giovedì 9 gennaio 2014

Il funerale di Andrea

di Paola Springhetti
Possiamo continuare a delegare ai volontari e alla Caritas il compito di mettere in pace le coscienze di tutti, perché loro sì, sono bravi a comportarsi da fratelli, ma a noi basta dirci tali?


Andrea ora si trova in un campo nel cimitero di Prima Porta, a Roma, in cui vengono seppellite le persone che non hanno nessuno al mondo: non una persona che dedichi loro un pensiero, che porti un fiore, tanto meno che paghi il funerale. In quel campo sarà in compagnia di centinaia di persone come lei: in un solo anno - il 2012 - sono state 260 quelle sepolte in quel campo.
Il funerale di Andrea si è svolto il 27 dicembre nella Chiesa del Gesù, a Roma, ma lei era morta il 29 luglio. Aveva solo trent'anni ed era una trans di origine Colombiana. Era venuta in Italia quattro anni fa, in cerca della felicità. Amo il mare e le discoteche, diceva in una videointervista fatta da "Redattore Sociale" un giorno di quel caldissimo mese. «Voglio incontrare un ragazzo che ha i soldi e che mi faccia lasciare questa vita così brutta», spiegava. La sua casa era la stazione Termini, ma non le piaceva vivere così. Era stata aggredita più volte, la peggiore a Ostia, quando l'avevano mandata in coma: si era ripresa, ma da allora aveva una mano e un piede che funzionavano male. Viveva nella paura, tanta paura da impedirle di fidarsi perfino dei volontari della Caritas che avrebbero voluto aiutarla e nella cui mensa, a Colle Oppio, andava a mangiare. Pochi giorni dopo quell'intervista è stata trovata morta, riversa sul binario 10, dopo l'ennesima e definitiva violenza da parte di assassini ancora sconosciuti.
In quei primi giorni di agosto non è stato possibile celebrare il funerale, anche se l'associazione Cesv e poi la Caritas si erano offerti di farsi carico delle spese. In casi come questi ci sono procedure burocratiche piuttosto complicate, che prevedono fra l'altro che vengano cercati i parenti nel Paese di origine. Ma i parenti non sono stati trovati e finalmente, in un giorno in mezzo alle feste, Andrea ha avuto il suo funerale, cui hanno partecipato un centinaio di persone con un fiore bianco in mano. Persone importanti, come il sindaco di Roma Ignazio Marino e il Ministro Cecile Kyenge, e altre più importanti ancora, come gli operatori e i volontari del Cesv, della Caritas, della Croce Rossa e alcuni senzatetto che vivono a Termini.
Andrea ha avuto il suo funerale in una delle Chiese più importanti di Roma, perché è un caposaldo della storia dell'arte e anche della nostra storia politica: a metà strada tra palazzo Grazioli - la residenza di Berlusconi - e Via delle Botteghe Oscure, dove aveva la sua sede il PCI e di fronte alla sede della Democrazia Cristiana, finché è esistita. È la chiesa nel cui retro si aprono il centro Astalli e la sua mensa, che il Papa ha voluto visitare per ascoltare i rifugiati e dire loro: «Non dobbiamo avere paura delle differenze! La fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza, un dono per tutti! Viviamo la fraternità!».
Andrea l'avrà sentita risuonare, quella voce, mentre padre Enrico Feroci - che ha celebrato insieme a Padre Giovanni La Manna, il direttore del centro Astalli che si è adoperato perché il funerale avesse luogo proprio lì - ribadiva: «Andrea è una nostra sorella» ed «era una di noi, apparteneva alla nostra città. Ha sofferto tanto. Noi abbiamo il dovere di aiutare questi nostri fratelli, non possiamo lasciarli da soli».
Ciò che mi chiedo è se queste voci e questi gesti - quella del Papa, quella dei volontari, quella di Andrea - risuonano anche nelle Chiese e nelle comunità cristiane, che troppo spesso delegano ai volontari e alla Caritas il compito di mettere in pace le coscienze di tutti, perché loro sì, sono bravi a comportarsi da fratelli, ma a noi basta dirci tali, senza tirare troppe conseguenze. E mi chiedo se risuonano nelle stanze dove i politici e gli amministratori decidono quale pezzetto distruggere ancora, di quei pochi sono rimasti delle politiche di inclusione, e di non occuparsi delle persone fragili e sole come Andrea, che neanche portano voti. Anzi, li fanno perdere.
Andrea è - era - un dono. C'è qualcuno che ci crede?


Paola Springhetti, giornalista freelance. Dirige il bimestrale «Reti Solidali» e collabora con varie testate, tra cui «Il Sole 24 Ore» e «Segno». Il suo ultimo libro è «Solidarietà Indifesa. L'informazione nel sociale». Ha un marito e quattro figli circa, che le impediscono di scriverne altri.

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