Pubblichiamo il discorso che Jacinda Ardern, premier neozelandese, ha pronunciato in Parlamento, nel suo primo intervento in Aula dopo l’attentato di
venerdì scorso a Christchurch, in cui un terrorista ha ucciso 50
musulmani in due moschee.
Signor presidente,
salam alaikum,
salam alaikum,
signor presidente, il 15 marzo è un giorno che rimarrà impresso per sempre nella nostra memoria collettiva. In un tranquillo venerdì pomeriggio,
un uomo ha fatto irruzione in un luogo pacifico di culto e ha ucciso
cinquanta persone. Quel tranquillo venerdì pomeriggio è diventato il più
buio dei nostri giorni. Ma per le famiglie è stato più di questo. È
stato il giorno in cui un semplice atto di preghiera, di pratica del
loro credo musulmano e della loro religione, ha portato alla perdita
delle vite dei loro cari. Quei cari erano fratelli, sorelle, padri e
bambini. Erano neozelandesi, sono noi. E poiché sono noi, noi, come
nazione, li piangiamo. Sentiamo un forte obbligo nei loro confronti. E,
signor presidente, abbiamo tanto bisogno di dire e di agire.
Uno dei ruoli che non ho mai previsto di avere, e sperato di non avere
mai, è quello di esprimere il dolore di una nazione. In questo momento, è
stato secondo soltanto al dovere di garantire assistenza a chi è stato
colpito e sicurezza a tutti. E in questo ruolo, voglio parlare
direttamente alle famiglie. Non possiamo conoscere il vostro dolore, ma
possiamo accompagnarvi in ogni vostro passo. Possiamo. E lo faremo, vi
circonderemo di aroha e manaakitanga (in Maori aroha è amore e
manaakitanga viene tradotto con ospitalità ma indica l’atto di dare il
benvenuto e di condividere le proprie cose, ndr) e di tutto ciò che ci
rende noi, noi. I nostri cuori sono pesanti ma il nostro spirito è
forte.
Signor presidente, 6 minuti dopo che con la chiamata al 111 è stata
allertata la polizia, la polizia era sul posto. L’arresto in sé non è
stato niente di meno che un atto di coraggio. Due ufficiali della
polizia hanno speronato il veicolo dal quale l’assalitore continuava a
sparare. Hanno aperto la portiera della macchina – dentro c’era
dell’esplosivo – e lo hanno tirato fuori. So che tutti noi desideriamo
dare atto alle forze dell’ordine del fatto che con le loro azioni
mettono la sicurezza dei neozelandesi al di sopra della loro, e per
questo li ringraziamo. Ma non sono stati gli unici a mostrare un
coraggio straordinario. Naeem Rashid, originario del Pakistan, è morto
dopo essersi gettato addosso al terrorista per togliergli la pistola. E’
morto cercando di salvare coloro che stavano pregando al suo fianco.
Abdul Aziz, originario dell’Afghanistan, ha affrontato il terrorista
armato dopo aver afferrato la prima cosa che gli è capitata a tiro, un
semplice pos. Ha messo a repentaglio la propria vita e senza dubbio ha
salvato quella di molti altri con il suo coraggio altruista.
Ci saranno innumerevoli storie, alcune delle quali non conosceremo mai,
ma a ciascuna, vogliamo mostrare riconoscimento qui, in quest’Aula. Per
molti di noi il primo segno della portata di questo attacco terroristico
sono state le immagini del personale di ambulanza che trasportava le
vittime all’ospedale di Christchurch. Ai primi soccorritori, alle
ambulanze e agli operatori sanitari che hanno assistito e che continuano
ad assistere coloro che sono stati feriti: vogliate accettare il
sentito ringraziamento di tutti noi. Ho visto con i miei occhi la vostra
cura e la vostra professionalità di fronte a sfide straordinarie. Siamo
orgogliosi del vostro lavoro e incredibilmente grati.
Signor presidente, se lei permette, mi piacerebbe parlare di alcune
delle misure attualmente in vigore, in particolare per garantire la
sicurezza della nostra comunità musulmana e, più in generale, la
sicurezza di tutti. Come nazione, restiamo in allerta. Anche se al
momento non c’è una minaccia specifica, stiamo mantenendo alta la
guardia. Sfortunatamente, come abbiamo visto in paesi che conoscono gli
orrori del terrorismo più di noi, c’è spesso uno schema di tensione e
azioni in crescendo nelle settimane successive, il che significa che
abbiamo bisogno di controllare e vigilare.
Abbiamo aumentato la presenza delle forze di sicurezza, ancora in corso a
Christchurch, e come indicato dalla polizia, continuerà a esserci
presenza di polizia nelle moschee in tutto il paese mentre le loro porte
sono aperte. Quando saranno chiuse, la polizia resterà nelle vicinanze.
C’è un’enorme attenzione nel garantire che i bisogni delle famiglie
vengano soddisfatti. Questa deve essere la nostra priorità. È stato
allestito un centro di assistenza sociale vicino all’ospedale di
Christchurch per assicurarsi che le persone sappiano dove rivolgersi. I
visti per i familiari all’estero sono una priorità in modo che possano
partecipare ai funerali. I costi funerari sono coperti e ci siamo mossi
rapidamente per garantire che siano inclusi i costi di rimpatrio per i
familiari che vorrebbero portare i loro cari via dalla Nuova Zelanda.
Stiamo lavorando per fornire assistenza psicologica e sociale. Il numero
1737 ha ricevuto circa 600 messaggi o telefonate.
In media durano circa 40 minuti e incoraggio chiunque abbia bisogno di
contattare e utilizzare questi servizi. Sono lì per voi. Abbiamo anche
previsto un servizio di traduzione per tutti quelli che ne avranno
bisogno: a chi lavora a questo centro, grazie. I nostri servizi di
intelligence stanno raccogliendo informazioni aggiuntive. Come in
passato, le stiamo prendendo in grande considerazione. So, signor
presidente, che ci sono stati molti e giusti interrogativi sul perché
questo attacco sia stato fatto proprio qui, in un luogo che è orgoglioso
del suo essere aperto, pacifico e vario. C’è rabbia per il fatto che è
accaduto qui. Ci sono molte domande che ancora devono trovare risposta e
posso assicurarvelo: daremo le risposte. Ieri il governo ha deciso di
aprire un’inchiesta sui fatti che hanno portato al 15 marzo.
Analizzeramo quello che sapevamo, quello che avremmo dovuto sapere e
quello che avremmo potuto sapere. Non possiamo permettere che accada di
nuovo.
Per garantire la sicurezza ai neozelandesi dobbiamo esaminare con grande
franchezza la nostra legge sulle armi. Come ho già detto, questa legge
deve cambiare. Il governo si è riunito ieri e ha stilato alcuni principi
guida, settantadue ore dopo l’attentato. Prima che ci rivedremo, lunedì
prossimo, annunceremo le nostre decisioni. Signor presidente, c’è una
persona al centro di questo atto di terrorismo contro la nostra comunità
musulmana in Nuova Zelanda. Un uomo di 28 anni, cittadino australiano, è
stato accusato di omicidio. Seguiranno altri capi di imputazione. Dovrà
affrontare tutta la forza della legge della Nuova Zelanda e le famiglie
delle vittime avranno giustizia.
Cercava di ottenere molti risultati dal suo atto di terrorismo, e uno di
questi è la notorietà. Per questo, non mi sentirete mai pronunciare il
suo nome. È un terrorista. È un criminale. È un estremista. Ma quando
parlo sarà senza nome. E imploro tutti voi e tutti quanti: pronunciate
forte il nome di chi è rimasto senza vita, non quello di chi gliel’ha
tolta, la vita. Forse cercava notorietà, ma noi in Nuova Zelanda non gli
daremo nulla. Nemmeno il suo nome.
Signor presidente, guarderemo anche al ruolo dei social media
e a quel che possiamo fare, anche a livello internazionale e
all’unisono con i nostri alleati. Non c’è dubbio che le idee e il
linguaggio della divisione e dell’odio esistono
da decenni, ma come si distribuiscono, gli strumenti della loro
organizzazione, questi sono elementi nuovi. Non possiamo semplicemente
rilassarci e accettare che queste piattaforme restino così e che ciò che
viene scritto su di loro non sia responsabilità del supporto su cui
sono scritte. Loro sono l’editore. Non sono soltanto il postino. Non può
esistere un caso di solo profitto senza responsabilità. Questo
ovviamente non elimina la responsabilità che noi tutti dobbiamo avere
come nazione, per combattere il razzismo, la violenza e l’estremismo.
Non ho tutte le risposte adesso, ma dobbiamo trovarle tutti assieme. E
dobbiamo agire.
Signor presidente, siamo profondamente grati per tutti i messaggi di
cordoglio, sostegno e solidarietà che stiamo ricevendo dai nostri amici
in tutto il mondo. E siamo grati alla comunità musulmana mondiale che ci
ha sostenuto, e noi ricambiamo il sostegno.
Concluderò ricordando alcune delle molte storie che ci hanno colpito
tutti dal 15 di marzo. Ne vorrei citare una, quella di Hati Mohemmed
Daoud Nabi. Era un uomo di 71 anni che ha aperto la porta della moschea
di Al Noor e ha pronunciato le parole “Salve fratello, benvenuto”. Sono
state le sue ultime parole. Ovviamente non aveva idea dell’odio che si
trovava dietro a quella porta, ma il suo benvenuto ci dice moltissimo –
ci dice che era membro di una fede che accoglieva tutti i suoi membri,
che mostrava apertura e gentilezza. L’ho detto molte volte, signor
presidente: siamo una nazione di 200 etnie e 160 lingue. Apriamo le
nostre porte agli altri e diciamo: benvenuto. E l’unica cosa che deve
cambiare dopo quello che è successo venerdì è che questa stessa porta
deve rimanere chiusa davanti a quanti professano odio e paura.
Sì, la persona che ha commesso quegli atti non era di qui. Non è stato
cresciuto qui. Non ha trovato qui la sua ideologia, ma questo non
significa che altri che la pensano allo stesso modo non vivano qui. Come
nazione, io so che desideriamo fornire tutto il sostegno che possiamo
alla nostra comunità musulmana nella sua ora più buia. Lo stiamo
facendo. La montagna di fiori che giace alle porte delle moschee in
tutto il paese, i canti spontanei davanti ai cancelli. Questi sono modi
di esprimere amore ed empatia. Ma vorremmo fare di più. Vorremmo che
ogni membro delle nostre comunità si sentisse al sicuro. Sicurezza
significa essere liberi dalla paura della violenza. Ma significa anche
essere liberi dalla paura dei sentimenti di razzismo e odio, che creano
un ambiente dove la violenza può prosperare. E ciascuno di noi ha il
potere di cambiare le cose. Signor presidente, venerdì sarà una
settimana dall’attacco. I membri della comunità musulmana si riuniranno
per la preghiera quel giorno. Condividiamo il loro lutto. Sosteniamoli
mentre si riuniscono e pregano. Siamo una cosa sola, noi e loro.