L’aggressione nel Rojava non è soltanto una questione geopolitica
tra Usa, Turchia, Russia, Siria e Ue: è prima di tutto il tentativo di
attaccare il processo iniziato cinque anni fa che ha cambiato le
mentalità e le relazioni sociali di quel territorio e parla a tutto il
mondo. «Le persone di questo movimento hanno cominciato a riorganizzare
tutte le sfere della vita… – racconta Ercan Ayboga, giovane ingegnere
ambientale da sempre nel progetto di Confederalismo Democratico in
Rojava – Un processo nel quale le donne, auto-organizzandosi… si sono
emancipate dall’oppressione e dalla disuguaglianza di trattamento.
L’aspetto democratico va inteso così: non come il sistema parlamentare
presente in tutto il mondo, ma come un sistema di coinvolgimento
diretto; noi diciamo “democrazia radicale”…»
Dopo l’attacco turco contro la regione prevalentemente curda del
nord-est della Siria, Ercan Ayboga ci ha parlato delle politiche
razziste della Turchia, della democrazia diretta in Rojava e della
reazione internazionale.
Angelina Kussy e gli altri membri del collettivo (collettivo AK): Il
9 ottobre il mondo è venuto a conoscenza che la Turchia stava
bombardando il Rojava dopo che Donald Trump aveva deciso di ritirare
truppe dalla Siria. Puoi spiegare che cosa sta succedendo in Rojava?
Ercan Ayboga:
Dal 9 ottobre l’esercito turco ha attaccato una striscia di cinquecento
chilometri lungo il confine con la Siria. È appoggiato da migliaia,
forse decine di migliaia di mercenari, compreso il cosiddetto “Esercito
Siriano Libero” che ha prevalentemente radici in organizzazioni come
al-Qaeda e ISIS. Questo attacco è un’invasione illegittima. L’esercito
turco e i jihadisti hanno attaccato non solo posizioni militari, ma
anche civili con aerei e carri armati. Distruggono ospedali, case, reti
elettriche e idrici. È una campagna terroristica.
Civili, assieme
alle Forze Democratiche Siriane (SDF) [le SDF combattono per una Siria
laica, democratica e decentralizzata] stanno resistendo con quello che
hanno, ma non hanno neppure armi antiaeree. Considerate le loro risorse,
la resistenza è forte e il massimo di quanto è realizzabile. Dunque,
anche se la gente si organizza questa è una lotta iniqua, impari.
Il presidente turco Erdogan dice che sta combattendo contro “terroristi”.
Lo
stato turco dice che le forze armate che costituiscono il YPG (Unità
Popolari di Difesa) e il YPJ (Unità Femminili di Difesa) che formano
parte dello SDF e che negli ultimi cinque anni hanno difeso Kobane,
Heseke (Al-Hasakah) e il territorio attorno Aleppo dall’ISIS sono
terroristi e che minacciano lo stato turco. È falso. Non hanno
attaccato la Turchia nemmeno una volta prima dell’invasione. Le forze di
difesa del nord-est della Siria hanno fatto quanto era stato concordato
(tra SDF, Turchia e USA all’inizio di agosto 2019) per offrire un
meccanismo di “sicurezza” lungo il confine turco-siriano. Per la
Turchia ciò non è stato abbastanza, perché il suo piano è di
controllare quell’area e di continuare a operare cambiamenti
demografici nella regione, come ha fatto ad Afrin.
L’esercito
turco ha attaccato Afrin [il cantone più occidentale di Rojava/Siria
nord-est] a gennaio 2018, appoggiato dalla Russia che ha dato semaforo
verde alla Turchia. È stata una situazione simile. Nonostante una forte
resistenza dello SDF, l’esercito turco accanto ai jihadisti ha occupato
quell’area. Quando l’esercito turco si è avvicinato alla città di Afrin,
lo SDF si è ritirato al fine di prevenire uno spaventoso massacro.
L’invasione ha comunque determinato la morte di trecento civili e di
mille difensori di Afrin. Nel periodo successivo quasi tutti i curdi
hanno lasciato Afrin e quel cambiamento demografico è stato completato
quando la Turchia ha introdotto combattenti jihadisti e le loro
famiglie. Oggi la stessa cosa sta avvenendo nelle parti occupati del
nord-est della Siria. Mentre parliamo stanno attaccando la regione con
bombe.
Quale è stato il ruolo degli Stati Uniti in questa invasione turca?
Il
7 ottobre si sono ritirati da posizioni militari a Serekaniye e Tel
Abyad (in curdo: Gri Spi) direttamente sul confine con la Turchia. In
entrambi i luoghi l’esercito turco e suoi delegati sono ora all’attacco.
Non ci sono molti soldati statunitensi nel nord-est della Siria, ma
controllano l’aria e dunque [ritirandosi] gli USA hanno dato alla
Turchia l’opportunità di attaccarci con l’aviazione. Hanno dato
semaforo verde al dittatore.
Non possiamo ignorare il fatto che la
politica dello stato turco, non limitata solo al governo attuale, è
profondamente razzista e anche islamista. Le persone che in Turchia
criticano l’invasione sono sotto pesante attacco. Nazionalisti e
islamisti in Turchia temono i curdi a causa dei processi di democrazia
diretta che promuovono e delle prospettive politiche che i curdi
condividono con altre forze democratiche d’opposizione in Turchia e in
Siria. Molti parlano di tradimento perché dopo che i curdi hanno
combattuto lo Stato Islamico con il sostegno statunitense, Trump ha
aperto la strada alla pulizia etnica turca nella regione.
E Trump, e il resto del mondo, possono far scomparire il pericolo dell’ISIS?
No.
Lo SDF è una forza multietnica, principalmente curdi, ma anche arabi,
assiri, ceceni, armeni e turcomanni. Sono stati assolutamente cruciali
nello sconfiggere l’ISIS quest’anno nella Siria orientale. Senza di
loro l’ISIS non avrebbe potuto essere battuto nel medio termine, né dal
regime siriano, né dalla coalizione globale guidata dagli Stati Uniti.
La minaccia per il mondo intero avrebbe continuato ad aumentare.
Gli
Stati Uniti li hanno appoggiati dall’aria e con equipaggiamenti, ma
migliaia di membri dello SDF sono morti per questa causa. Ora più di
10.000 membri dell’ISIS sono in carcere, e anche circa 60.000 familiari
di membri dell’ISIS. Lo SDF ha chiesto ai governi di tutto il mondo di
riprendersi in casa [da queste carceri] i loro cittadini – per la
maggior parte non cittadini siriani – e solo pochi l’hanno fatto. Ora,
con i bombardamenti turchi, sono fuggiti a centinaia. Possono andare
dovunque, riorganizzarsi nel deserto e lanciare attacchi in Europa,
Asia, Africa e America. E la Turchia ha appoggiato l’ISIS sin
dall’inizio. Membri arrestati dell’ISIS hanno parlato apertamente in
varie interviste a proposito della loro collaborazione con la Turchia.
Il
Rojava è noto per la sua attuazione della democrazia diretta e della
liberazione delle donne. Ciò non è soltanto progressista, tenendo conto
dell’oppressione delle donne da parte di molti governi statali
autoritari in Medio Oriente, ma persino secondo i parametri occidentali.
Puoi spiegare come funziona il “confederalismo democratico”?
La
Federazione Democratica del Nord-Est della Siria [comunemente nota
come Rojava] è una regione autonoma in Siria che è stata sviluppata in
anni recenti. Non è collegata all’esercito siriano, all’opposizione
islamista o a qualsiasi altra resistenza reazionaria o antidemocratica.
Circa cinque milioni di persone vivevano nella regione; dopo l’invasione
circa 300.000 sono già sfollati. È di gran lunga la regione più
democratica e pacifica della Siria, sempre aperta a profughi dalla
Siria e persino dall’Iraq.
Dall’inizio della guerra [civile
siriana] il movimento curdo per la libertà ha cominciato a organizzarsi
in Rojava. Ha creato un’amministrazione democratica autonoma nel 2012,
poi l’ha riorganizzata all’inizio del 2014. Chiamiamo questo
processo una rivoluzione perché ha cominciato a cambiare le mentalità e
le relazioni sociali. Le persone di questo movimento hanno cominciato a
riorganizzare tutte le sfere della vita: politicamente,
culturalmente ed economicamente. Si sono anche arruolate nelle forze
armate, il YPG, e hanno creato il YPJ, basato solo su donne, che è
diventato famoso quando l’ISIS ha attaccato Kobane nel settembre del
2014.
È stato solo successivamente che i media si sono interessati
alla natura di questo movimento in tutte le sfere della vita. Dovunque
andassero giornalisti, c’erano donne. Abbiamo una quota di genere del
40 per cento in ogni posizione pubblica e un sistema di alti
rappresentanti [uomini e donne] co-presieduto. Questo ha cambiato la
mentalità antidemocratica e patriarcale della gente nel corso degli
anni. Naturalmente c’era, e rimane, una certa opposizione a questo, ma è
limitata.
Questo è stato un processo in cui le donne,
auto-organizzandosi e ottenendo voce e protagonismo, si sono emancipate
dall’oppressione e dalla disuguaglianza di trattamento. L’aspetto
democratico va inteso così: non come il sistema parlamentare presente
in tutto il mondo, ma come un sistema di coinvolgimento diretto; noi
diciamo “democrazia radicale”. La democrazia è quando la
maggioranza della società dibatte e prende decisioni in continuazione. E
quel che questo significa è che a livello di base ci sono comuni: fino
a duecento famiglie formano una comune e si incontrano regolarmente a
fini di coordinamento, organizzando molte cose della loro vita
quotidiana, dell’economia, della politica, dell’istruzione, della
sanità… Dovunque si vada nel nord-est della Siria si possono
trovare circa 4.000 comuni multietniche che organizzano la vita sul
campo.
Poi ci sono i consigli popolari a livelli più
elevati. Questi sono, diciamo, una combinazione di parlamentarismo e
democrazia diretta: 60 per cento eletti e 40 per cento da diversi
movimenti e settori sociali e minoranza etnico-religiose. La
struttura consente la partecipazione e il coinvolgimento di gruppi e
organizzazioni differenti, cosicché la democrazia significa la continua
partecipazione di tutti.
Nelle comuni la maggioranza delle decisioni è presa raggiungendo l’unanimità in
queste assemblee in modo che tutti abbiano l’opportunità di
partecipare, e la maggioranza lo fa. Non tutti, ma la maggioranza.
Isolati
dagli Stati Uniti e dall’Europa, siete stati costretti a concludere un
accordo con il governo siriano. Su quale genere di cose avete
concordato? Il Rojava dovrà rinunciare alla sua autonomia al fine di
proteggere la vita della gente?
L’accordo concluso
dall’amministrazione autonoma del nord-est della Siria è stato raggiunto
in condizioni molto difficili e rischiose, causate dall’invasione
turca. C’erano sempre stati dialoghi con il governo centrale siriano.
Dal 2017 ci sono stati seri negoziati in cerca di una soluzione
politica. Sono stati fatti progressi, ma il governo siriano non era
interessato a concludere questo accordo. Naturalmente la sua posizione
fa conto sul governo russo, che è la forza principale che mantiene al
potere il partito Baath in Siria. La Russia ha moderato i negoziati del
passato e anche l’accordo più recente.
L’accordo attuale copre
solo aspetti militari e prevede che il governo siriano invierà truppe
al confine e in luoghi, come Ain Issa, che sono sotto la minaccia delle
truppe turche. Questo accordo non tocca l’autogoverno democratico nei
territori liberati. Se il governo siriano è cruciale nel difendere il
nord-est della Siria dall’aggressione turca, allora sanno probabilmente
conclusi anche accordi su affari interni, comprese la sicurezza locale,
la sanità, l’istruzione, l’economia e via dicendo. Al momento è molto
difficile da prevedere.
Se il nord-est della Siria riuscirà a
difendersi e aumenterà la solidarietà internazionale, allora il governo
siriano non sarà in grado di minare la nostra autonomia democratica. Se
le truppe siriane nel nord-est della Siria non contribuiranno a fermare
l’invasione turca e la Turchia riuscirà a occupare grandi parti del
nord-est della Siria in modo criminale, non rimarrà molto da negoziare
dell’autogoverno del Rojava. Ma se il governo siriano – e la Russia –
sarà cruciale nel fermare l’invasione turca, il governo siriano potrà
dominare il contenuto di ulteriori accordi. È rischioso concludere
accordi con il governo siriano in condizioni svantaggiate, perché la
vecchia mentalità del governo siriano non è cambiata. È autoritario.
Ma
il regime siriano è alleato della Russia e la Russia è alleata della
Turchia. Potresti spiegare il ruolo della Russia nella regione?
La
Russia oggi cerca di trarre vantaggio dalla situazione premendo il
nord-est della Siria a concludere accordi con il governo siriano. La
Russia e gli Stati Uniti hanno molti interessi geostrategici in Siria e
attorno alla Siria nel Medio Oriente, dunque non è qualcosa di
collegato solo alla Siria. L’interesse della Russia è innanzitutto
mantenere il potere del regime Baath in Siria. Soltanto l’attivo
sostegno russo in anni recenti ha consentito al regime di Assad di
sopravvivere. Per la Russia non è tanto l’interesse economico a lungo
termine, quanto piuttosto la presenza militare sulla costa siriana.
Questo le dà una base per perseguire i suoi interessi geostrategici. È
anche mirato a contrastare la pressione politica e militare degli USA e
dell’Unione Europea sviluppata nell’ultimo o negli ultimi due decenni.
La
Russia ha due volti nella guerra siriana, come tutti gli altri stati
coinvolti in questo maggiore conflitto del nostro tempo. Tutti sono
contro un forte movimento democratico con elementi importanti di
democrazia diretta e di liberazione delle donne in Siria e in Medio
Oriente. La Russia parla da un lato ai curdi e a tutti gli altri attori
del nord-est della Siria dicendo loro che senza i curdi una soluzione
politica non è possibile. Dall’altro lato cerca di controllare il
nord-est della Siria assieme al governo siriano e all’Iran. Fintanto che
i gruppi reazionari armati islamisti erano forti in Siria, il governo
siriano e la Russia non volevano che i curdi si indebolissero. Da quando
tali gruppi sono stati indeboliti considerevolmente e i curdi hanno
avviato alleanze riuscite con gli assiri e specialmente gli arabi nel
nord-est della Siria, la situazione è mutata.
Il modo
migliore per indebolire l’autogoverno democratico nel nord-est della
Siria consiste nel permettere che lo stato turco, che è ossessionato per
la distruzione di questo progetto democratico, lo attacchi.
Così la Russia ha permesso alla Turchia di attaccare Afrin nel gennaio
2018. Ciò è stato possibile dopo che Russia e Turchia hanno sviluppato
una nuova alleanza politica nel 2016, un’alleanza che è economicamente e
politicamente molto vantaggiosa per la Russia.
Inoltre – anche
questo è cruciale – la Russia vuole allontanare ulteriormente la
Turchia dalla NATO e dalla UE e creare contraddizioni in
quell’alleanza. Mediante un tale approccio la Russia ha intravisto il
potenziale di molti vantaggi e investimenti economici in Turchia. La
Turchia compra armi e vende frutta a basso costo alla Russia. La prima
centrale nucleare in Turchia è costruita da un’impresa statale russa.
C’è una quantità di spazio per affari.
Voi avete ricevuto
un grande sostegno internazionale da dimostrazioni in città principali
di tutto il mondo. La gente è rimasta toccata da questo crimine di
guerra non solo a causa della morte di innocenti, ma anche perché, come
dicono, il Rojava rappresenta per loro “il resto della loro speranza
nell’umanità”.
Il Rojava è davvero un luogo unico. Nel
mezzo della guerra e nella regione di forti conflitti etnici noi
avevamo una società pacifica di arabi, turcomanni, turchi e via di
seguito che vivevano insieme. Una società ecologica che si sforza di
non dipendere dal petrolio e di resuscitare la natura e la sua
biodiversità. La gente si è gettata in progetti con piante, semi,
parchi, per rendere di nuovo verde il Rojava. Col tempo la
gente di tutta la Siria ha cominciato a capire che questo non è ciò che
il governo vuole. Non è una questione di nazionalismo curdo. Questo è
realmente un modo diverso di organizzare la società.
Perché noi non diciamo “vogliamo uno stato nostro”,
ma che vogliamo una nuova, democratica Siria: non nazionalista,
federativa, decentralizzata, con una nuova costituzione. Persone di
tutta la Siria e di tutto il mondo, decine di migliaia di persone, sono
venute a vedere da sé. Migliaia sono rimaste per mesi. Si sente parlare
di [volontari internazionali] che combattono e difendono il Rojava, ma
molti di più hanno aderito a processi politico-sociali, poi sono
tornati a casa e hanno informato il loro popolo di quello che accade
nel Rojava.
La società è organizzata in un modo diverso –
democratico, partecipativo – e questa non è solo l’alternativa rispetto
alla Siria e al Medio Oriente. Ha il potenziale di creare un nuovo
paradigma democratico. È per questo che parliamo della rivoluzione
democratica. La maggior parte degli stati non la vuole, naturalmente,
perché la considerano una minaccia. Ma dovunque la gente dovrebbe dire
“questo è ciò che realmente vogliamo” e imporre pressione ai propri
governi. È difficile, perché gli stati diventano così ostili. Migliaia
di persone sono venute dall’Europa, eccitate nel vedere che
un’alternativa è realmente realizzabile. È per questo che abbiamo
ricevuto tanto sostegno internazionale, ma sempre dalle persone, non
dai governi.
Che cosa pensi della reazione dell’Europa?
Francia, Germania, Norvegia e Finlandia hanno smesso di inviare armi
alla Turchia e stanno parlando di sanzioni. Pensi sia sufficiente? Che
cosa pensi della loro reazione? Che cos’altro dovrebbe essere fatto?
La
Turchia ha detto: “Se criticate la nostra invasione noi apriremo le
porte e arriveranno 3,6 milioni di siriani”. In tal modo la critica è
zittita. La UE sta negoziando con la Turchia se rinnovare o cancellare
l’accordo sui rifugiati [col quale la Turchia impedisce loro di
arrivare in Europa]. La paura è grande tra i governi dell’Europa. Nel
medio termine la UE dovrebbe premere sulla Turchia perché cambi le sue
politiche sui curdi e sui democratici, perché trovi una soluzione a
questo conflitto. Questo è il solo modo reale: che l’Unione Europea
imponga pressione allo stato turco perché trovi una via di pace con in
curdi in Turchia e in Siria.
La prima cosa che la UE dovrebbe fare è, naturalmente, non vendere più armi e usare sanzioni economiche.
L’Unione Europea ha un mucchio di potere economico in Turchia e la
Turchia non resisterebbe per più di pochi mesi a sanzioni reali. La UE
ha questa opportunità, ma non la usa. Non si preoccupa della democrazia
in Turchia e in Siria. Guarda solo ai propri stretti interessi. Ma ci
sono molti democratici in Europa che dovrebbero far sentire la propria
voce e premere sui governi.
Le reazioni governative sono state
molto deboli: dichiarazione di condanna dell’invasione non parlano di
invasione e di crimini di guerra. Parlano di “preoccupazioni”, quali più
profughi, la crescente influenza della Russia e dell’Iran in Siria e
dei membri dell’ISIS che evadono.
Smettere di vendere armi alla
Turchia non è molto efficace; solitamente tali pause durano solo alcuni
mesi e la Turchia ha un arsenale sufficiente per molti anni di guerra.
Se la UE decidesse di attuare un embargo generale della vendita delle
armi per lungo tempo, ciò trasmetterebbe certamente un segnale. Tuttavia
sono necessarie sanzioni economiche. Il 55 per cento degli affari della
Turchia è perfezionato con la UE. La Turchia è in una crisi economica e
vulnerabile.
Noi interpretiamo [l’assenza di sanzioni] in questo
modo: i governi vogliono presentarsi al proprio pubblico come
protagonisti politici che erano contro questa guerra criminale, ma il
fatto è che non l’hanno impedita quando potevano.
Movimenti
sociali, ONG e partiti politici dovrebbero chiedere un completo embargo
alla vendita di armi, accoppiato a efficaci sanzioni economiche contro
la Turchia, e continuare a dimostrare per questo. Questa guerra può
continuare a lungo, e la solidarietà è necessaria per il popolo del
nord-est della Siria e ha una reale possibilità di fermare l’invasione
dello stato turco. Un grande movimento contro la guerra in tutto
il mondo è cruciale nei giorni e settimane a venire. La Turchia non è
solo una minaccia per i curdi. Lo stato turco è la maggiore minaccia a
movimenti democratici dell’intero Medio Oriente, perché i curdi sono il
motore della democrazia in Turchia e in Siria.
E l’ISIS è
una minaccia per il mondo intero, compresi Europa e Stati Uniti.
L’Europa deve fare di più per comprendere la situazione e agire
nell’interesse di tutti noi che lottiamo per la democrazia, la libertà e
la liberazione delle donne, per l’ecologia, per la democrazia diretta e
contro il nazionalismo. È importante che siamo solidali tra noi in un
mondo, oggi, in cui regime e movimenti autoritari sono così forti.
Ercan Ayboga
ingegnere ambientale e attivista, fa parte del
progetto di Confederalismo Democratico in Rojava.
Coautore del libro Revolution in Rojava. Democratic Autonomy and Women’s Liberation in Syrian Kurdistan (Pluto Press, 2016)
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