Proprio nel momento in cui il processo di
canonizzazione ufficiale di San Romero d’America sembra non incontrare
più alcun ostacolo, un duro colpo alla
memoria dell’arcivescovo martire – difesa a parole e calpestata nei
fatti – viene dall’attuale arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas. Tanto improvvisa quanto ingiustificata è giunta il 30
settembre la notizia della chiusura di Socorro Jurídico, lo storico
ufficio di tutela legale dell’arcidiocesi di San Salvador, fondato nel
1975 e divenuto sotto l’ala protettiva di mons. Oscar Romero (che ai
suoi rapporti attingeva per preparare le sue omelie domenicali) un
centro, insostituibile, di promozione e di difesa dei diritti
(individuali e collettivi) degli ultimi, fino a raccogliere, nel corso
degli anni, 50mila denunce di violazione dei diritti umani (prima,
durante e dopo la guerra civile). Una chiusura che mons. Escobar Alas ha
deciso senza fornire altra spiegazione che quella secondo cui l’ufficio
di tutela legale non avrebbe «più ragione d’essere» in tempi di pace:
motivazione che l’arcivescovo farebbe bene ad esporre, per esempio, ai
familiari delle vittime della strage di El Mozote del 1981, il peggiore
dei massacri di civili compiuti dall’esercito durante la guerra,
assistiti dall’organismo e rimasti ora privi di rappresentanza legale.
Il tutto in un momento in cui la Corte Suprema di Giustizia ha ammesso
il ricorso di costituzionalità presentato da almeno 20 organizzazioni
sociali contro la Legge di Amnistia promulgata dal governo nel 1993,
l’anno successivo alla firma degli Accordi di pace.
«Andate in ufficio, raccogliete le vostre cose e poi recatevi a una
riunione con tre rappresentanti dell’arcidiocesi»: sarebbe stato questo,
secondo ElFaro.net (30/9), l’avviso che hanno ricevuto i 12 impiegati
dell’ufficio di Tutela Legale (il nuovo nome assunto da Socorro Jurídico
nel 1982, per iniziativa dell’allora arcivescovo Arturo Rivera y Damas)
dopo aver trovato, il 30 settembre, le porte dell’ufficio chiuse, le
serrature cambiate e alcuni vigilanti privati armati, e ostili, a fare
la guardia. Ben poco lasciava presagire tale decisione. Wilfredo
Medrano, vicedirettore dell’organismo, che vi lavorava dal 1989 – l’anno
in cui, racconta ElFaro.net, aveva intrapreso insieme alla prima
direttrice di Tutela Legale, María Julia Hernández, un viaggio nel
Morazán, prima ancora che avesse termine il conflitto, per convincere i
familiari delle vittime della strage che avrebbero potuto esigere
giustizia – riferisce che sette mesi prima l’arcivescovo aveva nominato
una sorta di amministratore con l’incarico di controllare ogni attività
dell’organismo e che, quando i dirigenti di Tutela Legale avevano
sollecitato una spiegazione, mons. Rafael Urrutia aveva assicurato loro
che tutto procedeva normalmente.
Nulla è dato ora sapere sulla fine che farà l’archivio storico con le
50mila denunce di violazioni dei diritti umani (su carta, audio o
video) raccolte dall’ufficio («Questo archivio – ha dichiarato uno dei
dipendenti, José Lazo – non è della Chiesa, ma è del popolo. Qui c’è il
sangue delle vittime»): se gli ormai ex impiegati hanno proposto di
affidarne la custodia a mons. Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di
San Salvador (e per ben due volte arcivescovo mancato), nessuna
decisione è stata ancora comunicata al riguardo.
Peggio di Saénz Lacalle
«Pensavamo – ha evidenziato Medrano – che qualcosa di simile potesse
avvenire per iniziativa di mons. Fernando Saénz Lacalle», il
predecessore opusdeista di mons. Escobar Alas, il quale, in effetti, era
giunto a destituire “per mancanza di fedeltà” l’allora direttore di
Tutela Legale, l’avvocato David Morales, in seguito alla decisione
dell’organismo di ricorrere alla Commissione Interamericana sui Diritti
Umani per denunciare le inadempienze del governo sul caso dell’omicidio
di mons. Romero (v. Adista n. 76/07). Ma mons. Escobar Alas, ha
proseguito Medrano, è andato anche oltre: «Non ce lo saremmo mai
immaginato da lui. Ci sembra una decisione irresponsabile».
Del resto, che la sensibilità dell’arcivescovo in materia di diritti
umani non sia propriamente commovente, era già risultato chiaro dalle
sue dichiarazioni relative all’eternamente viva questione
dell’annullamento o meno della Legge di Amnistia. Nella Chiesa
salvadoregna, ha avuto recentemente modo di spiegare Escobar Alas (v.
Adista n. 14/13), «non abbiamo un’opinione unificata al riguardo», anche
se, ha assicurato, «siamo a favore della giustizia» (come le due cose
possano conciliarsi l’arcivescovo non lo ha spiegato): l’annullamento
della Legge di Amnistia, ha detto, potrebbe condurre a «una spirale di
violenza», incoraggiando chiunque a pretendere risarcimenti per i danni
subiti, tanto per via giudiziaria quanto per via economica».
Anche riguardo alla causa di canonizzazione di mons. Romero,
l’attuale arcivescovo – che può vantare sul suo curriculum anche la
contestatissima distruzione del bel mosaico, opera dell’artista Fernando Llort (ed espressione della cultura del popolo salvadoregno), che
decorava la facciata della cattedrale – si è mantenuto fedele alla linea
del predecessore, rivelandosi sempre molto attento a neutralizzare la
figura dell’arcivescovo martire, spogliandola di ogni elemento
conflittuale: mons. Romero «deve essere visto come il pastore che ci
unifica», ha precisato mons. Escobar (v. Adista n. 14/13), mettendo in
guardia dal rischio di trasformarlo in un «personaggio politico». «È
possibile – ha dichiarato – che si cerchi di appropriarsi di qualche
vantaggio politico, esaltando o attaccando l’immagine di monsignor
Romero a favore o contro un’idea politica, e questo non sarebbe giusto».
(claudia fanti, Adista)
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