giovedì 14 novembre 2019

Peppino Impastato, voce e scritti

Nella notte del 9 maggio del 1978, il corpo senza vita di Peppino Impastato fu abbandonato sulla linea ferroviaria di Cinisi. Un assassinio che passò quasi inosservato alla stampa nazionale, perché nel frattempo si consumava un altro delitto: quello di Aldo Moro. Oggi non c'è italiano che non conosca la sua storia. Il rifiuto di seguire le orme del padre e della sua famiglia nel mondo asfittico della mafia, l'impegno politico e l'attivismo culturale e radiofonico su Radio Aut, la stazione in cui per due anni (dal 1976 alla morte) denunciò i traffici di droga della mafia locale e ne sbeffeggiò i capi. 

La cultura ha assorbito da anni la grande lezione di Peppino, ed è difficile trovare qualcuno che non abbia cantato o abbia ballato sulle note della canzone che gli hanno dedicato i Modena City Ramblers (nell'album ¡Viva la vida, muera la muerte!, 2004) o che non abbia mai visto la splendida interpretazione di Luigi Lo Cascio nel film "I cento passi" (regia di Marco Tullio Giordana, 2000) - ormai un culto, riproposto continuamente nelle scuole per coltivare memoria e impegno.

Ma Peppino Impastato non era soltanto un intellettuale impegnato; possedeva anche un'innata sensibilità, che riversò in poesie di rara bellezza. Per la profonda corporeità della parola e dei simboli, immersi in una sintassi elementare, queste poesie ricordano i versi di Cesare Pavese. Sembra di avvicinarsi al nucleo pulsante di una verità che ha insieme le fattezze di un uomo e di un fiore, e possiede una grazia mortale...


E venne da noi un adolescente
dagli occhi trasparenti
e dalle labra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
nè fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.
Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.

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