Perché Peter Steudtner è stato liberato?
Non dite “Perché è innocente!”. Se fosse così nelle prigioni turche non ci sarebbero praticamente più detenuti. Che Steudtner e gli altri attivisti per i diritti umani non siano agenti, lo sa anche Erdogan. Ma perché, con tutto ciò, sono stati quattro mesi chiusi in carcere? Perché Erdogan aveva bisogno di ostaggi per mettere a tacere la protesta che in Europa si faceva sempre più vibrata e perché gli estradassero degli oppositori che avevano trovato riparo in Germania. Inoltre pensava che la paura scatenata da tali arresti avrebbe distolto le Organizzazioni Non Governative dall’occuparsi ancora più fortemente della Turchia.
Perché allora sono stati liberati?
Di certo ha avuto un ruolo la missione di Schröder (l'ex cancelliere tedesco), ma ancora prima il governo turco aveva notato che la sua strategia andava a vuoto, e persino produceva l’effetto opposto. Lungi dall’indebolire la protesta in Europa, gli arresti l’avevano tramutata in indignazione e avevano reso ancora più visibile la politica sempre più autoritaria della Turchia. Ma soprattutto facevano spuntare l’idea di sanzioni economiche. Un diplomatico tedesco mi ha detto che il 20 luglio ha rappresentato una rottura storica per la politica turco-tedesca.
Facciamo mente locale: il 17 luglio erano stati arrestati sei sui dieci difensori dei diritti umani riuniti sull’isola di Büyükada. Due giorni dopo si arrivò alla crisi, allorché Ankara fece sapere a Berlino, tramite l’Interpol, che 681 ditte tedesche erano nella “lista nera” con l’accusa di terrorismo. Quando la Germania si indignò, il ministro degli Interni turco parlò per telefono di un malinteso e ritirò la lista. Ma questo non bastò. Il 20 luglio il governo tedesco prese la decisione di cambiare radicalmente la propria politica verso la Turchia. “Il troppo stroppia”, è quanto sentii dire io dal ministro degli Esteri. Ora tutti i tedeschi sono minacciati in Turchia, disse Gabriel, e anche per gli investimenti non è più possibile dare garanzie. Le garanzie cosiddette “Hermes” furono limitate. Le sanzioni economiche si riservarono come ultima possibilità. Alcune ditte tedesche continuarono a mettere in primo piano i propri interessi e accettarono da Ankara contratti di appalti, ma molte altre mostrarono preoccupazione. Gli investimenti diretti diminuirono. Quasi tutti i direttori amministrativi delle imprese tedesche in Turchia affidarono i loro compiti a collaboratori turchi e fecero ritorno in Germania. I trasferimenti a Istanbul vennero rifiutati. Una serie di industriali prese in considerazione mercati alternativi, per esempio in Bangladesh o in India.
La Turchia ha perso il suo più grande mercato di esportazione, e inoltre arriva il ristagno nel settore turistico. Gli ambienti economici sono inquieti per il fatto che le conseguenze principali si vedranno solo nel 2018. Nella leadership turca ci sono senz’altro persone consapevoli di questo fatto, e tra di esse c’è il primo ministro. Però, per paura dell’ira di Erdogan, queste persone non hanno il coraggio di parlare. Un ministro tedesco ha detto che non ci si telefona neppure più con i colleghi turchi, il contatto è trascurato. Così l’intervento di Schroeder deve aver reso contenti soprattutto i ministri di Erdogan che tacevano. A Berlino, sostiene ancora il diplomatico citato, domina l’opinione che le relazioni della Turchia verso la Germania e l’UE non si normalizzeranno finché sarà in carica Erdogan. “Siamo nell’inverno delle relazioni. Ma siamo determinati a non rompere le relazioni con la Turchia al di là dell’AKP (il partito di Erdogan)”.
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