Amnesty International ha chiesto a Nigeria, Regno Unito e Olanda di
aprire indagini sul ruolo avuto dal gigante petrolifero anglo-olandese
Shell in una serie di orribili crimini commessi dal governo militare
nigeriano nella regione petrolifera dell’Ogoniland negli anni Novanta.
La richiesta è stata fatta da Amnesty International in occasione del lancio di un suo rapporto che esamina migliaia di pagine di documenti interni della Shell, dichiarazioni di testimoni e denunce presentate, all’epoca dei fatti, dalla stessa organizzazione per i diritti umani.
La richiesta è stata fatta da Amnesty International in occasione del lancio di un suo rapporto che esamina migliaia di pagine di documenti interni della Shell, dichiarazioni di testimoni e denunce presentate, all’epoca dei fatti, dalla stessa organizzazione per i diritti umani.
La campagna del governo militare nigeriano per ridurre al silenzio le
proteste degli ogoni contro l’inquinamento prodotto dalla Shell causò
gravi e diffuse violazioni dei diritti umani, molte delle quali
costituiscono anche precise fattispecie di reato penale.
“Le prove che abbiamo esaminato mostrano che la Shell incoraggiò
ripetutamente i militari nigeriani ad affrontare le proteste locali, pur
sapendo l’orrore che questo avrebbe procurato: uccisioni illegali,
stupri, torture e villaggi dati alle fiamme”, ha dichiarato Audrey Gaughran, direttrice del programma Temi globali di Amnesty International.
“In questa brutale repressione la Shell arrivò persino a fornire
ai militari sostegno materiale, come i mezzi di trasporto, e in almeno
un caso pagò un comandante militare noto per aver violato i diritti
umani. Il fatto che la compagnia petrolifera non sia mai stata chiamata a
risponderne è un oltraggio”, ha aggiunto Gaughran.
“Non c’è dubbio che la Shell abbia giocato un ruolo chiave negli
eventi che devastarono l’Ogoniland negli anni Novanta. Crediamo che vi
siano ragioni per aprire indagini penali. Presentare l’enorme quantità
di prove raccolte è stato il primo passo per portare la Shell di fronte
alla giustizia. Ora stiamo preparando una denuncia penale da inoltrare
alle autorità competenti”, ha spiegato Gaughran.
La campagna del governo nigeriano nell’Ogoniland culminò
nell’impiccagione, 22 anni fa, di nove leader ogoni tra cui Ken
Saro-Wiwa, lo scrittore e attivista che guidava le proteste. Le
esecuzioni, al termine di un processo clamorosamente irregolare,
provocarono uno scandalo internazionale. Nel giugno 2017 le vedove di
quattro degli impiccati hanno denunciato la Shell alla giustizia
olandese, accusando la compagnia petrolifera di complicità nella loro
morte.
Un individuo o una compagnia possono essere chiamati a rispondere sul
piano penale per un reato che abbiano incoraggiato, favorito,
facilitato o esacerbato, pur non essendone stati gli autori materiali.
Ad esempio, può comportare una responsabilità penale il fatto di essere
consapevoli che la propria condotta o un rapporto di stretta vicinanza
con gli autori materiali possano contribuire a un reato. Il nuovo
rapporto di Amnesty International, intitolato “Un’impresa criminale?” afferma che la Shell è stata coinvolta con queste modalità nei reati commessi nell’Ogoniland negli anni Novanta.
In quel periodo la Shell era la più importante compagnia petrolifera
attiva in Nigeria. Durante la crisi dell’Ogoniland, la Shell e il
governo nigeriano operavano come partner in affari e s’incontravano
regolarmente per discutere come proteggere i loro interessi.
Memorandum interni e appunti relativi agli incontri mostrano come la
Shell abbia fatto pressioni su alti funzionari del governo per ottenere
appoggio militare, anche dopo che le forze di sicurezza avevano compiuto
uccisioni di massa di dimostranti. Le stesse fonti confermano che la
Shell fornì assistenza logistica e finanziaria alle forze armate o alla
polizia nigeriana, pur essendo a conoscenza che esse erano coinvolte in
assalti mortali contro civili inermi.
La Shell ha sempre negato di essere stata coinvolta in violazioni dei
diritti umani ma non c’è mai stata un’indagine sulle accuse nei suoi
confronti.
La Shell sapeva
Le proteste contro la devastazione dell’Ogoniland causata dalle fuoriuscite di petrolio dagli impianti della Shell erano guidate dal Movimento per la sopravvivenza del popolo ogoni (Mosop).
Nel gennaio 1993, dopo che il Mosop aveva dichiarato che la Shell non
era più benvenuta nella regione, la compagnia sospese temporaneamente
le attività adducendo motivi di sicurezza.
Secondo i documenti interni analizzati da Amnesty International,
mentre la Shell pubblicamente cercava di minimizzare i danni causati
all’ambiente, suoi alti dirigenti riconoscevano che le proteste del
Mosop erano legittime ed erano fortemente preoccupati per le cattive
condizioni degli oleodotti.
Il 29 ottobre 1990 la Shell chiese a un reparto speciale paramilitare
della polizia, chiamato Polizia mobile, “protezione per la sicurezza”
dei suoi impianti nel villaggio di Umuechem, dove erano in corso
proteste pacifiche. Nel giro di due giorni, la Polizia mobile attaccò il
villaggio con fucili e granate, uccidendo almeno 80 persone e dando
fuoco a 595 abitazioni. Molti dei corpi vennero gettati in un fiume
vicino.
Almeno da quel momento in poi, i dirigenti della Shell sarebbero
stati consapevoli dei rischi associati alle richieste d’intervento delle
forze di sicurezza. Ciò nonostante, la Shell continuò a invocarlo.
Ad esempio nel 1993, poco dopo aver lasciato l’Ogoniland, la Shell
chiese ripetutamente al governo nigeriano di dispiegare l’esercito nella
regione per proteggere un nuovo oleodotto che era in corso di
realizzazione da parte di un’azienda appaltatrice. Il risultato furono
11 morti il 30 aprile nel villaggio di Biara e un morto il 4 maggio nel
villaggio di Nonwa.
Meno di una settimana dopo l’incursione nel villaggio di Nonwa,
funzionari della Shell ebbero una serie di incontri con alti funzionari
del governo e della sicurezza della Nigeria.
Gli appunti di questi incontri mostrano che, invece di esprimere
preoccupazione per l’uccisione di dimostranti inermi, la Shell fece
pressioni per poter tornare a operare nell’Ogoniland offrendo in cambio
aiuto “logistico”.
Sostegno finanziario
La Shell offrì anche sostegno finanziario. Un suo documento interno mostra che il 3 marzo 1994 la Shell versò oltre 900 dollari all’Istf, un’unità speciale creata per “ripristinare l’ordine” nell’Ogoniland. Solo 10 giorni prima il comandante di quell’unità aveva ordinato di aprire il fuoco contro una manifestazione di fronte al quartier generale della Shell di Port Harcourt. Il documento spiega che quel pagamento era “un segno di gratitudine e di incentivo per una futura attitudine positiva [verso la Shell]”.
“In un certo numero di occasioni, le richieste fatte dalla Shell
al governo nigeriano affinché contribuisse ad affrontare quella che la
compagnia chiamava ‘la questione degli ogoni’ vennero seguite da una
nuova ondata di violazioni dei diritti umani nell’Ogoniland. È difficile
non vedere il rapporto causale o immaginare che la Shell non sapesse
come le sue richieste in quel periodo sarebbero state interpretate”, ha commentato Gaughran.
“In alcuni casi la Shell ebbe un ruolo più diretto nei bagni di
sangue, ad esempio trasportando sui suoi mezzi le forze armate nei
luoghi ove erano in corso proteste, persino quando divenne chiaro quali
sarebbero state le conseguenze di tale comportamento. Questo equivale
chiaramente a rendere possibili o facilitare i crimini orribili che ne
seguirono”, ha aggiunto Gaughran.
Indicare le comunità delle proteste
Il 13 dicembre 1993, poco dopo il colpo di stato che aveva portato al potere il generale Sani Abacha, la Shell scrisse al nuovo amministratore militare dello Stato dei Fiumi, facendo i nomi delle comunità in cui erano in corso le proteste contro la compagnia e richiedendo assistenza.
Un mese dopo, nel gennaio 1994, il governo istituì l’Istf. Nel corso
dell’anno la violenza contro gli ogoni raggiunse picchi terrificanti e
l’Istf si rese responsabile di raid nei villaggi ogoni, arresti, stupri,
torture e uccisioni.
Secondo un rapporto di Amnesty International pubblicato il 24 giugno
1994, in quel periodo vennero attaccati oltre 30 villaggi e “più di 50
membri del gruppo etnico ogoni furono vittime di esecuzioni
extragiudiziali”. Il comandante dell’Istf si vantò in televisione di
queste operazioni, che ebbero dunque una notevole risonanza. Nel luglio
dello stesso anno l’ambasciatore olandese fece sapere alla Shell che
l’esercito aveva ucciso circa 800 ogoni.
Ken Saro-Wiwa nel mirino
I documenti interni mostrano che nel 1994-95, proprio al culmine della crisi degli ogoni, l’allora presidente della Shell in Nigeria, Brian Anderson, ebbe almeno tre incontri col generale Sani Abacha. Il 30 aprile 1994 Anderson sollevò “il problema degli ogoni e di Ken Saro-Wiwa”, descrivendo i riflessi economici derivanti alla compagnia dalle attività portate avanti dal Mosop.
Ken Saro-Wiwa era già nel mirino del governo e, parlando di lui nel
corso di quell’incontro, Anderson incoraggiò irresponsabilmente
un’azione contro di lui. Anderson riferì di essere uscito da
quell’incontro con la sensazione che Abacha “[sarebbe intervenuto] o con
l’esercito o con la polizia”.
Infatti, nel giro di un mese Ken Saro-Wiwa e altri leader del Mosop
vennero arrestati e accusati, senza alcuna prova, di partecipazione
all’omicidio di quattro noti leader tradizionali. Vennero posti in
isolamento e torturati, per poi essere sottoposti a un processo-farsa e
impiccati nel novembre 1995.
I documenti analizzati da Amnesty International mostrano che la Shell
sapeva che sarebbe stato assai probabile che Ken Saro-Wiwa venisse
giudicato colpevole e messo a morte. Tuttavia, continuò a discutere col
governo su come affrontare “la questione degli ogoni”. È davvero
difficile immaginare che la Shell non abbia incoraggiato, e persino
condiviso, l’azione del governo contro Ken Saro-Wiwa e gli altri leader
ogoni.
Amnesty International chiede che le indagini siano avviate nelle tre
giurisdizioni competenti: in Nigeria, dove si verificarono i reati, e in
Gran Bretagna e Olanda, dove la Shell ha sede.
“Nelle sue parole finali di fronte al tribunale che lo aveva
condannato a morte, Ken Saro-Wiwa ammonì che un giorno sarebbe stato il
turno della Shell a essere processata. Vogliamo che ciò accada”, ha annunciato Gaughran.
“Giustizia dev’essere fatta: per Ken Saro-Wiwa e per le migliaia
di altre persone le cui vite sono state rovinate dalla distruzione
dell’Ogoniland da parte della Shell”, ha concluso Gaughran.
Ulteriori informazioni
I documenti interni della compagnia – tra cui fax, lettere ed e-mail tra i suoi vari uffici – evidenziano che le responsabilità per l’operato della Shell durante la crisi degli ogoni non riguardarono solo il personale presente in Nigeria e che in ogni momento i vertici della Shell all’Aja e a Londra erano pienamente a conoscenza di quanto stesse accadendo nel paese africano.
I documenti interni della compagnia – tra cui fax, lettere ed e-mail tra i suoi vari uffici – evidenziano che le responsabilità per l’operato della Shell durante la crisi degli ogoni non riguardarono solo il personale presente in Nigeria e che in ogni momento i vertici della Shell all’Aja e a Londra erano pienamente a conoscenza di quanto stesse accadendo nel paese africano.
Un memorandum fa riferimento all’approvazione da parte dei vertici di
una dettagliata strategia elaborata nel dicembre 1994 dalla Shell
Nigeria su come rispondere alle critiche dopo le proteste degli ogoni.
Nel marzo 1995 i vertici della Shell di Londra ebbero un incontro con un
rappresentante dell’esercito nigeriano, concordando di “vedersi
periodicamente” per scambiare informazioni.
Amnesty International ha chiesto alla Royal Dutch Shell e alla Shell
Nigeria di commentare le sue conclusioni. Questa è la risposta della
Shell Nigeria:
“Le denunce citate nella vostra lettera sono false e prive di merito. [La Shell Nigeria] non ha colluso con le autorità militari per sopprimere le proteste delle comunità e non ha in alcun modo incoraggiato o invocato l’uso di qualsivoglia atto di violenza in Nigeria. La compagnia ritiene che il dialogo sia il mezzo migliore per risolvere le dispute. Abbiamo sempre respinto tali denunce, nel modo più netto possibile”.
“Le denunce citate nella vostra lettera sono false e prive di merito. [La Shell Nigeria] non ha colluso con le autorità militari per sopprimere le proteste delle comunità e non ha in alcun modo incoraggiato o invocato l’uso di qualsivoglia atto di violenza in Nigeria. La compagnia ritiene che il dialogo sia il mezzo migliore per risolvere le dispute. Abbiamo sempre respinto tali denunce, nel modo più netto possibile”.
https://www.amnesty.org/en/documents/AFR44/7393/2017/en/
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