazionale. L’intraprendenza dei giovani e la bellezza dei territori sono d’altra
parte due risorse cruciali per il Mezzogiorno. In entrambi i casi un
patrimonio dissipato, un giacimento inutilizzato di potenzialità.
Dobbiamo mettere in condizione il Sud di crescere da solo, annullando i
divari infrastrutturali e di ordine pubblico che l’hanno frenato,
puntando sulle nuove imprese, in particolare le industrie culturali e
creative, e sulla buona gestione dei fondi europei, come quella che ha
caratterizzato l’operato del governo Monti. Dobbiamo, soprattutto, evitare di continuare a mettere la testa sotto
la sabbia come struzzi e riconoscere che il divario tra Nord e Sud del
Paese è non un accidente storico o una condanna, ma il prodotto di
decenni di inadempienze da parte delle classi dirigenti, a livello
nazionale come a livello locale. E’ il risultato dell’azione della
criminalità organizzata che, certo presente anche nel resto del Paese –
in larghe parti del Mezzogiorno ha i connotati del controllo arrogante e
quasi militare del territorio. E questo nonostante lo spirito di
servizio e il sacrificio di tanti servitori dello Stato – magistrati ed
esponenti delle forze dell’ordine anzitutto – che troppo spesso abbiamo
avuto la responsabilità di lasciare soli. Anche per questo dobbiamo dare
effettiva concretezza al valore della specificità della professione
svolta dal personale in divisa delle Forze Armate e della Polizia.
PRIORITA’ LAVORO
Ma permettetemi di soffermarmi un attimo sulla grande tragedia di
questi tempi che d’altronde al Sud tocca punte di desolazione e allarme
sociale: la questione del lavoro. È e sarà la prima priorità del mio
governo. Solo col lavoro si può uscire da quest’incubo di impoverimento e
imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a
superare le ingiustizie e riportare dignità e benessere. Senza crescita,
anche gli interventi di urgenza su cui ci siamo impegnati e che qui
ribadisco – rifinanziamento delle casse integrazioni in deroga,
superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione –
sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la
comunità nazionale ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di
questo tema è un impegno prioritario di questo Governo. Mai come oggi occorre fiducia reciproca: imprese e lavoratori devono
agire insieme e superare le contrapposizioni che in passato ci hanno
frenato. Sono sicuro che come in tanti momenti critici della vita della
Repubblica i sindacati saranno protagonisti. Il governo vuole aprire la
strada con proposte che approfondiremo insieme: ampliare gli incentivi
fiscali a chi investe in innovazione, sostenere l’aggregazione e
internazionalizzazione delle PMI, dare più credito a chi lo merita,
garantire il pagamento dei debiti alle imprese, semplificare e rimuovere
gli ostacoli burocratici che frenano lo spirito d’impresa. Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere
professioni, che in una società postindustriale rappresentano la spina
dorsale della nostra economia. Le misure di liberalizzazione orami sono
state adottate. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare
opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i
clienti. Anche sull’occupazione femminile occorre fare molto di più. La
maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica
dà già straordinari contributi alla crescita del paese, ma siamo lontani
dagli obiettivi europei. Non siamo ancora un paese delle pari
opportunità. La carenza di servizi scarica sulle donne compiti
insostenibili, aggravati in alcuni casi da una crescita insopportabile
delle violenze contro le donne. La riforma del nostro welfare richiede azioni di ampio respiro per
rilanciare il modello sociale europeo. Il welfare tradizionale,
schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non funziona più.
Non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le
disuguaglianze. Non occorrono isterismi. Occorre un cambiamento
radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo, che
sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per
un welfare attivo, più giovane e al femminile, andranno migliorati gli
ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai
precari; e si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto per
famiglie bisognose con figli.
Hanno trovato largo consenso parlamentare nei mesi passati le
proposte su incentivi al pensionamento graduale con part time misto a
pensione, con una «staffetta generazionale» per la parallela assunzione
di giovani. Inoltre, per evitare il formarsi di bacini estesi di
lavoratori anziani di difficile ricollocazione, studieremo forme
circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l’accesso con
3-4 anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione
proporzionale.
Dobbiamo poi ricordarci che l’Italia migliore è un’Italia solidale.
E’ per questo che il governo non può che valorizzare la rete di
protezione dei cittadini e dei loro diritti, con misure tese al
miglioramento dei servizi, da quelli sanitari a quelli del trasporto
pubblico, locale e pendolare, con una particolare attenzione per i
disabili e i non autosufficienti. Vorrei a questo proposito rendere omaggio alle donne e agli uomini
che ogni giorno consentono al nostro paese di godere di questa
solidarietà e che mantengono unito il nostro tessuto sociale: i
servitori dello Stato – quelli che rischiano la vita per proteggere le
istituzioni, quelli che lavorano nella sanità per salvare delle vite,
quelli che aiutano i nostri figli a crescere – ma anche gli operatori
del volontariato, della cooperazione, del terzo settore e della galassia
del 5 per 1000. E’ l’esempio che giornalmente viene dato da queste
persone che ci fa riscoprire il valore del servizio pubblico. Una speciale menzione merita la protezione civile, che ha dato una
straordinaria prova nei terremoti in Abbruzzo e in Emilia e che ci
ricorda che abbiamo un impegno alla prevenzione, con un piano di
manutenzione contro il dissesto idrogeologico e la lotta all’abusivismo.
LA RIFORMA DELLA POLITICA
Vorrei che questo governo inaugurasse una fase nuova nella vita della
Repubblica. Non il canto del cigno di un sistema imploso sulle sue
troppe degenerazioni, ma un primo impegno per la ricostruzione della
politica e del nostro modo di percepirci come comunità. La ricostruzione però può partire solo da un esercizio autentico, non
simulato, di autocritica. La verità è che la politica ha commesso
troppi errori. Si è erosa, giorno dopo giorno, la credibilità della
politica e delle istituzioni, vittime di un presentismo – vale a dire
dell’ossessione del consenso immediato – che bloccato il Paese. Ancora: non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di
innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione del
web, potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità
della nostra democrazia rappresentativa anziché sfociare nel mito o
nell’illusione della democrazia diretta. Oggi abbiamo dinanzi un’altra sfida, ancora più complessa: quella
dell’autorevolezza. L’autorevolezza del potere che non ha più, come in
passato, il monopolio delle informazioni, ma deve avere il profilo e le
competenze per discernere il vero dal falso nel flusso enorme di
informazioni presenti nella Rete. L’autorevolezza di chi non si
accontenta della verosimiglianza e del sentito dire, ma sceglie sempre e
solo la verità e ha il coraggio e la pazienza di raccontarla ai
cittadini, anche se dolorosa o brutale. Per cominciare, bisogna recuperare decenza, sobrietà, scrupolo, senso
dell’onore e del servizio e, infine, la banalità della gestione di un
buon padre di famiglia. Ognuno deve fare la sua parte. A questo fine,
per dare l’esempio, il primo atto del Governo sarà quello di eliminare
con una norma d’urgenza lo stipendio dei ministri parlamentari che
esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità. Nessuno, ripeto nessuno, può sentirsi esentato dal dovere
dell’autorevolezza. Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto
dall’accusa di aver contaminato il confronto pubblico con gesti, parole,
opere o omissioni. Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso
di non votare, alle elezioni dello scorso febbraio, quello
dell’astensione è risultato essere il primo partito. Non era mai
accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, quattro rispetto al
2006. Su questo sfondo la riduzione dei costi della politica diventa un
dovere di credibilità. Pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi
introdotte dal 1994 ad oggi sono state ipocrite e fallimentari. Non
rimborsi ma finanziamento mascherato. Per di più di ammontare
decisamente troppo elevato, come la Corte dei Conti ha recentemente
confermato: 2 miliardi e mezzo di euro dal 1994 al 2012, a fronte di
spese certificate di circa mezzo miliardo.E’, questa , solo una delle
conferme del fatto che il sistema va rivoluzionato. Partiamo dunque dal
finanziamento pubblico ai partiti, abolendo la legge troppo timida
approvata l’anno scorso e introducendo misure di controllo e di sanzione
anche sui gruppi parlamentari e regionali. Occorre poi avviare percorsi
che finalmente consegnino alla libera scelta dei cittadini, con
opportuni interventi sul versante fiscale, la contribuzione all’attività
politica dei partiti. E’ però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello
della democrazia interna ai partiti, attuando finalmente i principi
sulla democrazia interna incorporati nell’art. 49 della Costituzione,
stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza
delle decisioni e delle procedure.Rivendico con forza l’importanza di un
temporaneo «governo di servizio al paese» tra forze sicuramente lontane
e diverse tra loro. Credo che non sia facile votare insieme da
posizioni così eterogenee, ma proprio per questo credo che questa sia
una scelta che meriti rispetto anche da chi non la condivide perché non è
motivata dall’interesse particolare ma da principi più alti di coesione
nazionale. Questo è il senso del messaggio del Presidente della
Repubblica alle Camere. Non dobbiamo avere paura di fare il nostro
dovere per l’Italia. Noi dobbiamo dare il nostro contributo a
ricostruire un patto di fiducia, a ritrovare il senso di una missione
comune. Come italiani, si vince o si perde tutti insieme. Sicuramente è e deve essere un’eccezione la convergenza di forze
politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni. Ma è
eccezionale che dalle urne, anche a causa della legge elettorale, non
sia uscita alcuna maggioranza; è eccezionale l’emergenza economica che
il governo dovrà affrontare; è eccezionale il fatto che sia necessario
riscrivere alcune regole costituzionali. Credo quindi che le forze
politiche che sostengono il governo stiano dimostrando un grande senso
di responsabilità e di attaccamento alle istituzioni. Vent’anni di
attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di
fiducia nei rapporti tra i partiti e l’opinione pubblica, che è esausta,
sempre più esausta, delle risse inconcludenti.Ho imparato da Nino
Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come
dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni
concrete ai problemi comuni. Se in questo momento ci concentriamo sulla
politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno. Se invece ci
concentriamo sulle politiche, allora potremo svolgere un servizio al
paese migliorando la vita dei cittadini. E‘ per questo che intendo appellarmi alla responsabilità dei partiti e
dei movimenti perché ritengo centrale il ruolo del Parlamento, con una
continua interlocuzione con le forze politiche che non sostengono il
Governo e con la creazione di luoghi permanenti di codecisione, ai quali
parteciperò personalmente, tra il governo e le forze politiche che lo
sostengono.
LA RIFORMA DELLE ISTITUZIONI
L’appello alla responsabilità e alla capacità di trovare terreni di
convergenza è ancora più pressante nel nostro compito di riformare le
istituzioni, anche perché auspico che per la scrittura delle regole che
riguardano la vita democratica di tutti il fronte si allarghi anche alle
forze che non hanno intenzione di sostenere il governo in modo
organico, che devono partecipare pienamente al processo costituente.Vedo
oggi una via stretta, ma possibile, per una riforma anche radicale del
sistema istituzionale e del sistema politico.Un imperativo deve essere
chiaro a tutti noi fin dal primo momento: in questa materia negli ultimi
decenni abbiamo assistito troppe volte all’avvio di percorsi
riformatori che si presentavano come risolutori, che nelle intenzioni
anche sincere di chi li proponeva, promettevano di regalarci istituzioni
più efficienti e capaci di decidere, oltre che maggiormente vicine ai
cittadini, e che invece si sono infranti contro veti reciproci, chiusure
partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose
nonostante i reiterati richiami del Presidente della Repubblica. Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta
fondamentale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito
contingente, sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni
sulla base delle proposte formulate da una Convenzione, aperta alla
partecipazione anche di autorevoli esperti non parlamentari e che parta
dai risultati della attività parlamentare della scorsa legislatura e
dalle conclusioni del Comitato di saggi istituito dal Presidente della
Repubblica. La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori
sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le
procedure per un provvedimento Costituzionale possano compiersi. Dal momento che questa volta l’unico sbocco possibile per questo tema
è il successo nell’approvazione delle riforme che il paese aspetta da
troppo tempo, fra 18 mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso
un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di
revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro
lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze
dovessero minacciare di impantanare tutto per l’ennesima volta, non
avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze. La moralità della politica è quella di prendere le decisioni che i
cittadini si attendono, e di rispettare gli impegni presi di fronte al
paese e alle istituzioni. L’obiettivo complessivo è quello di una riforma che riavvicini i
cittadini alle istituzioni, rafforzando l’investitura popolare
dell’esecutivo e migliorando efficienza ed efficacia del processo
legislativo. I principi che devono guidarci sono quelli di una
democrazia governante: la capacità degli elettori di scegliersi i propri
rappresentanti e di decidere alle elezioni sui governi e le maggioranze
che li sostengono. Dobbiamo superare il bicameralismo paritario, per snellire il
processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che
abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di
conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale è
infatti in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in
due diversi rami del Parlamento.Dobbiamo quindi istituire una seconda
Camera – il Senato delle Regioni e delle Autonomie – con competenze
differenziate e con l’obiettivo di realizzare compiutamente
l’integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base
di una più chiara ripartizione delle competenze tra i livelli di governo
con il perfezionamento della riforma del Titolo V. Bisogna riordinare i
livelli amministrativi e abolire le provincie. Semplificazione e
sussidiarietà devono guidarci al fine di promuovere l’efficienza di
tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento
dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli
indifferenziati, ma al contrario valorizzare comuni e regioni per
rafforzare le loro responsabilità, in un’ottica di alleanza tra il
governo e i territori e le autonomie, ordinarie e speciali. Bisogna
altresì chiudere rapidamente la partita del Federalismo fiscale,
rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia salvaguardando la
centralità dei territori e delle Regioni. Si può anche esplorare il
suggerimento del Comitato di Saggi istituito dal Presidente della
Repubblica per la eventuale riorganizzazione delle Regioni e dei
rapporti tra loro. Occorre poi riformare la forma di governo, e su questo punto bisogna
anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole
misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato. La legge elettorale è naturalmente legata alla forma di governo, ma
si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali.
Innanzitutto, dobbiamo qui solennemente assumere l’impegno che quella
dello scorso febbraio sia l’ultima consultazione elettorale che si
svolge sulla base della legge elettorale vigente. Cambiarla serve non
solamente per assicurare la formazione di maggioranze sufficientemente
ampie e coese, in grado di garantire governi stabili; ma prima ancora
per restituire legittimità al Parlamento ed ai singoli parlamentari. Non
possiamo più accettare l’idea di parlamentari di fatto imposti con la
stessa presentazione delle candidature, senza che i cittadini abbiano la
possibilità di individuare il candidato più meritevole. Sono certo che le forze politiche siano in grado di trovare delle
ottime soluzioni. Permettetemi di esprimere a livello personale che
certamente migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino
della legge elettorale precedente.
LA NUOVA EUROPA
Rappresentare l’intera nazione oggi significa prima di tutto sapere e
ribadire che le sorti dell’Italia sono intimamente correlate a quelle
dell’Unione europea. Due destini che si uniscono. Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel anche se forse non
ce ne siamo pienamente accorti. L’Unione Europea è stata premiata per
un’alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie
di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici
decisero di vivere insieme. Dopo insieme abbiamo promosso la democrazia e
riunificato il continente dalle ferite della cortina di ferro. Insieme
abbiamo dato vita al mercato unico. Insieme abbiamo concepito la
cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo. Insieme ai
ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus, abbiamo scoperto di avere
nuove case e nuove famiglie. E insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire
da alcune verità, perché della verità non bisogna mai avere paura. Primo: il Nobel non è alla memoria. L’Europa non è il passato, è il
viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro. L’Europa è
lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la
nostra società nella ricostruzione del dopoguerra. È lo spazio politico
con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di
timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette
un’intera generazione in trincea. L’Europa esiste solo al presente e al
futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano
le azioni dei figli e dei nipoti. Secondo: l’Europa è il nostro viaggio. La sua storia non è scritta
malgrado noi. È scritta da noi. L’orizzonte è europeo, con le università
che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa, e
le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a
livello continentale se non globale. Pensare l’Italia senza l’Europa è
la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla
svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo
secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee,
nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e
nella promozione di tutti i diritti. E soprattutto, l’abbattimento dei
muri tra il Nord e il Sud del continente, così come tra il Nord e il Sud
dell’Italia.
Terzo: il porto a cui il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati
Uniti d’Europa e la nostra nave si chiama democrazia. Guardiamo con
ammirazione lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia e in
Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto
a sogno che si chiama Unione Politica e abbiamo il dovere di renderlo
più chiaro. Possiamo avere «più Europa» soltanto con «più democrazia»:
con partiti europei, con l’elezione diretta del Presidente della
Commissione, con un bilancio coraggioso e concreto come devono essere i
sogni che vogliono diventare realtà. L’Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato
dall’arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti che stanno
modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India
e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una
politica comune per raggiungere la massa critica necessaria ad
interagire con questi nuovi attori e influire sui processi globali. Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di
difesa comuni, tese a rinnovare l’impegno per il consolidamento
dell’ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze Armate
in prima linea, con una professionalità e un’abnegazione seconda a
nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla
dolorosa vicenda dei due Fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne
consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile. L’Italia è saldamente collocata nel campo occidentale, ma la sua
posizione geopolitica proiettata verso altre civiltà, la sua cultura
abituata al dialogo e la sua economia vocata all’esportazione possono
consegnarle un ruolo di ponte tra l’Occidente e le nuove potenze
emergenti. Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il
consolidamento delle primavere arabe, la risoluzione politica della
crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente
sono le questioni più urgenti.
CONCLUSIONE
In questi giorni ho pensato al personaggio biblico di Davide. Come lui, con lui, siamo nella valle di Elah, in attesa di affrontare Golia. Nella valle delle nostre paure di fronte a sfide che appaiono
gigantesche. Anche la sfida di metterci insieme per affrontarle. Come
Davide in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura
che in questi anni abbiamo indossato e che ora ci appesantirebbero. Davide “prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci
dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia;
prese in mano la fionda e si avvicinò a Golia”. Noi, dal “torrente”
delle idee sulle quali ci siamo confrontati abbiamo scelto i nostri
“ciottoli”, le nostre proposte di programma. La “fionda” l’abbiamo in
mano insieme, governo e Parlamento. Ma di Davide ci servono il coraggio e
la fiducia. Il coraggio di mettere da parte quella “prudenza politica”
che spinge a evitare il confronto con le nostre paure, a rimanere nella
valle e, se proprio decidiamo di muoverci, a farlo con indosso
l’armatura. Il coraggio di affrontare la sfida liberandoci
dell’armatura, forse lo abbiamo trovato. La fiducia è quella che
chiediamo al Parlamento e agli italiani.
Camera dei Deputati, Roma, 29.04.2013
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