“La ragione di questa crisi, che da almeno cinque anni coinvolge tutte le democrazie e le istituzioni e che non si capisce quando e come finirà, è il divorzio tra la politica e il potere”.
Zygmunt Bauman
Per chi non conoscesse Zygmunt Bauman un buon consiglio: leggetelo.
Oltre ad essere universalmente riconosciuto come uno dei sociologi piu’
importanti al mondo, è forse quello che riesce più degli altri ad
esprimere concetti assai complessi in maniera molto chiara e semplice.
Delinea i contorni che spesso ci sembrano sfuggire all’interno delle
dinamiche generali, e sa usare, come direbbe il poeta: “la parola che
squadri da ogni lato l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo
dichiari e risplenda come un croco”.
Bauman parla di “modernita’ liquida” come metafora di una società in
cui nulla sembra poggiare su solide fondamenta: “un mondo che chiamo
liquido perché come tutti i liquidi non può restare immobile a lungo. In
questo nostro mondo tutto, o quasi, è in continua trasformazione: le
mode che seguiamo, gli oggetti che richiamano la nostra attenzione, ciò
che sognamo o temiamo, che suscita in noi speranza o preoccupazione”.
Il concetto stesso di precarietà è invasivo, e trasmuta dal settore
lavorativo a quello sociale: “Accade che una relazione fortemente
vincolante basata sull’impegno a lungo termine produce paura di perdere
le opportunità che sorgono nella modernità liquida. Da qui discende che
la relazione pura è percepita come una liberazione, ma il risultato è
avere paura di vivere in condizione di angoscia permanente. Oggi i
legami tra persone sono fragili, c’è un altissimo livello di insicurezza
che riguarda i rapporti tra gli individui e la comunità rispetto
l’affidabilità degli altri. L’appartenenza alla comunità è stata
sostituita dall’appartenenza alle reti – argomenta – Oggi è facile avere
incontri e appuntamenti grazie al pc, è infantilmente facile rispetto
al passato: si selezionano le qualità dallo schermo (interessi, qualità
fisiche) proprio come si scelgono merci in un negozio.
La popolarità dei social network è dettata dalla facilità con cui ci
si può sbarazzare di impegni a lungo termine semplicemente con un click:
con i social network, le persone cercano l’esigenza fondamentale della
condizione umana, ovvero la ricerca di amore, di amare e di essere
amati”. Tuttavia, “amare significa impegno, accettazione di rischi,
abnegazione, esporsi all’incertezza, speranza di riuscire a produrre
relazioni durevoli. Gli utenti di questi network risultano sempre
frustrati, ciò che essi trovano sono impegni superficiali che
sostituiscono quanto realmente stanno cercando. Ciò che causa tutto ciò è
l’illusione consumistica che vorrebbe farci credere di potere scegliere
i nostri partner come una marca di yogurt: non accuso l’avvento dei
computer, sono solo mezzi, non capri espiatori, ma neanche salvatori; ciò
che è necessario è quell di fare qualcosa rispetto all’illusione
consumistica, dare una risposta a questo fenomeno”.
Ed infine, sulla nascita e le possibili soluzioni della crisi : “Oggi
c’è solidità nel senso di resistenza al cambiamento. Negli ultimi
anni ci sono stati molti movimenti, gli indignados spagnoli, Occupy Wall
Street e altri. Molte spinte, grandi manifestazioni di massa e tuttavia
non accade nulla. Prendiamo Occupy Wall Street: è stato trattato bene
dai giornali, la televisione ne ha parlato, l’unica forza che non ha
prestato alcuna attenzione è stata la Borsa di Wall Street. Non è
cambiato assolutamente nulla. La mia teoria è che il sistema non è
solido di per sé: ha sviluppato efficaci meccanismi di autoriproduzione
ma ha delle fragilità incorporate. Diventa più iniquo ogni giorno che
passa: oggi negli Stati Uniti, un amministratore delegato guadagna in
media 531 volte più del lavoratore medio; nel 1960 il rapporto era 1 a
12. La finanza ha creato un’economia immaginaria, virtuale, spostando
capitali da un posto all’altro e guadagnando interessi. Il capitalismo
tradizionale funzionava sulla creazione di beni, mentre ora non si fanno
affari producendo cose ma facendo lavorare il denaro: l’industria ha
lasciato il posto alla speculazione, ai banchieri. Questo significa che
il sistema ha accentuato la sua tendenza interna ad autodistruggersi, ma
non potrà continuare a lungo. Se la resistenza umana non sarà in grado
di mettervi fine ci penserà la natura. Ci sono ovviamente limiti precisi
alle risorse del pianeta e una società basata sulla crescita illimitata
della produzione e del consumo incontrerà questi limiti molto presto.
Ed ancora: “Il potere è la capacità di esercitare un comando. E la
politica è la capacità di prendere decisioni vincolanti. Gli
stati-nazione avevano il potere di decidere e una sovranità
territoriale. Ma questo meccanismo è stato completamente travolto dalla
globalizzazione perché la globalizzazione ha trasferito il vero potere
al di là dei territori, scavalcando la politica. Gli Stati nazionali
sono attraversati dal potere globale della finanza, delle banche, dei
media, della criminalità, della mafia, del terrorismo. Ogni singolo
potere si fa beffe delle regole e del diritto locali, e anche dei
governi ovviamente. I governi europei dovrebbero fare ciò che gli
elettori chiedono, cioè agire contro la disoccupazione di massa, ma
naturalmente non lo possono fare: sono costretti ad ascoltare quanto le
corporation e i banchieri dicono loro. I governi sono eletti per quattro
anni e possono agire solo su un territorio limitato, le corporation
sono permanenti e hanno come teatro d’azione il mondo. Non riusciremo a
risolvere i problemi globali se non con mezzi globali, restituendo alle
istituzioni la possibilità di rispettare la volontà e gli interessi
delle popolazioni. Però, questi mezzi non sono stati ancora creati”.
Individuate le cause prime, le dinamiche, le possibili evoluzioni; lo fa’ cosi bene che qualcuno ha pensato di intitolare il proprio blog con una sua massima.
Sabato ho avuto modo di ascoltarlo dal vivo, ospite del Salone
dell’editoria sociale a Testaccio. Una bellissima e assolata ottobrata
romana , tanta gente, un clima di partecipazione e attesa. Subito ci
informano che il presentatore Massimiliano Smeriglio – assessore alle
Politiche del Lavoro della Provincia di Roma, è assente per influenza
(dicono). Sarà stata un’impresa ammalarsi con questa temperatura, ma
forse è meglio cosi: la presenza di un politico avrebbe forse stonato.
Ágnes Heller e Aleksandra Jasinska-Kania introducono il tema del
populismo in Europa; leggono entrambe un testo interessante, ma
didascalico. Prende la parola Bauman, parla a braccio. Disserta sui
presidenti spagnoli e francesi, dice che in questa situazione chiunque
fosse stato al governo avrebbe perso le elezioni, e che sostanzialmente,
le politiche sono le stesse dei predecessori. Apre all’Europa, e indica
la necessità assoluta di una regia unica, capace di agire
autonomamente senza il beneplacito degli USA. Si lancia in una lunga
appassionata difesa dell’individuo, rimasto solo ad affrontare problemi
che invece sono sistemici. Cambia spesso tono e modi della voce, chiede
se ha ancora tempo. Infine, per tornare al tema principale, indica come
unica soluzione alla nascita di populismi sempre più aggressivi la
difesa dello stato sociale e degli interessi dei piu’ deboli. L’incontro
finisce, esco satollo come dopo un lauto pranzo. Cosa ho imparato?
Vedendo questo signore ottantasettenne, relatore di migliaia di
conferenze, appassionarsi ancora cosi tanto da preoccuparsi di non avere
abbastanza tempo per dire tutto quello che gli premeva, mi sono
ricordato di una cosa. Che il mondo passa sempre attraverso le nostre
scelte, e che senza la voglia e la responsabilità di starci dentro, non
si costruisce niente. Forse sono diventato un po’ filosofo anch’io.
“Quale che sia il contante e il credito di cui disponiamo, non
troveremo in un centro commerciale l’amore e l’amicizia, i piaceri della
vita familiare, la soddisfazione di prenderci cura dei nostri cari o di
aiutare un vicino in difficoltà, l’autostima per un lavoro ben fatto,
la gratificazione dell’«istinto di operosità» che ognuno possiede".
David Asìni - Reset Italia
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