Da Marsiglia 2012 verso la costruzione della giornata mondiale contro la multinazionale italiana che nel mondo esporta conflitti e distruzione ambientale
Il 30 aprile ci sarà il consiglio di amministrazione dell'Enel, multinazionale per l'energia con sede in Italia – c'è la partecipazione del Ministero per l'Economia al 30% - e con progetti praticamente in ogni parte del mondo: dal carbone al nucleare, dall'idroelettrico alla geotermia.
Il 30 aprile sarà la giornata di mobilitazione mondiale contro l'Enel. La multiutility che ha da poco sdoganato il marchio “green power” forse proprio per strizzare l'occhio alla sempre più diffusa sensibilità ambientale e una serie di campagne pubblicitarie dove il rispetto della Natura e dei diritti paiono essere le priorità di questo colosso finanziario, è responsabile di disastri ambientali e delle violenze connesse che vedono vittime le comunità locali. Ecco perchè dal FAME di Marsiglia 2012 e dal convegno su acqua e dighe tenutosi lunedì scorso a Roma presso l'Ex Snia organizzato fra gli altri da Patagonia Senza Dighe e Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, esce l'appello alla mobilitazione per contrastare le dinamiche aggressive che accomunano i progetti di Enel in Italia e nel Mondo.
Cinque i Paesi coinvolti, cinque le situazioni drammatiche prese a simbolo: il Cile per la costruzione in Patagonia del progetto HydroAysèn, che vedrebbe lo spostamento dei fiumi Pascua e Baker, lo spostamento di quasi 6000 ettari di terra e la costruzione di cinque megadighe, con gravi minacce per il fragile equilibrio ambientale; il Guatemala per quella di Palo Viejo nella regione maia del Quichè, in Colombia la distruzione di Quimbo, con la deviazione del Rio Magdalena e lo sbancamento di 8000 ettari di terreno fertile, ammazzando la sostenibilità economica di migliaia di persone che nella zona vicono di agricoltura e pesca; e in Brasile fra le altre, la diga di Belo Monte, terza diga al mondo per grandezza. Oltre all'Italia con alcuni casi simbolici, come lo sfruttamento idroelettrico nelle Alpi trentine e venete, la geotermia sul monte Amiata in Toscana, le dighe in Calabria, l'estrazione del carbone.
Al fianco di questi Paesi, il 30 ci saranno anche quelli dell'Est Europa dove l'Enel ha avviato importanti processi nucleari.
Minimo comun denominatore dei megaprogetti latinoamericani, sono le violenze e la distruzione ambientale. Lunedì 20 a Roma c'erano come ospiti il guatemalteca Baltazar de la Cruz, sindaco indigeno della comunità di San Felipe Chenla: “Siamo da 7 anni in lotta contro l'Enel. Il mio popolo si chiama Ixiles, siamo maia e da sempre abitiamo le zone al Nord del Paese. Resistiamo dal 1530, da quando arrivarono i primi invasori cercando oro. Continua la spogliazione del nostro popolo dalle sue risorse” . Baltazar racconta come questa grande diga dalla capacità di 84 k/h, abbia sconvolto la vita di questo popolo pacifico che vive di agricoltura:” Nel 2005 arriva Enel nel nostro territorio. Non viene fatta nessuna consulta previa con i nostri rappresentanti, in barba alla risoluzione 169 che impone di consultare le popolazioni indigene qualora si entri nei loro territori. Nono avendo nessuna risposta, nel 2009 inizia una resistenza pacifica della mia comunità ed iniziano anche le violenze: in gennaio entra l'esercito e spara a donne e bambini, muoiono due ragazzi. Per comprare il silenzio delle famiglie, Enel dona 45.000 euro ad ognuna. Enel comincia poi a costruire qualche scuola e compra alcune comunità dividendoci. L'anno dopo però, anche chi aveva accettato i regali di Enel, si ricrede, si riarticola la lotta e iniziamo a bloccare le principali strade d'accesso. La risposta è ancora l'esercito ma in dosi massiccie, con elicotteri e lacrimogeni. Il Governo è comprato da Enel. La diga produrrà elettricità per altri: delle nostre 36 comunità, solo 8 hanno luce elettrica. Noi pretendiamo che smettano le violenze, e di essere consultati”. Fanno eco a Baltazar i racconti degli attivisti brasiliani del MAB, il movimento contro le dighe nato negli anni '80”. Ivanei Farina dalla Costa e Youri Chrales Paolino raccontano come in Brasile non esista una poltica nei confronti della popolazione in caso di megaprogetti. Vengono spostate letteralmente intere comunità senza che sia previsto alcun indennizzo. L'Amazzonia rischia fortemente di essere danneggiata per sempre da sistemi di dighe che interrompono il ciclo vitale degli ecosistemi. “La produzione idroelettrica in Brasile è assorbita dalle industrie minerarie. Multinazionali straniere che vengono nel nostro Paese per estrarre risorse con pieno disprezzo delle comunità locali. Il modello energetico brasiliano è in mano ad industrie non brasiliane ed è strettamente connesso con la privatizzazione delle risorse idriche”, racconta Youri. “La concessione dei fiumi è trentennale – gli fa eco Ivanei – questa energia non è pulita!”. Yvanei sta svolgendo anche uno studio sulle donne che vivono vicino alle dighe ed i loro disagi. Dalla Colombia, il giornalista italiano Federico Bruno racconta della resistenza a Quimbo, che proprio negli ultimi giorni è stato considerato sito militare e ci sono state gassificazioni violente della popolazione, mentre Teresa Marisano di Patagonia senza dighe appena tornata dal Cile, ha portato la sua testimonianza dalla remota regione patagonica, dove sono iniziate intimidazioni mai viste verso gli abitanti che si stanno opponendo alla costruzione delle cinque dighe di HidroAysen.
Enzo Vitalesta, dell'associzione Yaku che coordinava l'incontro, ha annunciato che con la sua associazione ed in accordo con le associazioni colombiane Censat e Carlos Fonseca ed i movimenti locali, il 30 di aprile sarà a Quimbo per appoggiare la mobilitazione.
Una critica collettiva dai movimenti per l'acqua di tutto il mondo è uscita dalle 5 giornate di Marsiglia, dove il FAME, Forum Alternativo Mondiale dell'Acqua, ha ufficialmente condannato la costruzione indiscriminata di megadighe anche in occasione della giornata mondiale contro le dighe, il 14 marzo.
redazione@yaku.eu
___________________________________________________________
La protesta degli indigeni in Ecuador
http://www.articolotre.com/2012/03/la-protesta-degli-indigeni-in-ecuador/72321
Migliaia
di indigeni hanno manifestato fino a ieri (Giovedì ndr) a Quito, la
capitale dell'Ecuador, per protestare contro il governo del Presidente
Rafael Correa. In particolar modo, i manifestanti contestavano e continuano a contestare, un
accordo firmato ad inizio marzo dal governo ecuadoriano con una
compagnia mineraria cinese, pronta ad investire 1,4 miliardi di dollari
in un progetto di estrazione del rame vicino a El Pangui, nella regione
amazzonica del Paese. Da una parte il presidente Correa ha spiegato ai
manifestanti che il
ricavato del progetto verrà utilizzato anche per finanziare strade,
scuole, ospedali e sarà in parte ridistribuito agli abitanti di El
Pangui. Dall'altra, la Confederazione degli indigeni dell’Ecuador
(CONAIE) sostiene invece che le attività estrattive danneggeranno
inevitabilmente l’ambiente e costringeranno le popolazioni locali ad
abbandonare le loro terre.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.