martedì 31 maggio 2011

Appelli al voto

«Votate per l’acqua»
La mossa del vescovo

Corriere della Sera, 30 maggio 2011

E se i politici s’arrabbiano, pazienza. Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo di Locri- Gerace, è un uomo d’azione: la prudenza cattolica che impegna la Chiesa a non esplicitare le scelte in cabina elettorale decisamente non fa al caso suo. Così venerdì sera si è seduto alla scrivania e ha scritto un breve messaggio da diffondere all’intera comunità: «Carissimi, fra giorni ci saranno i referendum. Rompo il riserbo che il vescovo deve mantenere in occasione di competizioni elettorali, perché non si tratta di patteggiare per un candidato o l’altro, si tratta di difendere il bene comune. L’acqua fra qualche anno sarà più preziosa del petrolio. Non possiamo permettere che sia il privato a gestirla: si finirà come con la benzina, con rincari sempre più forti. Difendiamo il bene comune. Andiamo a votare e votiamo sì, a favore dell’acqua come bene comune. Ditelo anche ai fedeli e agli amici». Dopo il nucleare, dritti in pasto al pubblico dibattito sono finiti proprio i due quesiti sull’acqua: il primo sull’abrogazione dell’articolo 23 bis della legge 133 del 2008 (poi modificato dal decreto Ronchi del 2009) relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica che prevede una permanenza del pubblico solo attraverso la creazione di Spa; il secondo sull’abrogazione di quella parte del decreto 152 del 2006 che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa. Nella stessa maggioranza di governo la strategia da adottare in merito non è stata affatto univoca: se per il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo la consultazione sull’acqua è «totalmente inutile», per il leader della Lega Umberto Bossi «alcuni quesiti, come quello sull’acqua, sono attraenti». Poi, però, con il voto di fiducia sul decreto omnibus, l’obiettivo politico dichiarato — come ha ricordato il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto — è stato quello di disinnescare non solo il referendum sul nucleare ma anche quelli su acqua e legittimo impedimento, che avrebbero buone possibilità di raggiungere il quorum necessario del 50 per cento più uno. In ogni caso, l’appello di monsignor Fiorini Morosini non dispiacerà certo alla Conferenza episcopale italiana, che martedì scorso — invitando «tutti i credenti a rispondere alle loro coscienze» — si era espressa con le parole di monsignor Mariano Crociata: «L’acqua è un bene di tutti, è un aspetto che va salvaguardato. Tutte le espressioni di volontà popolare sono da incoraggiare e apprezzare come elemento di democrazia; nel merito, sui temi quali l’acqua e simili, bisogna sempre esercitare vigilanza e responsabilità sociale».

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Presidenza Diocesana
AZIONE CATTOLICA ITALIANA
Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano


Il 12 e 13 Giugno al Referendum sull’Acqua
Votiamo SI

 “Il diritto all’alimentazione, così come quello all’acqua, rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare innanzitutto, dal diritto primario alla vita. E’ necessario che maturi una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni e senza discriminazioni” (Caritas in Veritate n. 32)
“L’acqua, bene comune della famiglia umana, costituisce un elemento essenziale per la vita; la gestione di questa preziosa risorsa deve essere tale da permetterne l’accesso a tutti, soprattutto a coloro che vivono in condizione di povertà, garantendo la vivibilità del pianeta sia della presente che delle future generazioni. L’accesso all’acqua rientra, infatti, nei diritti inalienabili di ogni essere umano, poiché rappresenta un pre-requisito per la realizzazione di gran parte degli altri diritti umani, come il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute. Per questo motivo l’acqua «non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale […] Il diritto all’acqua si basa sulla dignità umana e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l’acqua come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile»”
(Dal messaggio del Santo Padre Benedetto XVI A firma del Cardinale Tarcisio Bertone al Direttore generale della FAO in occasione della Celebrazione della giornata mondiale dell’acqua)

Noi Voteremo Si perché L’acqua è un bene essenziale per la vita e non una merce di scambio. La Vita non è frutto del caso, ma dell’equilibrio perfetto che sorregge il creato e che chiunque, credente o no, può apprezzare in tutta la sua potenza e immensità. Il creato va quindi rispettato e all’interno di questo, gli elementi essenziali che lo compongono perché ne sono frutto, causa ed effetto in un equilibrio indisponibile e inalienabile.  L’equilibrio e il funzionamento del creato non possono essere oggetto di una semplice valutazione economica che vuole l’acqua al centro di un rapporto di scambio utile a produrre profitto.

Noi Voteremo SI  perché L’acqua non è un bene a disposizione di pochi che possono decidere come, a chi, e a quale prezzo dispensarla. Essa va usata con rispetto, per migliorare la salute e l’igiene umana, per combattere il degrado dell’ambiente. Aprire i rubinetti dell’acqua potabile solo a chi può acquistarla significa di fatto porre ulteriori barriere alla dignità umana, aumentare le disuguaglianze, ostacolare lo sviluppo della vita.

Noi Voteremo SI perché “ci sentiamo coinvolti, custodi e responsabili di quella risorsa preziosa che è l’acqua, bene troppe volte ridotto a merce, a valore economico, a oggetto di scambio, da cui si vede escluso chi non ha possibilità di reddito per procurarsela”. Una Legge che trasformi l’acqua in affare, rischia di limitare l’accesso ad essa ai ceti più deboli.

Auspichiamo che il Legislatore compia uno sforzo aggiuntivo per tutelare non solo il bene acqua, ma per garantire che la sua fruizione non contraddica l’irrinunciabile principio che essa è un diritto universale di tutti gli esseri umani.


Per Questi motivi Ti Invitiamo a Votare e a Votare SI

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La Federazione della stampa missionaria italiana lancia l'appello affinché ci sia una forte mobilitazione il 12-13 giugno contro la privatizzazione dell'acqua.

Da sempre impegnati per la promozione del bene comune, le riviste missionarie raggruppate nella Fesmi (Federazione stampa missionaria italiana) e i Missionari/e in Italia e nel mondo invitano tutti gli italiani a partecipare al referendum del 12-13 giugno 2011, esprimendo la propria preferenza per il SI ad entrambi i quesiti riguardanti l'acqua.
Siamo infatti convinti che la strada della privatizzazione di un bene essenziale e profondamente legato alla sacralità della vita non sia corretta dal punto di vista etico, oltre che inefficace dal punto di vista della sua gestione. I nostri occhi possono vedere e documentare nei molti paesi del Sud e del Nord in cui operiamo, che la gestione privata della risorsa idrica non ha mai migliorato il servizio, ma, anzi, l'ha spesso peggiorato, arrivando addirittura a negarlo alle fasce povere della popolazione.
L'acqua è vita, l'acqua è simbolo di rinnovamento e di rigenerazione ed è un diritto fondamentale per la sopravvivenza e la salute.
C'è bisogno di raggiungere il quorum portando alle urne circa 25 milioni di persone per una partecipazione democratica, anche in Italia, volta al bene di tutti, al "bene comune".

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Aderenti e sostenitori iniziativa "Religiosi a pane e acqua"
9 giugno pv
  Un giorno di digiuno per salvare l’acqua. L’appuntamento è a Roma in Piazza San Pietro: sono chiamati ad aderire sacerdoti, suore, missionari


giovedì 26 maggio 2011

ancora don Milani

Il testo che segue è un estratto dalla prefazione di Roberta De Monticelli a "A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca" di don Lorenzo Milani, in questi giorni in librieria per Chiarelettere. Il volume raccoglie gli atti del processo che vide imputato Don Milani per aver difeso l'obiezione di coscienza al servizio militare.
di Roberta De Monticelli


«E poiché sei venuto al mondo, sei stato allevato ed educato, come puoi dire di non essere, prima di tutto, creatura nostra, in tutto obbligato a noi, tu e i tuoi avi?» Questo dicono le leggi a Socrate, secondo un celeberrimo passo del platonico Critone. Più di un padre e una madre sono per Socrate le leggi, senza le quali non esiste Città dove ragione si oppone a ragione, ma solo la ragione del più forte, la guerra o il dispotismo. Perciò Socrate accetta la morte e non fugge, pur sapendo che la condanna è ingiusta.
Antigone, nella più celebre tragedia di Sofocle, disobbedisce invece alla legge di Tebe e di Creonte: la giovane donna è «fuorilegge, devota» a una legge non scritta e «misteriosamente eterna», che a quella positiva si oppone.
Nelle figure di Socrate e di Antigone si incarnano i modi dell’obbedienza e della disobbedienza in quanto entrambi espressioni della libertà. Perché c’è obbedienza e obbedienza. Obbedire a una legge cui si consente – e non a un uomo che si pone al di sopra di essa – è esercizio di libertà come auto-nomia, sovranità su se stessi. E don Milani si rivolge ai ragazzi della sua scuola come ai «sovrani di domani». Come ai cittadini che saranno, il cui esercizio di libertà è anche esprimere la volontà di leggi più giuste, e dunque anche obiettare, accettando socraticamente le conseguenze penali, a quelle ingiuste. Invece l’obbedienza che «non è più una virtù», se mai lo è stata, non è un modo della libertà, ma del suo contrario: dell’asservimento, prigionia della mente e servitù del cuore. Può essere l’obbedienza a un uomo e non a una norma legittima, o può essere l’obbedienza cieca, o indifferente. Servitù è il vero nome di quell’obbedienza che non è virtù. Questo è il cuore del pensiero di don Lorenzo Milani, cittadino e cristiano, che si esprime in questi testi pubblicati nel 1965 in difesa dei primi obiettori di coscienza alla coscrizione militare e in risposta all’accusa di apologia di reato, per la quale don Milani subì un processo.
L’orrore della servitù volontaria è il punto di fusione – al calor bianco – fra il demone di Socrate, che libera dalla prigionia della mente, e la divinità nell’uomo di Cristo, figlio e non servo, che libera dalla sudditanza del cuore. Don Milani lo sa: lo dice nella Lettera ai Giudici, la sua fiammante, socratica apologia, che ogni ragazzo dovrebbe leggere appena si sveglia al dubbio e all’esistenza. Il Critone e l’Apologia di Socrate, insieme con i quattro Vangeli: ecco le prime due fonti di quella «tecnica di amore costruttivo per la legge» di cui il maestro di Barbiana si fa apprendista, insieme con i suoi ragazzi.

Il valore della legalità
Notate la delicatezza e insieme la densità di questa espressione, «tecnica di amore costruttivo». Tecnica perché l’amore per la cosa pubblica si esplica nella virtù del cittadino, che è innanzitutto rispetto per il valore della legalità, e quindi per i suoi delicati meccanismi, fra cui le leggi e le sanzioni. Non si esercita la virtù civile solo con lo slancio del cuore. Si esercita, ad esempio, nel «violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede».
I giovani che accettano la prigione conoscono quanto Socrate il valore della legalità. Amore costruttivo perché «chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri».
La legge: la legge civile, la legge della Città terrena, sia ben chiaro. E non conosco fra gli eredi di Agostino (se non forse per certe pagine di Rosmini) altro esempio altrettanto limpido e intenso di riconoscimento del valore autonomo, tutto umano, della legalità in quanto tecnica di autolimitazione del potere. Don Milani è evidentemente estraneo al pensiero (di radice agostiniana) che identifica la Città terrena con la civitas diaboli, e consente ai rappresentanti umani della Città celeste ogni compromesso o addirittura compromissione con quel volto diabolico della politica che pure nell’intimo disprezza. Non conosco in epoca recente altra così grande eccezione al sottinteso disprezzo cattolico per la cosa pubblica e le virtù della cittadinanza, che ha forgiato nei secoli la nostra minorità civile e la nostra indifferenza all’etica pubblica.

Svegliati, coscienza
È importante capirlo: non è la «legge divina» che suggerisce a don Milani il suo «costruttivo amore» per la legalità repubblicana, o se lo è, lo è solo in quanto questa legge divina non decreta affatto il primato, sulla legge dello Stato, di un’altra Sovranità, di una Chiesa, di un Libro o di una Dottrina, ma solo il primato della coscienza individuale; e con questa limpida affermazione, come nella difesa di quei testimoni solitari che erano gli obiettori, sfugge anche alla banalizzazione di chi lo classifica come catto-comunista.
«La dottrina del primato della coscienza sulla legge dello Stato» è certamente, scrive con candore don Milani, «dottrina di tutta la Chiesa». Era il 1965. E quello fu anche l’anno della Dignitatis Humanae, che in coda al Concilio Vaticano II dichiarava: «Gli imperativi della legge divina l’uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente... Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza». Ecco: quell’anno fu pensata fino in fondo, e dimostrata possibile, la radicale laicità di un cattolicesimo che veramente avesse voluto rinnovarsi al fuoco dello spirito, o meglio del Vangelo. Se questo pensiero avesse vinto, la storia del nostro paese sarebbe stata diversa, e – per l’influenza della Chiesa – anche la storia del mondo. Perciò è importante capire fino in fondo questo pensiero, che fu invece sconfitto, e poi calunniato, e poi sepolto.
Che la legge divina consista qui nel liberare da ogni nome di Dio la legge terrena, quella che istituisce e protegge il pubblico confronto delle volontà e delle ragioni; che la legge divina stessa induca il sacerdote a ritirarsi, in primo luogo, per lasciar posto al maestro, che deve risvegliare la libertà e la coscienza critica dei futuri cittadini: perché questo è tanto importante?
Perché porta alla luce il cuore dell’intuizione Cristiana della vita, quel cuore che – se davvero ancora pulsasse – riscatterebbe la religione dalla sua vergogna, la vergogna di avere nei secoli legato la libertà e reso infante la coscienza. La riscatterebbe, mostrando che Cristo libera l’anima da questa religio. Le chiede di svegliarsi alla verifica personale dei valori e delle loro relazioni delicate, di superiorità e inferiorità. Talitha kumi: «svegliati, ragazza». Dietrich Bonhoeffer l’aveva capito, ma quanto più arduo sarà stato capirlo per un sacerdote cattolico, quale don Milani voleva essere?

Non in nome di Dio
Questo pensiero nutre quella radicalità anti-idolatrica, o anti-ideologica, per la quale la coscienza parla, certamente, di fronte all’assoluto, ma non in nome dell’assoluto. Questo è il modo in cui lo esprime una delle più limpide pensatrici del secolo scorso, e lo chiarisce così: «Rimuovere dall’essere in sé le prese temerarie della mente; allontanarlo da ogni illusione possessiva, perché lo si tocchi meno e lo si veda meglio. Conoscere Dio come ignoto. Noli me tangere.» [1]
È il pensiero che fu anche di Simone Weil nelle sue Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale (1934): «Tutte le civiltà veramente creatrici hanno saputo... creare un posto vuoto riservato al soprannaturale puro... tutto il resto era orientato verso questo vuoto». [2] Così scrive quella stessa Weil che annoverava l’obbedienza fra i «bisogni dell’anima umana», specificando immediatamente che l’obbedienza è di due specie: «a delle regole stabilite» e «a degli esseri umani considerati come delle guide», e che anche in quest’ultimo caso «presuppone un consenso, non a ciascuno degli ordini ricevuti, ma un consenso accordato una volta per tutte, con la sola riserva, all’occasione, delle esigenze della coscienza». [3]
Non in nome di Dio dunque don Milani difende la disobbedienza alla legge umana, benché indubbiamente lo faccia al cospetto del suo Dio. Ecco perché a differenza di quanto abbiamo fatto noi, per introdurre le due grandi figure della coscienza in relazione alle quali comprendiamo l’obbedire e il disobbedire come modi della libertà, don Milani non parla di Antigone. Che pure sarebbe la figura che rappresenta la legge divina. No, tutto socratico resta il suo ragionare, anche quando cita Gandhi o altri. Certo, il passaggio potrebbe essere anche più immediato: non può servire un uomo chi serve un dio, e la legge di questo dio, non scritta, vale più di quella scritta da un re. Ma non è il passaggio che fa don Milani.
Perché non è in nome di un particolare ethos, fosse pure quello della propria fede, che si può volere una legge dello Stato.
Una legge dello Stato, che vincola tutti, è giusta soltanto se la coscienza di chiunque – o almeno di chiunque riconosca la pari dignità di ciascun essere umano – può consentirvi indipendentemente dalla fede che ha, e che obbliga solo chi ce l’ha. Ecco perché l’ulteriore ragionamento di don Milani è tutto fatto di ragione umana: parla della Costituzione, del suo articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli»; delle guerre di aggressione fatte e subite in passato, dei gerarchi nazisti che si giustificarono con «la virtù dell’obbedienza». Parla di doveri e diritti, che stanno alla libertà dei cittadini come la sudditanza al potere illimitato sta alla libertà dei servi. L’opposizione è la stessa che corre fra «I care» e «Me ne frego», scrive il sacerdote.

Libertà è obbedire alla legge, non al capo
In questo senso don Milani è più avanti di Howard Zinn, cantore americano della disobbedienza civile, che non perdonava a Socrate il suo atto di obbedienza alla legge ingiusta. Don Milani ci consente di distinguere fra obbedienza e servitù. Anche se è dai tempi dell’Umanesimo e del Discorso sulla servitù volontaria (1548) di Étienne de La Boétie che lo sappiamo: un tiranno non ha altra forza che quella che gli conferiscono i suoi sudditi, perché non c’è altra fonte di sovranità che il libero volere degli individui.
È questa coscienza, infine, che ha permesso di intendere non solo la disobbedienza, ma anche l’obbedienza come un modo della libertà: l’obbedienza, s’intende, alla legge e non al capo. L’auto-obbligazione responsabile dei cittadini, che ha dunque come ultima fonte di legittimità nient’altro che il rispetto della pari dignità di ognuno. In questa autolimitazione del potere che ci fa, governanti e governati, uguali di fronte alla legge, è il valore della legalità e il senso delle istituzioni democratiche, come la divisione e la relativa autonomia dei poteri.

NOTE

[1] Jeanne Hersch, Essere e forma, trad. it. di R. Guccinelli e S.Tarantino, Bruno Mondadori, Milano 2006.
[2] Simone Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, trad. it. di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1956.
[3] Simone Weil, La prima radice, trad. it. di F. Fortini, SE, Milano 1990.


don Lorenzo Milani (Firenze 1923 - 1967)
Si avvicina al cristianesimo all’età di vent’anni e a ventiquattro è ordinato sacerdote. Diventa cappellano a San Donato di Calenzano, importante centro operaio vicino a Firenze, dove avvia il suo esperimento di istruzione popolare contro la scuola classista che condanna i più poveri all’ignoranza, dunque alla servitù.
È un prete scomodo per la Chiesa, che sceglie di isolarlo esiliandolo in una minuscola comunità sopra Firenze: Sant’Andrea a Barbiana. Siamo nel 1954. Nel 1965 don Milani scrive una lettera aperta a un gruppo di cappellani militari che in un loro comunicato ufficiale avevano definito vile e anticristiana l’obiezione di coscienza. Il gesto gli costa un rinvio a giudizio per apologia di reato e una condanna postuma. Con i ragazzi della scuola di Barbiana don Milani compie una straordinaria avventura umana e spirituale, culminata nel maggio del 1967 con la pubblicazione di "Lettera a una professoressa", opera collettiva oggi letta in tutto il mondo.

mercoledì 25 maggio 2011

Una buona giornata

...e Bossi apre sui referendum
"Alcuni quesiti sono attraenti"

Umberto Bossi apre ad alcuni dei quesiti referendari in vista della consultazione che chiamerà gli italiani alle urne il 12-13 giugno. Interrogato dai cronisti sulla questione, il leader del Carroccio ha prima risposto con una pernacchia, poi ha spiegato: "Alcuni quesiti sono interessanti, come quello sull'acqua. Avevamo chiesto a Berlusconi di fare una legge e noi l'avremmo appoggiata poi si è messo di messo Fitto e alla fine nessuno l'ha fatta".
La Cei: "Acqua bene comune". Un'altra presa di posizione importante è arrivata questa mattina anche dalla Conferenza Episcopale Italiana, che attraverso il segretario Monsignor Crociata è intervenuta sui referendum: "L'acqua è questione di responsabilità sociale e bene comune, è necessario che vi sia responsabilità verso i beni comuni e che rimangano e siano custoditi per il bene di tutti", ha detto il vescovo. Crociata ha anche sottolineato l'importanza dei referendum che - ha detto-  "esprimono una delle forme della volontà popolare e per questo sono da apprezzare".
La protesta alla Rai. Intanto questa mattina alcuni membri del  Comitato Referendario "2 Sì per l'Acqua Bene Comune" e di quello "Vota sì per fermare il nucelare" hanno occupato pacificamente la sede Rai di Viale Mazzini.  E' antidemocratico e scandaloso che il servizio pubblico oscuri i referendum, privando i cittadini di del diritto alla corretta informazione", hanno fatto sapere con una nota. I referendari, circa venti persone, dopo circa un'ora di  sit-in hanno incontrato il direttore generale della tv di Stato Lorenza Lei.
Sit-in anche a Montecitorio. Prosegue intanto anche il presidio promosso dai comitati che da ieri staziona davanti alla Camera per informare i cittadini sui quesiti referendari. Proprio oggi a Montecitorio cominceranno le dichiarazioni di voto sulla fiducia che il governo ha posto sul decreto omnibus, che contiene anche la moratoria sul nucleare. "La paura sta assalendo la maggioranza - spiega il leader Verdi Angelo Bonelli -, vogliono bypassare il referendum di giugno, per poter riproporre il nucleare tra un anno". 
Intanto,
Altreconomia
ha pubblicato un dossier scritto da esperti e professori che vuole essere una proposta per la diffusione di massa. È un .pdf (leggero ed universale, quindi) è copyleft (vi chiediamo solo di non rivenderlo) e contiene anche un proposta molto vantaggiosa per scoprire Altreconomia, perché l'emergenza sull'informazione non si esaurirà coi referendum.
Scaricatelo a questo link http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2787 e poi diffondete a tutti i vostri contatti. Servirà per promuovere un'informazione approfondita e autorevole sui perché il 12 e 13 potete anche andare al mare,
MA SOLO DOPO AVER VOTATO      :-P

domenica 22 maggio 2011

L'acqua è di tutti [don Milani]

Durante l'ultimo ponte vacanziero sono stato a Barbiana ad "incontrare" e "far conoscere" don Milani alla mia famiglia...
Luca

Esiste una teologia della liberazione tutta italiana, una chiesa che è purtroppo minoritaria ma ha contribuito alla formazione civile degli italiani. Ha attraversato il Novecento, è stata isolata, spesso condannata. Don Primo Mazzolari, padre Ernesto Balducci, don Milani appunto... Da poco è stato dato alle stampe il libro "A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca" (seconda uscita della collana Instant book di Chiarelettere dopo "Odio gli indifferenti" di Antonio Gramsci, che tra l'altro campeggia come citazione in "MemoriAzioni" sul nostro blog NSDT).
Viene proposta tra l'altro nel libro l'orazione civile  "l'Obbedienza non è più una virtù", per la quale don Milani sarà sottoposto a processo, per aver difeso un gruppo di ragazzi, di disobbedienti, arrestati per aver detto no
al servizio militare. Dopo l'indignazione, in risposta all'indifferenza, gli scritti di don Milani sono tesi a riscoprire una parola: responsabilità. Il mettersi in gioco sempre, partecipare e rischiare è anche il senso del titolo del libro: "A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca" riprende inoltre un'espressione di don Milani ricordata da Roberto Saviano lo scorso febbraio al Palasharp, durante la manifestazione di Libertà e giustizia "Dimettiti".
Questa teologia della liberazione che annovera tra i maestri indimenticabili don Milani arriva fino a oggi: don Andrea Gallo e la sua difesa dei valori della costituzione, padre Alex Zanotelli e la sua instancabile campagna in giro per l'Italia per difendere l'acqua pubblica contro la privatizzazione... Proprio all'acqua che deve restare un bene di tutti è dedicato uno degli scritti di don Milani inclusi nel libro. E' una lettera del 1955 inviata al direttore del Giornale del Mattino Ettore Bernabei.

Il titolo è: L'acqua è di tutti;
eccone un estratto, da leggere come pillola quotidiana per prepararsi ai referendum del prossimo giugno.

Caro direttore, a rileggere l'articolo 3 della Costituzione, "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale." mi vengono i bordoni. Oggi non volevo parlarti dei paria d'Italia, ma d'un'altra cosa. C'è questa legge 991 (legge per la montagna che garantisce finanziamenti e agevolazioni fiscali, ndr) che pare adempia la promessa del secondo paragrafo dell'articolo 3: ". è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini". A te, cittadino di città, la Repubblica non regala un milione e mezzo, né ti presta i soldi. A noi sì. Basta far domanda. Infatti eravamo già a buon punto perché un proprietario mi aveva promesso di concederci una sua sorgente assolutamente inutilizzata e inutilizzabile per lui, la quale è ricca anche in settembre e sgorga e si perde in un prato poco sopra alla prima casa che vorremmo servire. Due settimane dopo, un piccolo incidente. Quel proprietario ha un carattere volubile. Una mattina s'è svegliato d'umore diverso e m'ha detto che la sorgente non la concede più. Ho insistito. S'è piccato. Ora non lo scoscendi più neanche colle mine. Ma il guaio è che quando ho chiesto a un legale se c'è verso d'ottenere l'esproprio di quella sorgente, mi ha risposto di no. Sicché la bizzettina di quell'omino, fatto insignificante in sé, ha l'atomico potere di buttar all'aria le nostre speranze d'acqua, il nostro consorzio, la famosa 991, il famoso articolo 3, le fatiche dei 556 costituenti, la sovranità dei loro ventotto milioni di elettori, tanti morti della Resistenza (siamo sul monte Giovi! ho nel popolo le famiglie di quattordici fucilati per rappresaglia). Ma qui la sproporzione tra causa ed effetto è troppa! Un grande edificio che crolla perché un ragazzo gli ha tirato coll'archetto! C'è un baco interiore dunque che svuota la grandiosità dell'edificio di ogni intrinseco significato. Il nome di quel baco tu lo conosci. Si chiama: idolatria del diritto di proprietà. A 1995 anni dalla Buona Novella, a sessantaquattro anni dalla Rerum Novarum, dopo tanto sangue sparso, dopo dieci anni di maggioranza dei cattolici e tanto parlare e tanto chiasso, aleggia ancora vigile onnipresente dominatore su tutto il nostro edificio giuridico. Tabù. Son dieci anni che i cattolici hanno in pugno i due poteri: legislativo ed esecutivo. Per l'uso di quale dei due pensi che saranno più severamente giudicati dalla storia e forse anche da Dio?.
Guai se non avremo almeno mostrato cosa vorremmo fare. Peccatori come gli altri, passi. Ma ciechi come gli altri no. Che i legislatori cattolici prendano dunque in mano la Rerum Novarum e la Costituzione e stilino una 991 molto più semplice in cui sia detto che l'acqua è di tutti. Quando avranno fatto questo, poco male se poi non si riuscirà a mandare due carabinieri a piantar la bandiera della Repubblica su quella sorgente. Morranno di sete e di rancore nove famiglie di contadini. Poco male. Manderanno qualche accidente al governo e ai preti che lo difendono. Poco male. Partiranno per il piano ad allungarvi le file dei disoccupati e dei senza tetto. Non sarà ancora il maggior male. Purché sia salva almeno la nostra specifica vocazione di illuminati e di illuminatori. Per adempire quella basta il solo enunciare leggi giuste, indipendente dal razzolar poi bene o male. Chi non crede dirà allora di noi che pretendiamo di saper troppo, avrà orrore dei nostri dogmi e delle nostre certezze, negherà che Dio ci abbia parlato o che il Papa ci possa precisare la parola di Dio. Dicendo così avrà detto solo che siamo un po' troppo cattolici. Per noi è un onore. Ma sommo disonore è invece se potranno dire di noi che, con tutte le pretese di rivelazione che abbiamo, non sappiamo poi neanche di dove veniamo o dove andiamo, e qual è la gerarchia dei valori, e qual è il bene e quale il male, e a chi appartengono le polle d'acqua che sgorgano nel prato di un ricco, in un paesino di poveri.
Don Lorenzo Milani

mercoledì 18 maggio 2011

Acqua Rubata [VideoPost]

Acqua Rubata

Trasmissione:
Presa diretta (Riccardo Jacona), RAI3
Andato in onda il: 07/02/2010
Durata: 01:38:13

on demand:
Video Rai.TV - Presa diretta - Acqua Rubata

Il parlamento l'anno scorso ha accelerato il processo di privatizzazione della gestione dell’acqua e ha imposto agli enti locali di mettere questo servizio a gara. Da quel momento metà Italia è  in fibrillazione .
Regioni come  la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, l’Alto Adige  e centinaia di comuni e province oggi gestiscono direttamente il servizio idrico e forniscono  un ottimo servizio  ai cittadini.  Milioni di italiani rischiano di non poter godere più di un servizio efficiente ad un prezzo equo.
In alcune regioni e province alcune società private hanno già da anni  mano libera per  la gestione degli acquedotti e decine  di comitati dei cittadini  contestano dati alla mano  la loro gestione.

“Presadiretta” ha toccato alcuni punti dolenti :
ad Agrigento, con le tariffe più costose di Italia l’acqua arriva a singhiozzo appena qualche ora ogni settimana;
ad Arezzo, le bollette sono molto salate (terze in Italia) e gli investimenti dell’azienda che distribuisce l’acqua sono sotto la media nazionale;
ad Aprilia il consiglio di stato ha dato ragione al comitato dei cittadini e al movimento dei sindaci che si battono per  riprendersi la gestione dell’acqua.

E mentre in Italia si spinge sulla privatizzazione in Francia si sta andando nella direzione opposta:
con ACQUARUBATA siamo andati a vedere perché  il comune di  Parigi ha deciso, a 25 anni dalla privatizzazione, di riprendersi  la gestione dell’acqua.
ACQUARUBATA affronta anche l’annosa questione  delle “acque minerali” : un’acqua letteralmente “regalata”: le società che producono e imbottigliano acqua minerale pagano alle  regioni  canoni ridicoli per l’utilizzo delle sorgenti.
ACQUARUBATA è un viaggio nel mondo della “acqua pubblica” e della “acqua privata” che cerca di rispondere a questa domanda :  è giusto e sensato  che a decidere la gestione e l’utilizzo dell’acqua, un bene essenziale per la sopravvivenza, sia una società che ha l’obbligo di guadagnarci sopra?

lunedì 16 maggio 2011

L’acqua non è una merce da affidare ad una Borsa mondiale!

Il Contratto Mondiale sull’Acqua replica alle dichiarazioni del presidente di Nestlè
acqua-uguale-per-tutti 




“L’acqua non è una merce e pertanto è assurdo creare una Borsa mondiale dell’acqua!”.
Così il Comitato italiano per il Contratto Mondiale sull’Acqua replica alla proposta lanciata martedì 10 maggio a Ginevra dal presidente della multinazionale Nestlè, Peter Brabeck, di costituire una “Borsa mondiale dell’acqua”, allo stesso livello delle Borse esistenti che regolamentano le merci.
“La proposta di consolidare un approccio già dominate che punta a classificare l’acqua come una merce a valenza economica, costituisce una provocazione che lascia chiaramente trasparire gli interessi dei principali gruppi economici e finanziari mondiali e come intendono gestire e governare il bene comune acqua nel corso dei prossimi anni. Siamo in presenza di una proposta folle e dannosa, che va rigettata con forza attraverso azioni di contrasto da parte dei cittadini di ogni parte del mondo”, dichiara Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano per il Contratto Mondiale sull’Acqua che da oltre dieci anni è impegnato in Italia ed in Europa a promuovere una cultura dell’acqua come diritto umano e bene comune. ( www.contrattoacqua.it ) La proposta della “Borsa mondiale dell’acqua” è stata avanzata da Nestlè allo Stato di Alberta, in Canada, come soluzione per ridurre la concorrenza e competizione scoppiata rispetto ai prelievi fra agricoltori e compagnie petrolifere. “E’ assurdo pensare che l’accesso all’acqua potabile, che l’ONU ha di recente riconosciuto come un diritto umano, possa essere regolato attraverso una Borsa mondiale, analogamente a quanto è purtroppo avvenuto per il petrolio, i semi, il grano”, sottolinea Lembo. “Non è attraverso lo strumento del prezzo che si può pensare di contrastare la competitività crescente tra gli usi produttivi delle risorse idriche e quindi fra agricoltura ed idroelettrico o di ridurre gli sprechi, affidando all’aumento del prezzo la riduzione dei consumi per superare i trend crescenti di depauperamento e scarsità delle risorse idriche”. “Anche in chiave italiana questa proposta costituisce un campanello di allarme che deve fortemente stimolare gli italiani a recarsi il 12 e 13 Giugno a votare i Referendum sull’acqua”, sottolinea Roberto Fumagalli, vicepresidente Cicma e referente per la Lombardia del Comitato referendario 2 Si per l’acqua bene comune. “Se in Italia vogliamo sottrarre l’acqua al mercato ed alla speculazione finanziaria, è opportuno che ogni italiano si rechi alle urne per votare i due quesiti referendari sull’acqua, chiedendo l’abrogazione delle leggi votate dal Parlamento italiano che definiscono l’acqua una merce da affidare ai privati e che garantiscono un profitto ai gestori dei servizi idrici”.
L’acqua non è una merce e non appartiene ai mercati e alle Borse, ma ai cittadini che devono farsi carico, in maniera responsabile e solidale, rispetto agli usi ed alle modalità con cui garantirne l’accesso alle future generazioni.

Info stampa:
R. Lembo
Comitato Italiano Contratto Mondiale sull’acqua – Onlus – C.F 97276140155
Sede legale Via Rembrandt 9 – 20147 Milano Tel. +39. 02.89072057- Tel/Fax +39.02.89056946
e-mail : segreteria@contrattoacqua.it – sito www.contrattoacqua.it

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La notizia di certo non sorprende, né giunge inaspettata. La Nestlé ha proposto alla regione canadese dell'Alberta di creare una borsa dell'acqua – così come avvenuto per altre materie prime – per risolvere un'annosa questione di concorrenza. L'acqua della zona infatti è contesa dagli agricoltori locali che la utilizzano per irrigare i campi coltivati, e dalle compagnie petrolifere, come la Syncrude o la Suncor, cui invece è necessaria – in grandi quantità – per estrarre il petrolio dalle sabbie bitumose.
In una intervista rilasciata alla Reuters, il presidente della Nestlé Peter Brabeck ha in pratica affermato che l'acqua dovrebbe essere trattata “più come il petrolio”. Con il petrolio “è evidente cosa accade quando la domanda sale. Il mercato reagisce e le persone iniziano ad usarlo in maniera più efficiente”. Brabeck spinge il suo paragone fino al punto per lui più conveniente, quello dell'efficienza. Ma noi vogliamo andare più avanti. Abbiamo detto di considerare l'acqua come il petrolio. Ma cosa sta accadendo con il petrolio? Sul fronte dell'offerta, il petrolio è una risorsa in rapido esaurimento; se ne riesce ad estrarre sempre meno e quelle poche gocce preziose le si ottengono a fronte di uno sforzo sempre più elevato. Sul fronte della domanda, la richiesta continua a crescere e continuiamo a vivere in una società che basa sull'oro nero gran parte della sua produzione. Cosa avviene? Il prezzo sale costantemente e sempre meno persone saranno in grado di acquistare petrolio o suoi derivati (fra cui l'energia da esso prodotta). Fin qui poco male, anzi. Un aumento vertiginoso del prezzo di benzina & co. porterà ad un ripensamento forzato delle strategie energetiche dei paesi industrializzati in chiave, si spera, ecosostenibile.
Ma immaginiamo che lo stesso accada con l'acqua. Supponiamo che l'aumento della richiesta – determinato dal costante aumento della popolazione mondiale – ed il calo della disponibilità – dettato invece dall'impoverimento e dalla contaminazione delle falde acquifere – facciano “reagire il mercato” causando un aumento considerevole dei prezzi dell'acqua. Che faremo allora? Sostituiremo l'acqua con un'altra risorsa più abbondante ed economica? Difficile da immaginare. Più plausibilmente, le fasce più povere della popolazione perderanno l'accesso all'acqua potabile e dovranno, sempre che gli sia concesso, ricorrere all'acqua piovana o ad altre acque poco sicure, con il rischio della diffusione di malattie ed epidemie. Le multinazionali, grazie al loro potere d'acquisto, domineranno incontrastate sul mercato dell'acqua, dettandone regole e prezzi. E l'acqua da diritto di tutti passerà ad essere un privilegio di pochi.
La notizia ha suscitato fin da subito le reazioni delle associazioni che si occupano delle risorse idriche. "Affidare l'acqua alla borsa - ha affermato Riccardo Petrella, presidente dell'I.E.R.P.E (Istituto Europeo di Ricerca sulle Politiche dell'Acqua) - significa confiscare ai popoli della Terra un bene comune pubblico insostituibile per la vita, consegnando il futuro della vita di milioni di persone al potere di arricchimento di pochi grandi speculatori finanziari".
Simile reazione da parte del Comitato Promotore 2 Sì per l'Acqua Bene Comune, che ha dichiarato che "l'acqua non è una merce e non appartiene ai mercati e alle Borse, ma ai cittadini che devono farsi carico, in maniera responsabile e solidale, rispetto agli usi ed alle modalità con cui garantirne l'accesso alle future generazioni".
Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano per il Contratto Mondiale sull'Acqua, ha parlato di una "proposta folle e dannosa, che va rigettata con forza attraverso azioni di contrasto da parte dei cittadini di ogni parte del mondo".
Purtroppo, l'unica voce fuori dal coro è stata del governo dell'Alberta, che è invece apparso entusiasta della proposta, ed ha già approntato la prima mossa: creare una distinzione tra diritti alla terra e diritti all'acqua, di modo che il possesso della terra non implichi il diritto all'acqua che vi scorre. 

ilcambiamento.it 16.05.11

sabato 14 maggio 2011

Acqua Pubblica - VideoPost #3

Marco Bersani a Torino - Libreria Coop, 16 febbraio 2011
"Non farti portar via l'acqua!"


postato da: Comitato Acqua Pubblica Torino e del Coordinamento Torinese Referendum per l'Acqua Pubblica. Siamo cittadini e associazioni impegnate nella difesa dell'acqua in quanto bene essenziale per la vita e quindi non mercificabile. Il Comitato ed il Coordinamento referendario fanno parte del Forum italiano dei movimenti per l'acqua.                                                                                                                                     ___________________________________                                                                                                                                            Margherita CIERVO - Geopolitica dell'acqua:                                                                                                                                                                                                                    

Acqua, bene comune;
Andria, 25 marzo 2011

Cremona, 21 maggio 2011 

GEOPOLITICA DELL'ACQUA

L’acqua è un bene comune o un bene economico? Perché, pur essendo la risorsa più abbondante, è sempre più scarsa? Qual è la relazione fra scarsità e sistema produttivo e stili di vita? Esiste una connessione fra la mancanza di accesso all’acqua potabile e le multinazionali?  È un caso che le guerre dell’acqua aumentino in maniera esponenziale?
 Quali sono le ragioni e gli effetti della privatizzazione? Quali le responsabilità dei governi? Chi decide realmente sulle risorse? A nome di chi? Sulla base di quale legittimità? 
Il libro propone spunti di riflessione su queste e altre domande, esplorando anche i luoghi della resistenza alla mercificazione dell’acqua, le reti e i percorsi di ripubblicizzazione dei servizi idrici e dell’immaginario collettivo. 
La nuova edizione approfondisce il caso italiano – al quale è dedicato un intero capitolo – le importanti evoluzioni sociopolitiche verificatesi dall’ottobre 2009 e le modalità con cui si sono realizzate.


     

sabato 7 maggio 2011

AlReves: ACQUA


Caccia all’oro blu
La disputa per il controllo delle fonti d’acqua in America latina

Se il novecento è stato indubbiamente il secolo del petrolio, l’acqua, fonte di vita e bene irrinunciabile per l’umanità intera, si può già considerare l’ ”oro blu” del ventunesimo secolo. In uno scenario in cui la penuria di risorse idriche a livello mondiale coincide con un progressivo aumento della loro domanda, il “valore di mercato” dell’acqua è cresciuto in modo esponenziale, tanto da portare alla nascita di un’inedita classe di imprenditori e affaristi “cacciatori d’acqua”, specializzati nella compravendita dell’”oro blu”.
Alla logica del mercato non può sottrarsi nemmeno l’America latina. Come è noto, il subcontinente può contare su riserve idriche imponenti: il Rio delle Amazzoni, il Paranà e l’Orinoco sono tra i fiumi più importanti al mondo e il solo Brasile possiede la quinta parte di tutta l’acqua del pianeta; il lago Titicaca, che si estende tra il Perù e la Bolivia, e quello di Maracaibo (Venezuela) soddisfano da soli il fabbisogno di acqua di milioni di persone.
Di conseguenza, stando a questi dati, la popolazione latinoamericana dovrebbe poter disporre di una quantità di acqua pari a circa 3.100 metri cubi annui pro capite, mentre secondo le statistiche il valore ufficiale è di soli 29 metri cubi. E’ questo uno dei più grandi paradossi dell’America latina: una terra ricchissima di fonti idriche, i cui abitanti non sono però in grado di disporre della loro acqua in modo adeguato e “democratico”.
Secondo fonti ONU, attualmente in tutta l’America latina ci sono ancora 130 milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile. La situazione più critica è quella del Brasile: la nazione che possiede la più grande riserva di acqua dolce al mondo deve affrontare addirittura il rischio di razionamento nelle grandi città; e questo accade non solo a causa dell’eccessiva distanza delle sorgenti ma soprattutto perché l’acqua, sempre più sottratta al consumo domestico, viene preferibilmente “dirottata” verso l’utilizzo agro-industriale, sotto la gestione delle imprese transnazionali.
Nei paesi dell’area latinoamericana operano numerose aziende europee che gestiscono le reti idriche per la fornitura pubblica dell’acqua. La maggior parte di queste imprese private sono filiali locali che fanno capo alle tre principali corporation del settore a livello globale: le francesi Suez e Vivendi che controllano più del 70% del mercato mondiale dei servizi idrici, e la tedesca RWE-Thames. Questi tre “giganti”, che forniscono acqua a circa 300 milioni di utenti in 130 paesi, si situano tra le 100 multinazionali più ricche, con un introito totale di quasi 160.000 milioni di dollari [dati del 2002] e con un tasso di crescita del 10% annuo.

Le battaglie per l’acqua pubblica.
In America latina, la corsa all’accaparramento delle fonti d’acqua da parte delle multinazionali ha una lunga storia. Tuttavia, il caso più eclatante - e drammatico per le sue conseguenze sociali - si verificò in Bolivia nel 2000, quando la Banca Mondiale impose al governo del paese andino la privatizzazione dei servizi idrici in cambio della concessione di un prestito di 25 milioni di dollari. Qualche mese dopo nella regione di Cochabamba, una tra le area più povere della Bolivia e popolata da mezzo milione di persone, l’intera rete di distribuzione dell’acqua fu acquistata dall’impresa statunitense Bechtel. Nel giro di poco, il prezzo delle tariffe aumentò a tal punto da scatenare l’ira di decine di migliaia di abitanti. La protesta culminò in una serie di gravi disordini,
e in uno sciopero generale che paralizzò la città. Alla fine delle ostilità, Bechtel fu costretta a cedere e a fare le valigie dalla Bolivia.
In molte altre zone del subcontinente, associazioni di consumatori e gruppi di iniziativa civile continuano a portare avanti - con alti e bassi - la loro estenuante lotta contro la privatizzazione dell’acqua pubblica. In Argentina, le associazioni di consumatori si oppongono da un decennio alla privatizzazione degli impianti dell’acqua corrente da parte della Suez-Lyonnaise, “che ha provocato col tempo l’inquinamento del Rio de la Plata, oltre che un meccanismo di corruzione generalizzata e di profitti privati senza precedenti […].”*
Nel 2004 in Uruguay, un’alleanza di lavoratori ed associazioni ha promosso un referendum nazionale per chiedere una riforma costituzionale che sancisse l’acqua come “diritto umano e bene pubblico”, per sottrarla alla grinfie delle imprese. In quella consultazione più del 60% della cittadinanza uruguaiana votò a favore della riforma, e dunque contro la privatizzazione dell’acqua. In Cile, al contrario, si susseguono le proteste da parte delle organizzazioni ecologiste e civili per la svendita delle reti fluviali. Già durante il regime di Pinochet, l’80% dei fiumi cileni fu ceduto al settore privato, principalmente alla compagnia spagnola ENDESA, per la produzione di energia idroelettrica.
Gli abitanti delle zone più povere del Perù hanno intrapreso da anni una lotta senza quartiere contro le imprese erogatrici, a causa dei livelli proibitivi che hanno raggiunto le tariffe della loro acqua. A Lima, la gente povera arriva a pagare l’acqua - per giunta molto inquinata - fino a 3 dollari al metro cubo dovendosi anche preoccupare del suo trasporto, tutto a spese proprie.
In Guatemala, nella zona della frontiera con il Messico, contadini, lavoratori ed ecologisti protestano da anni contro la costruzione di cinque dighe sul Rio Usumacinta, il più grande fiume della regione. Oltre allo sfruttamento idroelettrico il mega progetto, facente capo al faraonico Piano Puebla Panamà (PPP), prevede la costruzione di un sistema di acquedotti diretti alla penisola dello Yucatan, dove gli immensi latifondi di prodotti d’esportazione richiedono ingentissime quantità d’acqua per l’irrigazione. Secondo le organizzazioni ecologiste, i danni finora causati all’ecosistema guatemalteco per la realizzazione di questa grande opera sono incalcolabili.
Non così distante dal bacino dell’Usumacinta, “la popolazione indigena del Chiapas (Messico) ha intrapreso una dura battaglia contro “Coca Cola”, che vorrebbe assicurarsi il controllo delle riserve acquifere della regione. In una nazione dove la maggior parte della popolazione deve sopportare il razionamento dell’acqua, più del 30% del consumo di acqua dolce si concentra proprio nello stato del Chiapas, dove la multinazionale si è saldamente insediata facendo pressioni sui governi locali per ottenere le concessioni necessarie ad acquisire la proprietà privata sulle sorgenti d’acqua.”*
Spesso la Banca Mondiale e il BID (Banca Interamericana dello Sviluppo) agevolano l’ingresso delle multinazionali nei mercati latinoamericani. Tanto Suez come Vivendi ricorrono alla loro influenza presso gli enti creditizi multilaterali affinché l’erogazione privata dell’acqua diventi la “condizione” per la remissione di un debito o per la concessione di nuovi prestiti a favore dei governi locali. “Il BID, ad esempio, vanta [nella regione latinoamericana] crediti per 58.000 milioni, ciò gli conferisce lo straordinario potere di imporre la privatizzazione dell’acqua ai municipi “disperati”. E in effetti, alcuni dei prestiti più sostanziosi concessi dal BID nello scorso decennio  erano direttamente destinati alle multinazionali, con lo scopo di cominciare i processi di privatizzazione dell’acqua in paesi come l’Argentina, la Bolivia e l’Honduras.”*

Andrea Necciai

Note: *“La furia del oro azul”,  di Tony Clarke e Maude Barlow – Lacantara.