NON PAROLE VUOTE MA ATTI DI CONTRIZIONE
Libertà e Giustizia non è un partito
politico, ma un’associazione di cultura politica, ispirata ai due
principi indicati nella sua stessa denominazione. Il suo metodo è la
ragione applicata ai fatti. Allontaniamoci, allora, un poco dai
particolari della cronaca politica quotidiana e cerchiamo di intravedere
l’insieme dei fatti per ricavarne linee di pensiero e d’azione.
IDEE-FATTI
Nella vita politica d’insieme, le idee,
le percezioni, le illusioni e le indignazioni che contano non sono
necessariamente quelle veritiere. Sono quelle che permeano le coscienze,
fanno senso comune e muovono i comportamenti dei grandi numeri, vere o
false che siano. In ogni caso, sono semplificazioni e, proprio per
questo, sono efficaci. Poiché sono efficaci, esse sono, per l’appunto,
“fatti”, non effimere impressioni che passano da sé.
a. La prima idea-fatto – inutile dirlo – si esprime con la parola “casta”:
giri intrecciati di potere politico, burocratico, economico e
finanziario che si auto-alimentano per nepotismo e cooptazione, in base a
patti di protezione e fedeltà; potere per il potere, inamovibile,
spesso occulto e illegale; disuguaglianze crescenti tra chi sta dentro e
chi fuori, chi sopra e chi sotto; privilegi e stili di vita
incomparabili; ricchezza crescente e povertà dilagante. Una grande
divisione sociale, per la quale, un tempo, fu coniata l’espressione
“razza padrona”. La lotta di
classe di un tempo pare diventare, o già essere diventata lotta di
casta, e a parti invertite: non degli sfruttati contro gli sfruttatori,
ma degli sfruttatori contro gli sfruttati.
Forse, ancora non si percepisce la dimensione globale di questa immensa
ingiustizia, rispetto alla quale gli abusi, le corruttele, i furti di
casa nostra, per quanto insopportabili, sono quisquilie. Quando si
percepirà, cioè si farà strada l’idea, la reazione sarà la restaurazione
delle piccole patrie, delle piccole comunità, come rifugi al tempo
stesso protettivi e aggressivi: una vecchia storia.
b. La seconda idea-fatto è
l’identificazione del potere che s’è detto sopra con le Istituzioni. La
politica moderna si basa sulla distinzione tra le Istituzioni
e coloro che le impersonano e le servono. L’idea odierna è il
rovesciamento: coloro che stanno nelle istituzioni se ne servono. In tal
modo, ogni degenerazione dei primi viene percepita come vizio delle
seconde. I corrotti, gli insipienti, i dilettanti, gli arroganti, ecc.
che operano nelle istituzioni non sono solo cattivi soggetti per sé
stessi, ma lo sono anche di più per le Istituzioni democratiche. Nessuna azione antidemocratica è più efficace della corruzione e della propaganda che si basa su di essa. Anche questa è una vecchia storia.
c. La terza idea-fatto è che tutto s’equivale e che “sono tutti uguali”.
Di conseguenza, non c’è nulla di possibile e nessuno di cui ci si possa
fidare. Tanto vale, allora, starsene a guardare, sperando nella
palingenesi, cioè nel crollo della politica e delle sue istituzioni e
nell’apparizione di qualcuno che faccia piazza pulita. Che
questa prospettiva esista e possa diventare persino maggioritaria è il
crimine maggiore che dobbiamo imputare alla generazione che è la nostra. Di nuovo, ci appaiono i fantasmi d’una vecchia storia che si deve sapere dove porta.
LE RISPOSTE VUOTE
Queste generalizzazioni sono sbagliate.
Sono anzi trappole pericolose. Ma sono fatti. Come le vediamo
contrastare? Con vuote banalità e con azioni controproducenti. La prima
banalità è l’accusa di antipolitica, che evita di fare i conti con le
ragioni che allontanano dalla politica e si presta, contro chi la
pronuncia, a essere ritorta con la stessa, se non con maggiore forza.
Chi è, infatti, il vero antipolitico? La domanda è a risposta aperta. Non serve a nulla l’anatema. Serve solo la buona politica.
Non bastano le parole, quelle parole che si possono pronunciare a basso
costo; parole banali anch’esse, che non vogliono dire nulla perché non
si potrebbe che essere d’accordo. Nella
politica, che è il luogo delle scelte e delle responsabilità, dovrebbe
valere la regola: tutte le parole che dicono ciò che non può che essere
così, sono vietate. Non vogliono dire nulla riforme,
moralità, rinnovamento, innovazione, merito, coesione, condivisione,
giovani, generazioni future, ecc.: vuota retorica del nostro tempo che
tanto più si gonfia di “valori”, tanto più è povera di contenuti. Chi
mai direbbe d’essere contro queste belle cose?
COME USCIRNE
1) ATTI DI CONTRIZIONE E SEGNI DI DISCONTINUITA’
Alle vuote parole che non costano
niente, corrispondono azioni e omissioni nefaste, anzi suicide. Si
scoprono ora (!) ruberie, inimmaginabili nel mondo normale, e s’invoca
subito una legge sui partiti e sul controllo dei flussi di denaro che
arrivano loro: una legge che non si farà. Si scopre ora (!) che la
corruzione dilaga e si fa una legge-manifesto che, anche a dire di
quelli che, all’inizio, l’hanno appoggiata, servirà poco o nulla. Ci si
accorge ora (!) che gli organi elettivi sono pieni di gente
impresentabile e si prepara una legge sulle candidature. Leggi, sempre
leggi, destinate a non farsi o, se fatte, a essere svuotate. Ma nessuno
obbliga a rubare, a corrompere e farsi corrompere, promuovere candidati
senza qualità o con ben note “qualità”. I
cattivi costumi si combattono con buoni costumi. Le leggi servono a
colpire le devianze, ma nulla possono quando la devianza s’è fatta
normalità. Prima di cambiare le leggi, occorre cambiare se stessi e, per
cambiare se stessi, non occorre alcuna legge. Per chiedere rinnovata
fiducia, occorrono ATTI DI CONTRIZIONE, segni concreti di discontinuità,
non “segnali”, come si dice per dissimulare l’inganno.
Non è un segno, ma un segnale, per di
più autolesionistico, la legge elettorale che è in gestazione. Mai più
al voto con la legge attuale, s’era detto. Impedito il referendum da
un’improvvida sentenza della Corte costituzionale, il problema della
riforma è passato al Parlamento, cioè a chi ha da sperare vantaggi o
temere svantaggi. Ci voleva poco a capire che, in prossimità delle
elezioni, sondaggi alla mano, tutto sarebbe dipeso da calcoli
interessati e poco o nulla da buone ragioni di giustizia elettorale. Non
c’è bisogno di apprenderlo dal “Codice di buona condotta in materia
elettorale” (§§ 65 e 66), che contiene il “minimo etico” segnalato agli
Stati dal Consiglio d’Europa nel 2002. Lo comprendiamo da soli.
Comprendiamo che la nuova legge elettorale, se ci sarà, dipenderà dagli
interessi dei partiti, non degli elettori che vi troveranno ulteriori
ragioni di distacco o di rabbia. La riforma, che avrebbe dovuto servire a riavvicinare eletti ed elettori, allargherà la distanza. Si
persevera, invece, tentando di ritagliarsi comunque un posto o un
posticino che conti qualcosa, in una barca che rischia di andare a fondo
con quelli che ci sono dentro. Si pensa che non ce ne si accorga? e che
ciò non porti altra acqua a chi vuol affondarla? Che insipienza!
2) UNA STAGIONE COSTITUZIONALE PER VIVERE IN LIBERTA’ E GIUSTIZIA
Dove appoggiarsi per uscire dal pantano,
per suscitare coraggio, energie, entusiasmo, in un momento di
depressione politica come quello che viviamo? Dove
trovare l’ideale d’una società giusta, che meriti che si mettano da
parte gli egoismi e i privilegi particolari, che ci renda possibile
intravedere una società in cui noi, i nostri figli e i figli dei nostri
figli, si possa vivere in libertà e in giustizia? È sorprendente che non si pensi che questo ideale, questo punto d’appoggio c’è, ed è la COSTITUZIONE.
Ed è sorprendente che si sia chiuso in una parentesi quel referendum
del giugno 2006 in cui quasi sedici milioni di cittadini si sono
espressi a sostegno dei suoi principi. Altrettanto sorprendente è che non si dia significato – forse perché non se ne ha nemmeno sentore – all’entusiasmo
che accoglie, tra i giovani soprattutto, ogni discorso sulla
Costituzione, sul suo significato storico e sul suo valore politico e
civile. Non c’è qui una grande forza che attende d’essere interpellata per cambiare la società?
Non è paradossale che ci si volga indietro per guardare avanti. Le difficoltà in cui ci troviamo non derivano dalla Costituzione, ma dall’ignoranza, dal maltrattamento, dall’abuso, talora dalla violazione che di essa si sono fatti. Eppure lì si trova almeno la traccia della risposta ai nostri maggiori problemi. Il LAVORO come diritto a fondamento della vita sociale, e non la rendita finanziaria e speculativa; i DIRITTI CIVILI e non le ipoteche confessionali e ideologiche sulle scelte ultime della vita; l’UGUAGLIANZA di fronte alla legge e non i privilegi castali, anche per vincere contro tutte le mafie; l’impegno a promuovere politiche di EQUITA’ SOCIALE E FISCALE e non l’autorizzazione a gravare sui più deboli per risolvere i problemi dei più forti; la garanzia dei SERVIZI SOCIALI e non la volontà di ridurli o sopprimerli; la SALUTE come diritto e non come privilegio; l’ISTRUZIONE attraverso la scuola pubblica aperta a tutti e non i favoritismi alla scuola privata; la CULTURA, i BENI CULTURALI, la NATURA come patrimonio a disposizione di tutti, sottratti agli interessi politici e alla speculazione privata. Ancora: l’INFORMAZIONE come diritto dei cittadini a essere informati e dei giornalisti a informare; la POLITICA come autonomo discorso sui fini e non come affare separato di professionisti o tecnici esecutivi; la partecipazione all’EUROPA come via che porti alla pace e alla giustizia tra le nazioni, a più libertà e più democrazia, non più burocrazia e meno libertà. In generale, nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia.
Non è paradossale che ci si volga indietro per guardare avanti. Le difficoltà in cui ci troviamo non derivano dalla Costituzione, ma dall’ignoranza, dal maltrattamento, dall’abuso, talora dalla violazione che di essa si sono fatti. Eppure lì si trova almeno la traccia della risposta ai nostri maggiori problemi. Il LAVORO come diritto a fondamento della vita sociale, e non la rendita finanziaria e speculativa; i DIRITTI CIVILI e non le ipoteche confessionali e ideologiche sulle scelte ultime della vita; l’UGUAGLIANZA di fronte alla legge e non i privilegi castali, anche per vincere contro tutte le mafie; l’impegno a promuovere politiche di EQUITA’ SOCIALE E FISCALE e non l’autorizzazione a gravare sui più deboli per risolvere i problemi dei più forti; la garanzia dei SERVIZI SOCIALI e non la volontà di ridurli o sopprimerli; la SALUTE come diritto e non come privilegio; l’ISTRUZIONE attraverso la scuola pubblica aperta a tutti e non i favoritismi alla scuola privata; la CULTURA, i BENI CULTURALI, la NATURA come patrimonio a disposizione di tutti, sottratti agli interessi politici e alla speculazione privata. Ancora: l’INFORMAZIONE come diritto dei cittadini a essere informati e dei giornalisti a informare; la POLITICA come autonomo discorso sui fini e non come affare separato di professionisti o tecnici esecutivi; la partecipazione all’EUROPA come via che porti alla pace e alla giustizia tra le nazioni, a più libertà e più democrazia, non più burocrazia e meno libertà. In generale, nella Costituzione troviamo la politica, il bene pubblico che più, oggi, scarseggia.
Come da trent’anni e più a questa parte,
si ripete la stanca litania della prossima stagione come “stagione
costituente”. Costituente di che cosa? Volete dire, di grazia, che cosa
volete costituire? E credete con questa formula di ottenere consensi,
tra cui i nostri consensi? Non viene in mente a nessuno che il nostro
Paese avrebbe bisogno, piuttosto, di una “STAGIONE
COSTITUZIONALE” e che chi facesse sua questa parola d’ordine compirebbe
un atto che metterebbe in moto fatti, a loro volta produttivi d’idee,
anzi d’ideali?
Gustavo Zagrebelsky
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