Non mi va di condannare l’Europa al destino insito
nella sua pertinenza geografica (Occidente da occasus richiama: tramonto). Aggiungo
la criticità di un destino segnato dalla sua identità geopolitica: terra
d’origine- quindi emblema - degli Stati-nazione…
Un piccolo passo indietro e si staglia, con contorni
definiti, la “possanza” del fenomeno.
Lo Stato-nazione è creatura prettamente occidentale,
diversa dalle conformazioni statuali orientali, che non mancavano al suo tempo
e non erano mancate neanche prima di allora.
STATO MODERNO
Protagonista della storia moderna, lo Stato-nazione
esalta la guerra, la tecnica dell’amministrazione e la burocrazia degli
amministratori, il cerimoniale del sovrano (1), il diritto positivo (2).
Purtroppo però, la storia odierna si sposa meglio
con formazioni sovrane a larghe maglie, provviste di una corporatura
continentale. Stati Uniti e Cina sono già pronti, ricchi, in aggiunta, delle
potenzialità economiche che esprimono. Metterei anche la Russia, se non fosse
monca di adeguate risorse economiche.La globalizzazione, inoltre, non si può considerare
episodio occasionale, possibilmente reversibile. Non appena si prenda coscienza
dei mali che incorpora e si assuma la tensione rivoluzionaria adatta a
capovolgerla, essa rivela la sua dimensione e la sua resilienza. È infatti lo
stadio di una graduale evoluzione dell’intreccio tra mercato produzione dei
beni e volubilità dei consumi (più o meno manipolata), della simbiosi tra forze
del capitalismo ed interessi sovrani. Con l’aggiunta dello sviluppo, fino al
massimo grado dell’astrazione, delle tecniche finanziarie. (3)
RILETTURA DELLA STORIA MODERNA
La storia, si deve sapere, si presta, ferma restando
la sua dimensione scientifica, a continue riletture, risentendo di una ratio
cognoscendi che matura nel presente. Per questa via la storia moderna offre
testimonianza della pregnanza del rapporto dialettico tra potere sacro potere
sovrano e potere economico. I suoi frutti si ritrovano nel diritto moderno e in
una sorta di “rivoluzione permanente”, con precisione colta dallo storico Paolo
Prodi.
Nelle sue parole, l’Europa stessa manifesta una vera
vocazione “Inserita in un cammino dell’umanità verso una redenzione che avverrà
soltanto alla fine dei tempi (secondo la tradizione giudaico-cristiana) oppure
come speranza secolarizzata dell’avvento di una nuova era di giustizia e di
pace dell’umanità…” (4)
Appunto, seguendo il secondo piano prospettico (5),
possiamo confermare il senso - da cui la vocazione - che ha caratterizzato
l’agire dei padri costituenti dell’Europa nella crisalide della CEE.
IL CAMMINO DELLA COMUNITÀ EUROPEA
Non si era ancora conclusa la guerra e nel 1943 Jean
Monnet, membro del Comitato francese di Liberazione nazionale, affermò: “Non ci
sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità
nazionale […] gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro
popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee
dovrebbero riunirsi in una federazione”.
Ancor prima, nel ‘41, il nostro Altiero Spinelli con
l’ausilio di E. Rossi e A. Colorni, elevava lo sguardo oltre i ristretti e
minacciosi confini nazionali, suscettibili di nuove avventure egemoniche, e
indicava “ una visione d’insieme [a] tutti i popoli che costituiscono
l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica
garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano
svolgersi su una base di pacifica cooperazione in attesa di un più lontano
avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”.
NOTE.
Dall’accordo CECA ai Trattati di Roma, questa
ispirazione era ben presente agli uomini, che spinti da mente illuminata e
spronati dall’esperienza della disastrosa guerra mondiale, improntarono gli
ingranaggi transitori per la federazione europea.
DIFFICOLTÀ ODIERNE
Oggi non entusiasma più di tanto l’idea della federazione,
e se aggiungiamo le distorsioni provocate da meccanismi spuri, contaminati di
egoismo sovranitario (Consiglio dei ministri e Commissione europea), abbiamo la
risultanza di una impasse dell’Organo europeo. Né la ristrutturazione proposta
dai movimenti populisti, a mio avviso, è la cura adatta. Essi invocano una Europa
del popolo, dove popolo è parola mitica dei rigurgiti sovranista e
nazionalista. (6)
CONCLUDENDO, l’accoppiamento di giustizia e pace
qualifica un lavoro di grande spessore politico su scala mondiale, remissivo
della realpolitik, della “guerra a pezzetti” o per procura, del predominio del
profitto in sostituzione dello I care umanitario. (7)
Rosario Grillo,
dal blog Persona e Comunità
dal blog Persona e Comunità
NOTE.
1. Con
cerimoniale rappresento sia i principi dell’assolutismo sia l’azione condotta
per “la visibilità” del sovrano, sia tutto il retaggio della reggia e della
corte.
2. Si prenda
nota che la bellicosità è intrinseca, a ragione , allo Stato nazionale in
qualsiasi epoca e a qualsiasi
latitudine.
3. Oggi
pienamente dispiegate nella Borsa, nel movimento dei capitali, nella preminenza
dei broker.
4. P. Prodi, Il tramonto della rivoluzione, il Mulino
p. 54
5. Il primo
piano potrebbe apparire ai più troppo viziato dalla fede che ispira l’Autore.
Richiederebbe
comunque l’integrazione di ciò che P. Prodi Intende con “redenzione”.
6. Il populismo
dei giorni nostri conserva le tare del populismo che si sviluppò nel dopoguerra,
nei paesi latinoamericani (Argentina soprattutto) e vi aggiunge la miscela
esplosiva della demagogia spinta dalle masse in epoca digitale.
7. Debbo
contenere la disamina che meriterebbe il lavoro storiografico di P.Prodi, che,
navigando in un liquido di rilevanza mondiale ( Bockendorf, Schmitt, Waltzer) “cuce”
i punti nodali di un ordito, la storia moderna, attenta al concorso di potere
sacro e potere politico con l’aggiunta del potere economico. In essa ha la sua
culla l’Europa, che da tale simbiosi ricava alimento e sostanza. Ecco perché si
è insistito tanto, da certe angolazioni, sulle radici cristiane dell’Europa. Ci
fu allora una levata di scudi degli accoliti dell’Illuminismo, in difesa della
laicità. Furono scambiati i termini e ci fu fraintendimento! P. Prodi richiama
un campione dell’Illuminismo, come Voltaire, per confermare la consapevolezza
di questo sostrato dell’Europa.
L’insistenza su
fattori rigorosamente razionalistici, esplicitati nel meccanismo dei calcoli
razionali, che fugge la paura del “bellum omnium contra omnes” e contratta il “patto
originario” dello Stato moderno (“stato artificiale”, appunto), predilige il “modello macchina” dello Stato ai fattori
culturali e spirituali che portano “ un’anima”.
Questa la
ragione con la quale P. Prodi, nel finale della sua operetta, scritta già con
il sentore dei primi scricchiolii dell’Europa, denuncia la stanchezza della
Comunità e rileva la sua passività nella tempesta della globalizzazione. Per
completezza avviso che numerosi e più corposi volumi sono stati dedicati da
Prodi a tale argomento.
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