“Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di
Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato
che faceva il falegname e maneggiando chiodi si procurava spesso degli
incidenti sul lavoro. Perché parlava in pubblico e per vizio si
dissetava con l´aceto, perché perdeva al gioco e i suoi vestiti finivano
divisi tra i vincenti a fine di partita.“
”I colpi
riportati sopra il corpo non dipendono da flagellazioni, ma da caduta
riportata mentre saliva il monte Golgota appesantito da attrezzatura non
idonea e la ferita al petto non proviene da lancia in dotazione alla
gendarmeria, ma da tentativo di suicidio, che infine il detenuto è
deceduto perché ostinatamente aveva smesso di respirare malgrado
l’ambiente ben ventilato. Più morte naturale di così toccherà solo a tal
Stefano Cucchi quasi coetaneo del su menzionato.”
Erri de Luca, scrittore
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Violenze e crimini senza colpevoli, nel buio delle carceri
Troppo spesso sono le forze dell'ordine a macchiarsi di abusi e violenze contro i detenuti. Troppe le morti sospette, segnate dal silenzio delle istituzioni. Perché l'Italia non ammette la pena di morte e la tortura, ma forse le tollera quando avvengono dietro le sbarre
di Samanta Di Persio - Cadoinpiedi, 6 Giugno 2013
Quando intervistai la madre e la sorella di Stefano Cucchi ci incontrammo vicino al luogo dove fu arrestato il ragazzo. Le due donne, seppur disperate e straziate dal dolore, avevano una speranza: la giustizia.
Raccontavano il dramma di Stefano, avevano messo a nudo la loro vita,
foto diffuse attraverso i media con l'unico obiettivo di scoprire la
verità. Iniziarono ad informarsi e trovarono Fabio Anselmo, l'avvocato della famiglia Aldrovandi. Dall'alta parte però sui giornali comparivano le parole prive di fondamento dei massimi esponenti delle istituzioni: Giovanardi
(allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle
politiche per la famiglia ed al contrasto per le tossicodipendenze)
definì Stefano Cucchi un drogato morto di anoressia, La Russa
espresse piena fiducia nelle forze di polizia. Giudizi per influenzare
l'opinione pubblica, prima che la magistratura accerti cosa sia
accaduto, non dovrebbero esprimersi in un Paese civile e democratico.
Stefano Cucchi è stato portato in carcere e nella cartella clinica c'è
scritto: "Riferisce caduta accidentale nella giornata di ivi
(16/10/2009) consigliato ricovero presso Fatebenefratelli che il
detenuto ha rifiutato" Inoltre lamentava dolore all'addome e alla
regione sacro coccigea. In un altro referto si può leggere "Si rilevano lesioni ecchimotiche
in regione palpebrale inferiore bilateralmente, di lieve entità e
colorito purpureo. Riferisce dolore e lesioni anche alla regione sacrale
e agli arti inferiori, ma rifiuta l'ispezione." Già questi pochi
dettagli bastano per sollevare dei dubbi. Aspetteremo le motivazioni
della sentenza che assove gli infermieri, ma
soprattutto gli agenti di polizia penitenziaria. Da non dimenticare che
Stefano la prima notte la trascorse nella caserma dei carabinieri e la
mattina in tribunale aveva già il volto segnato, ma i carabinieri raramente vengono indagati.
Da "La pena di morte italiana". Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi sono morti in circostanze oscure dopo l'arresto da parte delle forze dell'ordine. Casi ormai emblematici che grazie allo sforzo delle famiglie sono arrivati in tribunale. Ma per poche storie che hanno conquistato le prime pagine dei quotidiani, ce ne sono molte altre che l'opinione pubblica ha dimenticato o ignorato. Come quella di Niki Aprile Gatti, arrestato per una frode informatica in cui è coinvolta la società dove lavora. Unico tra i 18 accusati, accetta di collaborare, e cinque giorni dopo viene trovato impiccato in prigione. Come può un laccio da scarpe aver retto il peso di un ragazzo di 92 chili? E Fabio Benini, morto a trent'anni di infarto alle Vallette di Torino: soffriva di anoressia, aveva perso 50 chili e collassava due volte al giorno, perché nessuno ha saputo intervenire? Non bastano il sovraffollamento e l'inadeguata assistenza psicologica e sanitaria a spiegare queste storie: spesso sono proprio le forze dell'ordine a macchiarsi di omissione di soccorso, abusi e violenze contro i detenuti che dovrebbero proteggere e rieducare. Troppe le morti sospette, segnate dal silenzio delle istituzioni. Perché l'Italia per legge non ammette la pena di morte e la tortura, ma forse le tollera quando avvengono dietro le sbarre.
Da "La pena di morte italiana". Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi sono morti in circostanze oscure dopo l'arresto da parte delle forze dell'ordine. Casi ormai emblematici che grazie allo sforzo delle famiglie sono arrivati in tribunale. Ma per poche storie che hanno conquistato le prime pagine dei quotidiani, ce ne sono molte altre che l'opinione pubblica ha dimenticato o ignorato. Come quella di Niki Aprile Gatti, arrestato per una frode informatica in cui è coinvolta la società dove lavora. Unico tra i 18 accusati, accetta di collaborare, e cinque giorni dopo viene trovato impiccato in prigione. Come può un laccio da scarpe aver retto il peso di un ragazzo di 92 chili? E Fabio Benini, morto a trent'anni di infarto alle Vallette di Torino: soffriva di anoressia, aveva perso 50 chili e collassava due volte al giorno, perché nessuno ha saputo intervenire? Non bastano il sovraffollamento e l'inadeguata assistenza psicologica e sanitaria a spiegare queste storie: spesso sono proprio le forze dell'ordine a macchiarsi di omissione di soccorso, abusi e violenze contro i detenuti che dovrebbero proteggere e rieducare. Troppe le morti sospette, segnate dal silenzio delle istituzioni. Perché l'Italia per legge non ammette la pena di morte e la tortura, ma forse le tollera quando avvengono dietro le sbarre.
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