Il 24 marzo 1980 è un lunedì, siamo nel tardo pomeriggio e un arcivescovo sta celebrando messa. Quando eleva il calice della comunione
risuona un colpo di fucile, uno solo. Spara un tiratore scelto e
colpisce l’arcivescovo alla giugulare. La chiesa è quella dell’ospedale
della Divina Provvidenza, siamo a San Salvador, l’Arcivescovo muore
pochi minuti dopo ed è Oscar Romero.
Romero temeva la morte e non si sentiva un eroe. Qualche mese prima, nel suo ultimo passaggio a Roma, confida ad un cardinale che sarebbe stato ucciso presto. Ma non chiede un posto in Vaticano, per salvarsi la vita, e torna alla sua diocesi, a San Salvador. E’ uno dei posti peggiori al mondo.
C’è la dittatura, la corruzione, i militari e l'oligarchia. Ci sono gli squadroni della morte.
Così tutte le omelie di Monsignor Romero terminano con i “Fatti della settimana”: un resoconto di omicidi, torture e violenze. Con nomi e cognomi di vittime e persecutori. Il giorno prima, domenica, nella messa in Cattedrale, tira le somme di “una settimana tremendamente tragica”, più della media. Parla delle decine di morti, dei saccheggi e dei soprusi. Poi si appella ai soldati: “Un soldato non è tenuto a obbedire ad un ordine che va contro la legge di Dio”. Probabilmente firma lì la sua condanna a morte.
La Chiesa anglicana, quella luterana e quella vetero-cattolica lo commemorano come martire. La Chiesa cattolica ha aperto la causa di beatificazione e lo chiama Servo di Dio. Trent’anni dopo il presidente del Salvador ha presentato le scuse ufficiali. Perché chi lo ha ucciso “ha agito con la collaborazione, la protezione, o la partecipazione di agenti dello Stato”.
Dicono che Monsignor Romero fosse una persona semplice, gli piaceva guardare i cartoni animati in TV. Così, domani 24 marzo, Caterpillar si ricorda della forza dei semplici, quelli che guardano i cartoni animati e hanno il coraggio della verità. (Massimo Cirri)
Romero temeva la morte e non si sentiva un eroe. Qualche mese prima, nel suo ultimo passaggio a Roma, confida ad un cardinale che sarebbe stato ucciso presto. Ma non chiede un posto in Vaticano, per salvarsi la vita, e torna alla sua diocesi, a San Salvador. E’ uno dei posti peggiori al mondo.
C’è la dittatura, la corruzione, i militari e l'oligarchia. Ci sono gli squadroni della morte.
Così tutte le omelie di Monsignor Romero terminano con i “Fatti della settimana”: un resoconto di omicidi, torture e violenze. Con nomi e cognomi di vittime e persecutori. Il giorno prima, domenica, nella messa in Cattedrale, tira le somme di “una settimana tremendamente tragica”, più della media. Parla delle decine di morti, dei saccheggi e dei soprusi. Poi si appella ai soldati: “Un soldato non è tenuto a obbedire ad un ordine che va contro la legge di Dio”. Probabilmente firma lì la sua condanna a morte.
La Chiesa anglicana, quella luterana e quella vetero-cattolica lo commemorano come martire. La Chiesa cattolica ha aperto la causa di beatificazione e lo chiama Servo di Dio. Trent’anni dopo il presidente del Salvador ha presentato le scuse ufficiali. Perché chi lo ha ucciso “ha agito con la collaborazione, la protezione, o la partecipazione di agenti dello Stato”.
Dicono che Monsignor Romero fosse una persona semplice, gli piaceva guardare i cartoni animati in TV. Così, domani 24 marzo, Caterpillar si ricorda della forza dei semplici, quelli che guardano i cartoni animati e hanno il coraggio della verità. (Massimo Cirri)
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Roma, marzo 1979:
dopo lunga attesa, mons. Oscar Arnulfo Romero viene ricevuto
dal papa. Del colloquio che si svolse allora ha lasciato una
impressionante testimonianza, nel suo bellissimo libro "Piezas
para un retrato", la scrittrice María López
Vigil, a cui Romero stesso riferì l'esito dell'incontro,
"quasi piangendo", l'11 maggio 1979 a Madrid. Il
colloquio era cominciato male, per l'insofferenza del papa
di fronte alla voluminosa documentazione che l'arcivescovo
gli aveva portato sul suo tormentato e insanguinato Paese
e, ancor peggio, per la mancanza di compassione mostrata dal
pontefice davanti alla foto di uno dei suoi sacerdoti massacrato
poco prima dai militari, Octavio Ortiz. Ed era proseguito,
secondo María López Vigil, in maniera martellante,
su un'unica nota: "Lei, signor arcivescovo, deve sforzarsi
di avere una relazione migliore con il governo del suo Paese";
"Un'armonia tra lei e il governo salvadoregno è
quanto di più cristiano ci sia in questi momenti di
crisi"; "Se lei superasse le proprie divergenze
con il governo, potrebbe lavorare cristianamente per la pace".
"Tanto insistette il Papa - riferisce l'autrice - che
l'arcivescovo decise di smettere di ascoltare e chiese di
essere ascoltato. Parlò timidamente, ma deciso: 'Ma,
Santo Padre, Cristo nel Vangelo ci dice di non essere venuto
a portare la pace, ma la spada'. Il Papa fissò Romero
negli occhi: 'Non esageri, signor arcivescovo!'".
Romero sarebbe stato assassinato di lì a un anno, il 24 marzo del 1980. 25 anni dopo, le celebrazioni per l'anniversario del suo martirio sono state accompagnate, e inevitabilmente oscurate, dall'agonia e dalla morte del pontefice, che si è spento proprio nella giornata culminante delle celebrazioni, il 2 aprile, quando a San Salvador si svolgeva, in piazza, una grande messa presieduta dal cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, oggi indicato tra i papabili più accreditati, con successiva processione e veglia in cattedrale. Il tutto a conclusione di una ricca Settimana teologica in memoria dell'arcivescovo, organizzata dal 28 marzo all'1 aprile dal Centro Monsignor Romero dell'Università Centroamericana dei gesuiti (Uca), durante la quale mons. Samuel Ruiz ha letto la vibrante, appassionata "Lettera aperta al fratello Romero" scritta da mons. Pedro Casaldáliga (già autore del famosissimo componimento poetico "San Romero d'America"). "Avevi ragione tu - scrive il vescovo dal Mato Grosso -, e questo anche vogliamo celebrare, con giubilo pasquale. Sei resuscitato nel tuo popolo, che non permetterà che l'impero e le oligarchie continuino a sottometterlo, né si lascerà condurre dai rivoluzionari pentiti o dagli ecclesiastici spiritualizzati. E resusciti in questo Popolo di milioni di sognatori e sognatrici che crediamo che un altro mondo è possibile e che è possibile un'altra Chiesa. Perché, così come va oggi, fratello Romero, non va né il mondo, né la Chiesa"; perché "quelle rivoluzioni utopiche - belle e sventate come un'adolescenza della Storia - sono state tradite dagli uni, disprezzate olimpicamente dagli altri", e "rimpiante ancora dai molti e le molte che stiamo lì con te, pastore dell''accompagnamento', compagno di pianto e di sangue dei poveri della Terra".
Romero sarebbe stato assassinato di lì a un anno, il 24 marzo del 1980. 25 anni dopo, le celebrazioni per l'anniversario del suo martirio sono state accompagnate, e inevitabilmente oscurate, dall'agonia e dalla morte del pontefice, che si è spento proprio nella giornata culminante delle celebrazioni, il 2 aprile, quando a San Salvador si svolgeva, in piazza, una grande messa presieduta dal cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, oggi indicato tra i papabili più accreditati, con successiva processione e veglia in cattedrale. Il tutto a conclusione di una ricca Settimana teologica in memoria dell'arcivescovo, organizzata dal 28 marzo all'1 aprile dal Centro Monsignor Romero dell'Università Centroamericana dei gesuiti (Uca), durante la quale mons. Samuel Ruiz ha letto la vibrante, appassionata "Lettera aperta al fratello Romero" scritta da mons. Pedro Casaldáliga (già autore del famosissimo componimento poetico "San Romero d'America"). "Avevi ragione tu - scrive il vescovo dal Mato Grosso -, e questo anche vogliamo celebrare, con giubilo pasquale. Sei resuscitato nel tuo popolo, che non permetterà che l'impero e le oligarchie continuino a sottometterlo, né si lascerà condurre dai rivoluzionari pentiti o dagli ecclesiastici spiritualizzati. E resusciti in questo Popolo di milioni di sognatori e sognatrici che crediamo che un altro mondo è possibile e che è possibile un'altra Chiesa. Perché, così come va oggi, fratello Romero, non va né il mondo, né la Chiesa"; perché "quelle rivoluzioni utopiche - belle e sventate come un'adolescenza della Storia - sono state tradite dagli uni, disprezzate olimpicamente dagli altri", e "rimpiante ancora dai molti e le molte che stiamo lì con te, pastore dell''accompagnamento', compagno di pianto e di sangue dei poveri della Terra".
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Signor Presidente (l'americano Carter, NdR),
in questi ultimi giorni è apparsa sulla stampa nazionale
una notizia che mi ha vivamente preoccupato. Si dice che il
suo governo stia studiando la possibilità di appoggiare
ed aiutare economicamente e militarmente la Giunta di Governo.
Dal momento che lei è cristiano ed ha manifestato di voler
difendere i diritti umani oso esporle il mio punto di vista
pastorale su questa notizia e rivolgerle una petizione concreta.
Mi preoccupa fortemente la notizia che il governo degli Stati
Uniti stia studiando la maniera per favorire la corsa agli
armamenti di El Salvador inviando equipaggiamenti militare
e mezzi (addestrare tre battaglioni). Nel caso questa
notizia giornalistica corrispondesse a realtà, il contributo
del suo Governo invece di favorire una maggior giustizia e
pace in El Salvador acuttizzarebbe senza dubbio l'ingiustizia
e la repressione contro il popolo organizzato, che da lungo
tempo lotta perché vengano rispettati i suoi diritti umani
fondamentali.
L'attuale Giunta di Governo, e soprattutto le Forza Armate ed i corpi di sicurezza, disgraziatamente non hanno dimostrato la capacità di risolvere, nella pratica politica, i gravi problemi nazionali. In generale sono ricorsi alla violenza repressiva provocando un numero di morti e di feriti molto maggiore di quello dei regimi militari precedenti, la cui sistematica violazione dei diritti dell'uomo venne denunciata dalla stessa Commissione Interamericana dei Diritti dell' Uomo.
La forza brutale con cui i corpi di sicurezza hanno recentemente allontanato ed assassinato gli occupanti della sede della Democrazia Cristiana, nonostante che la Giunta di Governo ed il Partito non avessero autorizzato l' operazione, evidenzia che la Giunta e la Democrazia Cristiana non governano il paese ma che il potere politico è nelle mani di militare senza scrupoli che sanno solo reprimere il popolo e favorire gli interessi dell'oligarchia salvadoregna .
Se è vero che nel novembre scorso "un gruppo di sei americani distribuì in El Salvador duecentomila dollari in maschere a gas e giubbotti antiproiettile e ne insegnò l' uso durante le manifestazioni", lei se renderà conto che da allora i corpi di sicurezza , dotati di più efficace protezione personale, hanno represso con violenza ancora maggiore la popolazione utilizzando armi mortali.
Perciò, dal momento che, come salvadoregno ed Arcivescovo dell'Arcidiocesi di San Salvador, ho l'obbligo di vegliare perché regnino la fede e la giustizia nel mio Paese, le chiedo, se veramente vuole difendere i diritti dell'uomo di:
L'attuale Giunta di Governo, e soprattutto le Forza Armate ed i corpi di sicurezza, disgraziatamente non hanno dimostrato la capacità di risolvere, nella pratica politica, i gravi problemi nazionali. In generale sono ricorsi alla violenza repressiva provocando un numero di morti e di feriti molto maggiore di quello dei regimi militari precedenti, la cui sistematica violazione dei diritti dell'uomo venne denunciata dalla stessa Commissione Interamericana dei Diritti dell' Uomo.
La forza brutale con cui i corpi di sicurezza hanno recentemente allontanato ed assassinato gli occupanti della sede della Democrazia Cristiana, nonostante che la Giunta di Governo ed il Partito non avessero autorizzato l' operazione, evidenzia che la Giunta e la Democrazia Cristiana non governano il paese ma che il potere politico è nelle mani di militare senza scrupoli che sanno solo reprimere il popolo e favorire gli interessi dell'oligarchia salvadoregna .
Se è vero che nel novembre scorso "un gruppo di sei americani distribuì in El Salvador duecentomila dollari in maschere a gas e giubbotti antiproiettile e ne insegnò l' uso durante le manifestazioni", lei se renderà conto che da allora i corpi di sicurezza , dotati di più efficace protezione personale, hanno represso con violenza ancora maggiore la popolazione utilizzando armi mortali.
Perciò, dal momento che, come salvadoregno ed Arcivescovo dell'Arcidiocesi di San Salvador, ho l'obbligo di vegliare perché regnino la fede e la giustizia nel mio Paese, le chiedo, se veramente vuole difendere i diritti dell'uomo di:
- impedire che venga fornito questo aiuto militare al Governo salvadoregno;
- garantire che il suo governo non interverrà direttamente o indirettamente con pressioni militare, economiche e diplomatiche, nella determinazione del destino del popolo salvadoregno.
Stiamo vivendo nel nostro paese momenti di gravi crisi economica,
ma è indubbio che ogni giorno di più il popolo si organizza e si rende
conto di essere responsabile del futuro del El Salvador e l'unico
in grado di superare la crisi.
Sarebbe ingiusto e deplorevole che per l'intromissione di potenze
straniere il popolo salvadoregno venisse frustrato e represso e
le venisse impedito di decidere una autonomia di tracciato economico
e politico che deve seguire.
Significarebbe violare il diritto che il vescovi latino-americano riuniti a Puebla hanno riconosciuto pubblicamente: "La legittima autodeterminazioni dei nostri popoli permette loro di organizzarsi secondo il proprio carattere e scegliere il cammino della propria storia, cooperando al nuovo ordine internazionale" (Puebla 505).
Spero che i suoi sentimenti religiosi e la sua sensibilità nella difesa dei diritti dell' uomo la muovano ad accettare la mia petizione, evitando ulteriori spargimenti di sangue in questo paese che soffre tanto.
Significarebbe violare il diritto che il vescovi latino-americano riuniti a Puebla hanno riconosciuto pubblicamente: "La legittima autodeterminazioni dei nostri popoli permette loro di organizzarsi secondo il proprio carattere e scegliere il cammino della propria storia, cooperando al nuovo ordine internazionale" (Puebla 505).
Spero che i suoi sentimenti religiosi e la sua sensibilità nella difesa dei diritti dell' uomo la muovano ad accettare la mia petizione, evitando ulteriori spargimenti di sangue in questo paese che soffre tanto.
17 Febbraio 1980
Oscar A. Romero, Arcivescovo
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