di Alessandra Bernocco
(“Europa”, 8 marzo 2014)
El Salvador è un paese più piccolo della Sicilia, con alle spalle una lunga storia di oppressioni e ribellioni sempre domate con la forza militare.
Dalla conquista dell’America all’occupazione spagnola del sedicesimo secolo, fino all’intromissione degli Stati Uniti che con la Risoluzione 56 del 1965 autorizza i soldati americani a intervenire in qualsiasi paese latino-americano in cui esista il pericolo di sovversione.
Passando per le insurrezioni degli indios che videro la decapitazione in pubblica piazza del loro capo, per il golpe che depose il primo presidente liberamente eletto nel 1931, per la matanza de los comunistas del 1932 che fece trentamila vittime.
Negli anni Sessanta del secolo scorso la popolazione di poco più di due milioni di abitanti contava 800.000 disoccupati o sottoccupati ridotti in schiavitù dall’oligarchia dominante. E un governo militare e paramilitare repressivo schierava contro le prime formazioni democratiche milizie private e squadroni della morte.
In questo contesto si colloca l’opera di Marianella García Villas, l’avvocata dei poveri e dei contadini, figlia privilegiata della ricca borghesia ma eletta in parlamento dalle donne dei mercati.
La studentessa militante che amava suonare, dipingere e scrivere racconti, ma che sceglie la lotta a fianco del popolo e degli oppressi. E con loro si identifica in un totalizzante e rischioso processo di conversione. Marianella viene uccisa a trentaquattro anni nella giurisdizione di Suchitoto mentre stava raccogliendo le prove sull’uso di armi chimiche contro la popolazione civile da parte dei militari.
Era il 13 marzo 1983 e in quei giorni si trovava in visita pastorale Giovanni Paolo II. Il Salvador versava in piena guerra civile ma il papa non volle rinunciare alla visita alla tomba dell’arcivescovo Oscar Romero, ucciso da un sicario tre anni prima su mandato del leader del partito nazionalista conservatore.
Una figura, quella di Romero, “compromessa” politicamente a causa (e grazie) al suo impegno e alle ribadite denunce nei confronti del regime repressivo, nella quale Marianella aveva trovato un interlocutore di fiducia.
Della loro collaborazione, della loro amicizia, del loro indefesso e programmatico impegno a favore degli ultimi è testimonianza il recente volume scritto da Anselmo Palini e pubblicato dall’Editrice Ave in cui si ripercorre il passato prossimo del Salvador, a partire dalla militanza politica e religiosa di questa donna simbolo, «portatrice – scrive Raniero La Valle nella prefazione – di una storia dal significato universale e durevole». Marianella Garcìà Villas «avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi»: un libro importante per celebrare degnamente anche il nostro 8 marzo.
(“Europa”, 8 marzo 2014)
El Salvador è un paese più piccolo della Sicilia, con alle spalle una lunga storia di oppressioni e ribellioni sempre domate con la forza militare.
Dalla conquista dell’America all’occupazione spagnola del sedicesimo secolo, fino all’intromissione degli Stati Uniti che con la Risoluzione 56 del 1965 autorizza i soldati americani a intervenire in qualsiasi paese latino-americano in cui esista il pericolo di sovversione.
Passando per le insurrezioni degli indios che videro la decapitazione in pubblica piazza del loro capo, per il golpe che depose il primo presidente liberamente eletto nel 1931, per la matanza de los comunistas del 1932 che fece trentamila vittime.
Negli anni Sessanta del secolo scorso la popolazione di poco più di due milioni di abitanti contava 800.000 disoccupati o sottoccupati ridotti in schiavitù dall’oligarchia dominante. E un governo militare e paramilitare repressivo schierava contro le prime formazioni democratiche milizie private e squadroni della morte.
In questo contesto si colloca l’opera di Marianella García Villas, l’avvocata dei poveri e dei contadini, figlia privilegiata della ricca borghesia ma eletta in parlamento dalle donne dei mercati.
La studentessa militante che amava suonare, dipingere e scrivere racconti, ma che sceglie la lotta a fianco del popolo e degli oppressi. E con loro si identifica in un totalizzante e rischioso processo di conversione. Marianella viene uccisa a trentaquattro anni nella giurisdizione di Suchitoto mentre stava raccogliendo le prove sull’uso di armi chimiche contro la popolazione civile da parte dei militari.
Era il 13 marzo 1983 e in quei giorni si trovava in visita pastorale Giovanni Paolo II. Il Salvador versava in piena guerra civile ma il papa non volle rinunciare alla visita alla tomba dell’arcivescovo Oscar Romero, ucciso da un sicario tre anni prima su mandato del leader del partito nazionalista conservatore.
Una figura, quella di Romero, “compromessa” politicamente a causa (e grazie) al suo impegno e alle ribadite denunce nei confronti del regime repressivo, nella quale Marianella aveva trovato un interlocutore di fiducia.
Della loro collaborazione, della loro amicizia, del loro indefesso e programmatico impegno a favore degli ultimi è testimonianza il recente volume scritto da Anselmo Palini e pubblicato dall’Editrice Ave in cui si ripercorre il passato prossimo del Salvador, a partire dalla militanza politica e religiosa di questa donna simbolo, «portatrice – scrive Raniero La Valle nella prefazione – di una storia dal significato universale e durevole». Marianella Garcìà Villas «avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi»: un libro importante per celebrare degnamente anche il nostro 8 marzo.
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