L'uomo del dialogo
Difficile, se non impossibile in poche
righe, dar conto della lunga, grande e significativa attività come uomo
di studio e di cultura (apparteneva all’Ordine dei Gesuiti), uomo di
fede e pastore, uomo di dialogo ed ascolto rispettoso, come il cardinale
Martini. Mi limiterò, perciò, a tratteggiare per sommi capi quella che,
a mio parere, può considerarsi il grande lascito e la formidabile
lezione del cardinale: solidità e inquietudine della fede cristiana,
caratteristiche che, se apparentemente autoescludentisi, in realtà si
tengono insieme in un misterioso abbraccio.
Al di là delle strumentalizzazioni di
cui è stato oggetto, il cardinale Martini era un uomo di fede ed era ben
saldo in essa. Era un uomo innamorato di Cristo, della Parola “che si è
fatta carne” (Gv 1, 14). Il suo amore viscerale per Gerusalemme e per
quella terra dimostra la il suo desiderio di andare alla fonte edalla
sorgente della fede cristiana, oltre le accomodanti apparenze
contemporanee che possono svilirne la radicalità e l’originalità del
messaggio. Lo studio delle Scritture e la sua esperienza di provato
esegeta, trasmettono il ritratto non di uno sterile e asettico studioso
ma, al contrario, di chi ha gli strumenti atti ad interpellare l’origine
e nello stesso tempo l’umiltà e la maturità di lasciarsi da essa
interrogare, per poi poter ulteriormente attingere ad essa, instaurando
così una sorta di circolo ermeneutico virtuoso tra antichità “sempre
nuova” ed attualità, tra fondamento e sviluppo, tra tempio e mondo.
A ben rifletterci, infatti, la vita del
cardinale Martini si è svolta sulla direttrice spazio – temporale, per
dirla in termini kantiani, Gerusalemme – Milano,
nello sforzo e nel tentativo di mettere continuamente in dialogo la
città delle fede cristiana e delle altre fedi con la metropoli
industriale del secolo, il capoluogo religioso con quello consumistico,
la capitale interreligiosa con quella multiculturale. E’ l’immagine di
una fede, quella del cardinale Martini, che non rinnega le proprie
origini ed il proprio depositum ma, al contrario, invece che
rinchiuderlo in una teca inavvicinabile ed intransigente, lo
approfondisce esegeticamente e lo presenta all’uomo contemporaneo per
comunicargli la Vita e da questi lasciarsi interrogare. E’ l’immagine di
una fede che parla (forse anche nel deserto), che affronta le sfide, i
problemi e le angosce dell’uomo del secondo millennio (Le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi….sono pure le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo- Concilio Vaticano II, GAUDIUM et SPES, 1)
e che, se così non fosse, resterebbe priva di senso e si ridurrebbe a
un semplice cimelio culturale e simbolico dell’epoca che fu. E’ la fede
che interpella e si lascia interpellare da chiunque, dall’uomo credente
come da qualsiasi non credente, non per risolversi in un relativismo
etico-religioso ma, al contrario, in una crescita reciproca della
coscienza di sé.
Per questo motivo, famosa e sorprendente in tutti i sensi risultò l’istituzione quando era Arcivescovo di Milano della Cattedra dei non credenti che le sue stesse parole ci illustrano: Io
ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente,
che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano
continuamente domande pungenti ed inquietanti l’uno all’altro. Il non
credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa. E’
importante l’appropriazione di questo dialogo interiore, poiché permette
a ciascuno di crescere nella coscienza di sé….Mi sembra opportuno che i
credenti erigano simbolicamente dentro di loro una cattedra dove il non
credente possa avere parola ed essere ascoltato; ed è altrettanto
opportuno e utile che chi non crede possa dare voce ed ascolto al
credente (C.M. MARTINI, Le ragioni del credere, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano 2011, pagg. 917-918).
Vito Chiariello
(da Diritto di Critica)
(da Diritto di Critica)
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