Una giornata storica per Taranto, il 16 ottobre 2014. Una spaccatura netta tra passato e presente.
Un
passato che sarà giudicato dal processo “Ambiente Svenduto”, del quale
l’udienza preliminare di questo 16 ottobre è appunto l’inizio. Un
presente che è quello del non rispetto delle norme, come attesta oggi la
Commissione Europea che porta la procedura d’infrazione lanciata a due
riprese (settembre 2013 e aprile 2014) contro l’Italia per lo
stabilimento Ilva alla sua seconda fase, quella del “parere motivato”.
Siamo ad un passo dal deferimento alla Corte di Giustizia.
Ma andiamo per ordine.
Il
processo al passato. Esso vede 53 imputati, di cui 50 persone fisiche e
tre società, appartenenti al Gruppo Riva, ancora proprietario
dell’ILVA, fino a quando non ci sarà l’annuncio formale della vendita
ventilata, ma non confermata, che vedrebbe l’Ilva in mano al Gruppo
Marcegaglia e al colosso franco-indiano Arcelor Mittal.
Nell’udienza
preliminare il Gup Gilli dovrà deliberare sulla richiesta di rinvio a
giudizio per l’ex Presidente dell’Ilva (ed ex prefetto di Milano) Bruno
Ferrante; per due ex direttori dello stabilimento, Luigi Capogrosso ed
Adolfo Buffo; per l'ex addetto alle relazioni istituzionali dell'Ilva,
Girolamo Archiná; per il direttore dell'Agenzia regionale per la
protezione ambientale della Puglia (Arpa), Giorgio Assennato; per
l’assessore all'Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro (IdV);
per l'ex consigliere regionale della Puglia, oggi deputato di Sel,
Nicola Fratoianni; per l'attuale consigliere regionale Donato
Pentassuglia (Pd); e per l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele
Conserva (Pd); per l’ex Presidente della Provincia Gianni Florido (Pd);
e per il sindaco di Taranto (Sel) Ippazio Stefàno. Ma soprattutto, per
il Presidente della Regione Puglia e Presidente di Sel, Nichi Vendola.
Si,
perché il processo al passato e al presente dell’Ilva é un processo
alla sinistra tutta, avviluppata nella gestione dell’Ilva-gate e pronta,
come sostiene l’accusa, a cedere alle richieste del padrone Riva.
Sembra quasi un gioco del destino che la Commissione Europea e la
Magistratura, nello stesso giorno, prendano ancora una volta in mano una
il passato e l’altra il presente di una città che é stata abbandonata
da tutte le istituzioni, che avrebbero dovuto proteggerla e tirarla
fuori dai miasmi asfissianti emessi dalla fabbrica e dalla politica ad
essa amica.
Il coraggio della svolta Taranto lo ha trovato nelle
sue associazioni, che sono state la chiave di volta per uscire
dall’oppressione silenziosa nella quale essa é stata relegata.
L'inchiesta Ambiente Svenduto è nata nel 2009, a seguito delle numerose
denunce delle associazioni ambientaliste. Nel 2007 Peacelink, sulla base
del registro europeo Eper, denunciava che oltre il 90% della diossina
nazionale veniva prodotto a Taranto. Nel febbraio del 2008 la stessa
associazione faceva realizzare delle analisi sul pecorino prodotto da
aziende locali i cui capi di bestiame (abbattuti) pascolavano vicino
allo stabilimento: la diossina e gli altri inquinanti presenti nel
formaggio erano allarmanti.
Ma perché si è dovuta far carico una
associazione di commissionare le analisi che hanno portato la
Magistratura ad indagare sulla questione ambientale? Perché si é dovuta
attivare la stessa associazione per andare a Bruxelles a chiedere che la
Commissione intervenisse a difesa della città? Perché il muro di omertà
era spaventosamente ampio e talmente potente da sembrare impossibile da
scalfire.
Da una parte la Magistratura, dall’altra la
Commissione Europea. In mezzo il governo silente, ieri e oggi, che ha
sempre minimizzato, che ha cercato di occultare, che ha omesso e finto
che a Taranto non accadesse nulla di diverso dalla norma.
La
magistratura, per bocca del Gip Patrizia Todisco, ha descritto come
“disegno criminoso” ciò che avvenne dentro l’Ilva e dentro i palazzi
tarantini, baresi e romani. La politica ha permesso che l’Ilva godesse
di una impunità senza precedenti, permettendo così che i profitti dei
Riva arrivassero nelle banche estere e disegnando leggi ad hoc per
consentire allo stabilimento di produrre senza rispettare le leggi, che
venivano di volta in volta cambiate secondo le esigenze dettate
dall’Ilva stessa.
La politica ha inoltre fatto e disfatto leggi e decreti nel tentativo di fermare la magistratura.
L’accusa
per il Presidente della Regione Puglia Vendola è di concussione con i
vertici dell’azienda: la Procura di Taranto gli imputa di aver
esercitato pressioni sui vertici dell'Arpa Puglia e in particolare sul
suo direttore Giorgio Assennato, affinché ammorbidisse l'azione di
controllo verso l'Ilva. Il Sindaco di Taranto, Stefàno, deve invece
rispondere di omissione di atti d’ufficio e di non aver dato corso, in
qualità di prima autorità sanitaria della città, alle denunce in merito
all'inquinamento causato dall'Ilva.
Negli anni, sono stati
numerosi gli interventi istituzionali per salvare l’Ilva e metterla in
regola con provvedimenti ope legis contestati dalla popolazione. E la
Commissione Europea ne prende nota e lo scrive nel testo del parere
motivato annunciato stamane. Sei provvedimenti ad hoc per l’Ilva, AIA
(autorizzazione integrate ambientale) scritta nel 2011 e poi cambiata
diverse volte senza mai essere applicata.
Il processo al
presente é ancora più eclatante, perché é molto raro che la Commissione
Europea intervenga contro uno Stato Membro quando si tratta di questioni
legate all’economia e a gruppi di potere economico. Ma il Commissario
all’Ambiente Potocnik ha applicato il diritto europeo in tutta la sua
pienezza e ha saputo andare avanti con coraggio e determinazione
ammirevoli, in barba a tutte le pressioni che sono state esercitate a
Bruxelles.
La Commissione Europea ha annunciato stamane di aver
preso nuove misure contro l’Italia a causa dell’impatto generato
dall’Ilva. L’Italia, scrive la Commissione, non ha assicurato che l’Ilva
operasse in conformità alla legislazione europea sulle emissioni
industriali, con conseguenze potenzialmente pericolose per la salute e
l’ambiente, così come sanciscono la Direttiva sulle Emissioni
Industriali e tutta la legislazione europea in materia ambientale.
La
Commissione ha affermato stamane di aver riscontrato una serie
d’infrazioni alla legge europea perpetrate dall’Italia (la quale ha il
compito di garantire che sul territorio nazionale ci sia una corretta
applicazione del diritto europeo). Nel testo si parla del mancato
rispetto delle condizioni stabilite dall’AIA, di un’inadeguata gestione
di diversi aspetti fondamentali per la protezione della salute e
dell’ambiente, e si sottolinea che molti dei problemi riscontrati
derivano dalla mancata riduzione dell’alto livello delle emissioni e
delle polveri che fuoriescono dalla fabbrica e che mettono in pericolo i
cittadini di Taranto.
La Commissione affonda ancora e scrive
che gli esami condotti hanno evidenziato un pesante inquinamento
dell’aria, del suolo, della superficie e delle acque di falda, sia sul
sito Ilva che nella città di Taranto, e che la contaminazione del
quartiere Tamburi, adiacente all’Ilva, può essere attribuita alle
emissioni che fuoriescono dallo stabilimento.
I permessi per la
produzione, scrive la Commissione, possono essere concessi solo se
alcune condizioni ambientali sono rispettate. Essi devono garantire che
misure di prevenzione adeguate vengano messe in atto perché, si evince,
senza applicazione delle legge e dei protocolli previsti non é possibile
autorizzare la produzione.
L’Ilva, dice in sostanza la
Commissione Europea, opera ancora fuori legge. La politica e la
dirigenza dell’Ilva, dice la Magistratura, hanno operato fuori legge.
Il
futuro della nostra città non é più nelle mani della politica che tutto
ha visto, taciuto e nascosto. Il 16 Ottobre Taranto volta pagina.
Antonia Battaglia
(16 ottobre 2014)
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