Ricordiamo
Martini: un uomo di Dio, testimone del primato dello Spirito. Libero,
aperto al dialogo e all’accoglienza, attento alla cura degli ultimi.
di Giovanni Giudici
(Vescovo di Pavia, presidente di Pax Christi Italia)
Mosaico di Pace, ottobre 2012
(Vescovo di Pavia, presidente di Pax Christi Italia)
Mosaico di Pace, ottobre 2012
Del cardinal Martini sono stati descritti tratti di fisionomia in
maniera rispettosa, ma anche caricature abbozzate da osservatori
improvvisati e superficiali. Vorrei delineare qui alcuni aspetti del suo
ministero, riflettendo in un secondo tempo sulla sua testimonianza sui
cammini della pace.
Tutto, nella vita, nell’azione e nella parola di Martini, lo qualifica come anzitutto ed essenzialmente un uomo di Dio e in particolare un religioso nel senso pieno e alto della parola. Il card. Martini è stato, infatti, un uomo di Chiesa nel quale la persuasione del primato dello Spirito ha sempre dominato sulla fedeltà e sull’amore con cui ha servito l’istituzione ecclesiastica. Lo Spirito è stato da lui ricercato, con semplicità e con tenacia, nella vita e nei doni delle persone, negli avvenimenti ecclesiali e nei fatti che costituiscono la storia. Attenzione allo Spirito, alla sua sovrana libertà e nella sua sorprendente creatività, significava per lui operare per una Chiesa che, proprio in quanto docile allo Spirito del suo Signore, fosse libera, povera, sciolta. Aggettivo quest’ultimo, da lui spesso utilizzato nel qualificare la Chiesa.
Egli operava e parlava a proposito di una Chiesa tutta protesa alla testimonianza e all’annuncio della Parola. Giunto a Milano, Martini si immedesimò subito con la città, volle conoscerla in tutti i suoi aspetti, positivi e non. Scoprì ben presto anche le piaghe della città: quelle della sofferenza nascosta (carcerati, ammalati, poveri d’ogni genere), e quelle che erano frutto di collettiva superficialità e disattenzione (corruzione, gruppi di potere, informazione parziale). Incontrando e dialogando con le persone e le istituzioni, diede segnali di apertura e di accoglienza fino a toccare la coscienza di singoli e gruppi che, fidandosi di lui, abbandonarono la follia terroristica.
Tutto, nella vita, nell’azione e nella parola di Martini, lo qualifica come anzitutto ed essenzialmente un uomo di Dio e in particolare un religioso nel senso pieno e alto della parola. Il card. Martini è stato, infatti, un uomo di Chiesa nel quale la persuasione del primato dello Spirito ha sempre dominato sulla fedeltà e sull’amore con cui ha servito l’istituzione ecclesiastica. Lo Spirito è stato da lui ricercato, con semplicità e con tenacia, nella vita e nei doni delle persone, negli avvenimenti ecclesiali e nei fatti che costituiscono la storia. Attenzione allo Spirito, alla sua sovrana libertà e nella sua sorprendente creatività, significava per lui operare per una Chiesa che, proprio in quanto docile allo Spirito del suo Signore, fosse libera, povera, sciolta. Aggettivo quest’ultimo, da lui spesso utilizzato nel qualificare la Chiesa.
Egli operava e parlava a proposito di una Chiesa tutta protesa alla testimonianza e all’annuncio della Parola. Giunto a Milano, Martini si immedesimò subito con la città, volle conoscerla in tutti i suoi aspetti, positivi e non. Scoprì ben presto anche le piaghe della città: quelle della sofferenza nascosta (carcerati, ammalati, poveri d’ogni genere), e quelle che erano frutto di collettiva superficialità e disattenzione (corruzione, gruppi di potere, informazione parziale). Incontrando e dialogando con le persone e le istituzioni, diede segnali di apertura e di accoglienza fino a toccare la coscienza di singoli e gruppi che, fidandosi di lui, abbandonarono la follia terroristica.
L’incontro con Milano
L’incontro con Milano e la sua gente rappresentò per lui l’occasione per la piena maturazione di una dimensione pastorale del suo ministero sacerdotale. Ha mostrato attenzione alla vita delle parrocchie e ha sostenuto la formazione cristiana di laici e preti, insegnando che la fede cristiana può e, quindi, deve farsi storia. Martini è stato custode e garante dei più diversi carismi che arricchiscono la Chiesa e ha mostrato interesse per aspetti nuovi della pastorale. Oltre agli impegni della visita alle parrocchie, dallo studio e della diffusione dell’accostamento popolare alla Parola di Dio, ha saputo coltivare il dialogo ecumenico e interreligioso, il fraterno confronto con agnostici e non credenti, l’attenzione alle situazioni umane e sociali segnate da fragilità.
Per quanto riguarda la politica, Martini fu sempre fermo e rigoroso nella cura per le distinzioni tra valori ultimi e valori penultimi, tra religione e politica, tra Chiesa e partiti. Nei gesti e nelle parole operava per una distinzione dei piani che in genere in Italia è scarsamente praticata. Certamente non ha mai mostrato l’attitudine a interloquire direttamente con il potere politico, pratica non assente in talune occasioni nella posizione pubblica della CEI. Piuttosto ha operato, in sintonia con il Concilio, per stimolare e valorizzare la responsabilità dei laici cristiani in politica.
All’interno della comunità ecclesiale sosteneva lo sviluppo di una vera opinione pubblica rispetto ad argomenti sui quali il pluralismo rappresenta la regola. È questo atteggiamento comunitario che fa crescere la maturità all’interno e che mostra all’esterno un’immagine più appropriata di Chiesa. Tendeva poi a coinvolgere i credenti nella comprensione di questioni specifiche di natura civico-politica. Si trattava di situazioni nelle quali egli avvertiva un nesso più esplicito con la parola e la logica evangelica: la condizione dei detenuti a lui così cari, dei malati, degli immigrati. In questi casi si impegnava anche in una diretta e migliore conoscenza del fenomeno. Rimangono molto significative le sue riflessioni sulla giustizia e sul senso della pena connessa con il carcere. Ricordiamo anche la sua lettura critica del dialogo con l’islam, nel discorso di S. Ambrogio. Ci ha proposto verità che ancora oggi sono limpide e utilissime rispetto al problema.
Ancora per quanto riguarda la politica, in un discorso alla città, egli distingue tra neutralità, imparzialità, equidistanza della Chiesa. La parola della Chiesa trascende le logiche di parte, è parola altra e diversa dalle parole della politica. Tuttavia in concreto non ha da essere equidistante sempre, con il rischio di cadere nel calcolo troppo umano del non mostrare le priorità necessarie, e del ripetere solo ciò che è ovvio. Una posizione di questo tipo mostra coscienza della complessità dei problemi e delle soluzioni propria della politica. Stare nella società con senso di vigile responsabilità esige di compiere, in contemporanea, più passi tutti necessari. Il primo: riconoscere la distanza tra le attese e la realtà. La speranza cristiana è infatti fondata sulla Risurrezione, confida sulla salvezza come destino ultimo affidato, però, alla novità dello Spirito che ci è donato. Noi facciamo riferimento certo a principi quali la vita, la libertà, la giustizia, la solidarietà, la pace; di fronte a questi riferimenti il realismo cristiano ci dà la consapevolezza che quei beni-valori ci saranno compiutamente accessibili solo oltre il tempo. Inoltre, il cristiano sa che il male e il peccato, il conflitto e il dolore incombono pesantemente sulla vita e sulla storia. Martini ci ha dato sempre l’esempio di una grande onestà intellettuale nella lettura della realtà e nelle sue contraddizioni e ci ha indicato con chiarezza la forza attraente della speranza cristiana.
L’incontro con Milano e la sua gente rappresentò per lui l’occasione per la piena maturazione di una dimensione pastorale del suo ministero sacerdotale. Ha mostrato attenzione alla vita delle parrocchie e ha sostenuto la formazione cristiana di laici e preti, insegnando che la fede cristiana può e, quindi, deve farsi storia. Martini è stato custode e garante dei più diversi carismi che arricchiscono la Chiesa e ha mostrato interesse per aspetti nuovi della pastorale. Oltre agli impegni della visita alle parrocchie, dallo studio e della diffusione dell’accostamento popolare alla Parola di Dio, ha saputo coltivare il dialogo ecumenico e interreligioso, il fraterno confronto con agnostici e non credenti, l’attenzione alle situazioni umane e sociali segnate da fragilità.
Per quanto riguarda la politica, Martini fu sempre fermo e rigoroso nella cura per le distinzioni tra valori ultimi e valori penultimi, tra religione e politica, tra Chiesa e partiti. Nei gesti e nelle parole operava per una distinzione dei piani che in genere in Italia è scarsamente praticata. Certamente non ha mai mostrato l’attitudine a interloquire direttamente con il potere politico, pratica non assente in talune occasioni nella posizione pubblica della CEI. Piuttosto ha operato, in sintonia con il Concilio, per stimolare e valorizzare la responsabilità dei laici cristiani in politica.
All’interno della comunità ecclesiale sosteneva lo sviluppo di una vera opinione pubblica rispetto ad argomenti sui quali il pluralismo rappresenta la regola. È questo atteggiamento comunitario che fa crescere la maturità all’interno e che mostra all’esterno un’immagine più appropriata di Chiesa. Tendeva poi a coinvolgere i credenti nella comprensione di questioni specifiche di natura civico-politica. Si trattava di situazioni nelle quali egli avvertiva un nesso più esplicito con la parola e la logica evangelica: la condizione dei detenuti a lui così cari, dei malati, degli immigrati. In questi casi si impegnava anche in una diretta e migliore conoscenza del fenomeno. Rimangono molto significative le sue riflessioni sulla giustizia e sul senso della pena connessa con il carcere. Ricordiamo anche la sua lettura critica del dialogo con l’islam, nel discorso di S. Ambrogio. Ci ha proposto verità che ancora oggi sono limpide e utilissime rispetto al problema.
Ancora per quanto riguarda la politica, in un discorso alla città, egli distingue tra neutralità, imparzialità, equidistanza della Chiesa. La parola della Chiesa trascende le logiche di parte, è parola altra e diversa dalle parole della politica. Tuttavia in concreto non ha da essere equidistante sempre, con il rischio di cadere nel calcolo troppo umano del non mostrare le priorità necessarie, e del ripetere solo ciò che è ovvio. Una posizione di questo tipo mostra coscienza della complessità dei problemi e delle soluzioni propria della politica. Stare nella società con senso di vigile responsabilità esige di compiere, in contemporanea, più passi tutti necessari. Il primo: riconoscere la distanza tra le attese e la realtà. La speranza cristiana è infatti fondata sulla Risurrezione, confida sulla salvezza come destino ultimo affidato, però, alla novità dello Spirito che ci è donato. Noi facciamo riferimento certo a principi quali la vita, la libertà, la giustizia, la solidarietà, la pace; di fronte a questi riferimenti il realismo cristiano ci dà la consapevolezza che quei beni-valori ci saranno compiutamente accessibili solo oltre il tempo. Inoltre, il cristiano sa che il male e il peccato, il conflitto e il dolore incombono pesantemente sulla vita e sulla storia. Martini ci ha dato sempre l’esempio di una grande onestà intellettuale nella lettura della realtà e nelle sue contraddizioni e ci ha indicato con chiarezza la forza attraente della speranza cristiana.
La città dell’uomo
Il secondo passo: l’accettazione e la difesa dei principi non negoziabili va vissuta in una società abitata dal pluralismo delle concezioni etiche, e retta da ordinamenti democratici, ove si delibera sulla base della regola della maggioranza. Il cristiano ha, dunque, bisogno della creatività e della fatica della mediazione politica per insediare principi-valori nella città dell’uomo. Vi è un testo di Martini, al tempo nel quale si avviava in parlamento la discussione sulla fecondazione assistita, nel quale egli distingue tre livelli: quello dei principi etici, quello dei principi costituzionali e quello della mediazione legislativa. Un’articolazione di livelli con i quali deve misurarsi anche il legislatore cristiano.
Alla luce di queste attenzioni si comprende perché Martini aveva il culto della libertà. Riconosceva certo la valenza pedagogica della legge, ma non vi faceva grande affidamento. Pensava che, al fine di assicurare la qualità etica della convivenza, sono piuttosto decisive la coscienza morale personale e collettiva, la mentalità condivisa in una comunità. Di conseguenza, egli amava richiamare ai cristiani la testimonianza e la pratica dell’esigente etica delle Beatitudini. È dalle coscienze credenti, e da comunità informate, che può sortire un consenso etico-sociale capace, attraverso le mediazioni politiche e le procedure democratiche appropriate, di elevare il tenore etico della società. Diffidava, cioè, dell’impazienza con la quale i cattolici talvolta si illudono di fare buoni o addirittura cristiani gli uomini e le comunità facendo ricorso agli strumenti del potere e della legge, esercitando pressioni su partiti, parlamenti e governi.
Martini sapeva assegnare il giusto posto alla politica, ne misurava il valore e il limite; riservava a sé e alla Chiesa la sola ma decisiva parola di cui essa è depositaria e competente: la parola del Vangelo e delle esigenze etiche ad essa strettamente connesse.
Sapremo continuare la sua eredità?
Il secondo passo: l’accettazione e la difesa dei principi non negoziabili va vissuta in una società abitata dal pluralismo delle concezioni etiche, e retta da ordinamenti democratici, ove si delibera sulla base della regola della maggioranza. Il cristiano ha, dunque, bisogno della creatività e della fatica della mediazione politica per insediare principi-valori nella città dell’uomo. Vi è un testo di Martini, al tempo nel quale si avviava in parlamento la discussione sulla fecondazione assistita, nel quale egli distingue tre livelli: quello dei principi etici, quello dei principi costituzionali e quello della mediazione legislativa. Un’articolazione di livelli con i quali deve misurarsi anche il legislatore cristiano.
Alla luce di queste attenzioni si comprende perché Martini aveva il culto della libertà. Riconosceva certo la valenza pedagogica della legge, ma non vi faceva grande affidamento. Pensava che, al fine di assicurare la qualità etica della convivenza, sono piuttosto decisive la coscienza morale personale e collettiva, la mentalità condivisa in una comunità. Di conseguenza, egli amava richiamare ai cristiani la testimonianza e la pratica dell’esigente etica delle Beatitudini. È dalle coscienze credenti, e da comunità informate, che può sortire un consenso etico-sociale capace, attraverso le mediazioni politiche e le procedure democratiche appropriate, di elevare il tenore etico della società. Diffidava, cioè, dell’impazienza con la quale i cattolici talvolta si illudono di fare buoni o addirittura cristiani gli uomini e le comunità facendo ricorso agli strumenti del potere e della legge, esercitando pressioni su partiti, parlamenti e governi.
Martini sapeva assegnare il giusto posto alla politica, ne misurava il valore e il limite; riservava a sé e alla Chiesa la sola ma decisiva parola di cui essa è depositaria e competente: la parola del Vangelo e delle esigenze etiche ad essa strettamente connesse.
Sapremo continuare la sua eredità?
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