Non riuscendo a mettersi d'accordo si è deciso di non far nulla
di Michele Arnese (ItaliaOggi, 16/3/2012)
Sulla regolazione e sulle tariffe del settore idrico regna sovrana l'incertezza per alcune beghe ministeriali ancora irrisolte e le imprese del comparto sbuffano per la confusione e l'incertezza normativa. Vediamo quali sono le divergenze attuali fra ministero dell'Ambiente e dicastero dello Sviluppo economico. Ma, prima, serve inquadrare bene il tema.
Nei tre anni del governo Berlusconi la posizione del ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha impedito, di fatto, che il settore idrico fosse sottoposto alla regolazione di un'Autorità indipendente. Secondo le leggi allora in vigore, il settore era sottoposto a una forma debole di regolazione esercitata dal Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche (Coviri) che istituiva il Servizio idrico integrato e dettava le norme di riassetto che ancora oggi sono sostanzialmente in vigore.
Nel 2009 il Coviri si è trasformato in Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche (Conviri) senza che ciò modificasse in misura apprezzabile tanto le funzioni quanto i limiti dell'impostazione istituzionale che continuava a non garantire l'autonomia dell'ente rispetto al potere politico, l'adeguatezza delle risorse umane e finanziarie necessarie allo svolgimento di compiti di regolazione economica del settore, perseverando nella commistione di ruoli del ministero dell'Ambiente e della Commissione in materia di determinazione delle tariffe e di controllo del servizio.
Nel frattempo il governo Berlusconi aveva avviato, su iniziativa del ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto, che aveva delega ai servizi pubblici locali, una riforma del settore che aveva determinate, per reazione, l'avvio di una campagna referendaria sull'acqua pubblica. Con la raccolta delle firme per i referendum su nucleare e acqua pubblica, si erano infittiti i tentativi di assegnare il settore dell'acqua alla regolazione di un'autorità pubblica ed indipendente al pari di quello che accade per l'energia elettrica ed il gas o per le telecomunicazioni.
Questa era anche una risposta, nelle intenzioni di Palazzo Chigi e di Fitto, alla demagogica campagna referendaria, in quanto rafforzava, rendendola trasparente, la funzione di controllo nella formazione delle tariffe e di regolazione delle attività svolte dai gestori, pubblici o privati che fossero. Non se ne fece nulla e sappiamo poi come il referendum sull'acqua andò a finire: con l'abrogazione integrale dell'articolo 23-bis del decreto 112/2008 e l'azzeramento della riforma dei servizi pubblici locali poi ripresa con il decreto di ferragosto del 2011.
Ancora a luglio 2011 con il decreto legge n. 70 (decreto Sviluppo), all'esito di un braccio di ferro fra il ministro Prestigiacomo e quanti, Fitto tra questi, proponevano invece il passaggio delle funzioni di regolazione sull'idrico all'Autorità per l'energia e il gas (Aeeg), il Conviri viene soppresso e, al suo posto, viene istituita l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua.
Ancora una volta una soluzione pasticciata (secondo la maggioranza dei tecnici dell'esecutivo) che, pur avvicinandosi alla figura di autorità indipendente, non scioglieva del tutto i rapporti con l'autorità politica (ministro per l'Ambiente) e non era dotata delle risorse di personale e finanziarie adeguate all'importanza e complessità del ruolo. L'Agenzia non è però mai nata, vittima anche del ruvido trattamento riservato alla Prestigiacomo dall'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti (più diplomaticamente si direbbe lunghezze burocratiche per l'approvazione degli atti amministrativi da parte della Ragioneria) e dell'insofferenza della Lega rispetto al tema.
Arriviamo quindi al governo Monti che con l'articolo 21 del decreto 201/2011 (Salva Italia) dispone, nell'ordine, la soppressione dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua e il passaggio delle competenze relative a regolazione e controllo dei servizi idrici all'Aeeg.
Tutto bene? No, perché l'ultimo passo del comma 19, aggiunto in sede parlamentare su pressione del ministero dell'Ambiente, stabilisce che «le funzioni da trasferire sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.»
Ma i 90 giorni sono ormai trascorsi senza che il Dpcm abbia visto la luce. Eppure, notano i tecnici, il decreto è semplicissimo, per certi versi finanche inutile, dovendosi limitare a definire quali delle funzioni elencate nell'articolo 10 del decreto legge 70 devono passare dalla soppressa Agenzia all'Aeeg. Il dicastero dell'Ambiente retto da Corrado Clini ha redatto una bozza di Dpcm, che ItaliaOggi ha letto, che è stato anche sottoposto alla valutazione della Conferenza delle Regioni.
Il giudizio unanime di quanti hanno studiato il testo e si interessano di regolazione è negativo. Sulla stessa linea sarebbe anche il sottosegretario Caludio De Vincenti che, per il ministero dello Sviluppo, segue tutta la partita delle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali. La bozza di Dpcm conterrebbe disposizioni illegittime quando assegna nuove funzioni al ministero dell'Ambiente; inoltre, verrebbe a delinearsi un quadro confuso in cui la competenza di regolazione della tariffa risulta condivisa tra ministero e Autorità generando confusione e commistione di ruoli.
In una situazione nella quale finanche le imprese del settore chiedono di essere regolate da un'autorità indipendente e «autorevole», in cui si attende, da oltre 15 anni, una revisione del metodo tariffario introdotto nel lontano 1996, in cui uno tra i principali elementi di criticità che impediscono lo sviluppo di un mercato di fornitura dei servizi idrici efficiente e comparabile come quello dei paesi europei più avanzati è proprio la mancanza di un sistema di regolazione e controllo indipendente e dotato di adeguate competenze specifiche, possiamo continuare ad attendere il dirimersi di questioni di attribuzione di competenze anche in presenza di una legge che è chiara?
L'esito referendario ha sancito l'eliminazione del riferimento al rendimento del capitale investito tra le voci di costo che la tariffa deve coprire e ciò determina incertezza dell'applicabilità di tutte le tariffe in vigore sulla base delle quali sono stati costruiti i piani di investimento su 20-30 anni. Urge, notano le società del settore, una revisione rapida del metodo tariffario già molto vecchio ed ora stravolto dal referendum. Le imprese del comparto stimano in 60 miliardi gli investimenti sulla rete nei prossimi 20-30 anni. Le banche sono sempre più restie a considerare bancabili piani di investimento soggetti a tale incertezza regolatoria e tariffaria.
Nei tre anni del governo Berlusconi la posizione del ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ha impedito, di fatto, che il settore idrico fosse sottoposto alla regolazione di un'Autorità indipendente. Secondo le leggi allora in vigore, il settore era sottoposto a una forma debole di regolazione esercitata dal Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche (Coviri) che istituiva il Servizio idrico integrato e dettava le norme di riassetto che ancora oggi sono sostanzialmente in vigore.
Nel 2009 il Coviri si è trasformato in Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche (Conviri) senza che ciò modificasse in misura apprezzabile tanto le funzioni quanto i limiti dell'impostazione istituzionale che continuava a non garantire l'autonomia dell'ente rispetto al potere politico, l'adeguatezza delle risorse umane e finanziarie necessarie allo svolgimento di compiti di regolazione economica del settore, perseverando nella commistione di ruoli del ministero dell'Ambiente e della Commissione in materia di determinazione delle tariffe e di controllo del servizio.
Nel frattempo il governo Berlusconi aveva avviato, su iniziativa del ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto, che aveva delega ai servizi pubblici locali, una riforma del settore che aveva determinate, per reazione, l'avvio di una campagna referendaria sull'acqua pubblica. Con la raccolta delle firme per i referendum su nucleare e acqua pubblica, si erano infittiti i tentativi di assegnare il settore dell'acqua alla regolazione di un'autorità pubblica ed indipendente al pari di quello che accade per l'energia elettrica ed il gas o per le telecomunicazioni.
Questa era anche una risposta, nelle intenzioni di Palazzo Chigi e di Fitto, alla demagogica campagna referendaria, in quanto rafforzava, rendendola trasparente, la funzione di controllo nella formazione delle tariffe e di regolazione delle attività svolte dai gestori, pubblici o privati che fossero. Non se ne fece nulla e sappiamo poi come il referendum sull'acqua andò a finire: con l'abrogazione integrale dell'articolo 23-bis del decreto 112/2008 e l'azzeramento della riforma dei servizi pubblici locali poi ripresa con il decreto di ferragosto del 2011.
Ancora a luglio 2011 con il decreto legge n. 70 (decreto Sviluppo), all'esito di un braccio di ferro fra il ministro Prestigiacomo e quanti, Fitto tra questi, proponevano invece il passaggio delle funzioni di regolazione sull'idrico all'Autorità per l'energia e il gas (Aeeg), il Conviri viene soppresso e, al suo posto, viene istituita l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua.
Ancora una volta una soluzione pasticciata (secondo la maggioranza dei tecnici dell'esecutivo) che, pur avvicinandosi alla figura di autorità indipendente, non scioglieva del tutto i rapporti con l'autorità politica (ministro per l'Ambiente) e non era dotata delle risorse di personale e finanziarie adeguate all'importanza e complessità del ruolo. L'Agenzia non è però mai nata, vittima anche del ruvido trattamento riservato alla Prestigiacomo dall'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti (più diplomaticamente si direbbe lunghezze burocratiche per l'approvazione degli atti amministrativi da parte della Ragioneria) e dell'insofferenza della Lega rispetto al tema.
Arriviamo quindi al governo Monti che con l'articolo 21 del decreto 201/2011 (Salva Italia) dispone, nell'ordine, la soppressione dell'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua e il passaggio delle competenze relative a regolazione e controllo dei servizi idrici all'Aeeg.
Tutto bene? No, perché l'ultimo passo del comma 19, aggiunto in sede parlamentare su pressione del ministero dell'Ambiente, stabilisce che «le funzioni da trasferire sono individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.»
Ma i 90 giorni sono ormai trascorsi senza che il Dpcm abbia visto la luce. Eppure, notano i tecnici, il decreto è semplicissimo, per certi versi finanche inutile, dovendosi limitare a definire quali delle funzioni elencate nell'articolo 10 del decreto legge 70 devono passare dalla soppressa Agenzia all'Aeeg. Il dicastero dell'Ambiente retto da Corrado Clini ha redatto una bozza di Dpcm, che ItaliaOggi ha letto, che è stato anche sottoposto alla valutazione della Conferenza delle Regioni.
Il giudizio unanime di quanti hanno studiato il testo e si interessano di regolazione è negativo. Sulla stessa linea sarebbe anche il sottosegretario Caludio De Vincenti che, per il ministero dello Sviluppo, segue tutta la partita delle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali. La bozza di Dpcm conterrebbe disposizioni illegittime quando assegna nuove funzioni al ministero dell'Ambiente; inoltre, verrebbe a delinearsi un quadro confuso in cui la competenza di regolazione della tariffa risulta condivisa tra ministero e Autorità generando confusione e commistione di ruoli.
In una situazione nella quale finanche le imprese del settore chiedono di essere regolate da un'autorità indipendente e «autorevole», in cui si attende, da oltre 15 anni, una revisione del metodo tariffario introdotto nel lontano 1996, in cui uno tra i principali elementi di criticità che impediscono lo sviluppo di un mercato di fornitura dei servizi idrici efficiente e comparabile come quello dei paesi europei più avanzati è proprio la mancanza di un sistema di regolazione e controllo indipendente e dotato di adeguate competenze specifiche, possiamo continuare ad attendere il dirimersi di questioni di attribuzione di competenze anche in presenza di una legge che è chiara?
L'esito referendario ha sancito l'eliminazione del riferimento al rendimento del capitale investito tra le voci di costo che la tariffa deve coprire e ciò determina incertezza dell'applicabilità di tutte le tariffe in vigore sulla base delle quali sono stati costruiti i piani di investimento su 20-30 anni. Urge, notano le società del settore, una revisione rapida del metodo tariffario già molto vecchio ed ora stravolto dal referendum. Le imprese del comparto stimano in 60 miliardi gli investimenti sulla rete nei prossimi 20-30 anni. Le banche sono sempre più restie a considerare bancabili piani di investimento soggetti a tale incertezza regolatoria e tariffaria.
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