Colombia, la
strage silenziosa
Sono
colombiani 6 sindacalisti su 10 assassinati nel mondo
La Colombia, paese già noto
alle cronache per il narcotraffico, gli alti livelli di criminalità e la
guerriglia delle FARC, detiene anche un particolare e triste primato. Al
turbolento paese andino spetta il record dei sindacalisti morti ammazzati (circa
il 60% su base mondiale), vittime di una violenza sistematica e selettiva che
dal 1986 ad oggi ha lasciato sul terreno ben 2.778 cadaveri, tra attivisti e
dirigenti sindacali.
Il
dipartimento per la difesa dei diritti umani della CUT (Central Unitaria de
Trabajadores), uno dei principali sindacati colombiani, in un suo recente
rapporto sul tema parla - senza mezzi termini - di “genocidio contro il
movimento sindacale colombiano”. Il fenomeno, che ha profonde radici storiche, non
è nuovo e si inserisce nel contesto della repressione esercitata dalle forze di
sicurezza statali e dai paramilitari, al soldo degli impresari, contro settori
della società civile colombiana e comunità indigene, vittime anch’esse di un autentico
“sterminio di massa”.
Fin
dagli albori del movimento dei lavoratori colombiano, la violenza antisindacale
è stata la risposta più frequente, da parte di un padronato senza scrupoli, alle
rivendicazioni operaie e contadine. E da allora non ha più cessato di mietere
vittime. Solo nel 2010 sono stati assassinati in Colombia 39 sindacalisti, 17
dei quali erano insegnanti affiliati a FECODE, uno dei sindacati della scuola particolarmente
colpiti dalla repressione. Secondo il rapporto della CUT, tra il 1 gennaio ed
il 30 agosto 2010 si sono registrate in totale 275 violazioni, che comprendono
- oltre agli omicidi - anche i casi di minacce, attentati, sparizioni e
sequestri di persona.
Nella
Colombia di oggi le stragi di sindacalisti si richiamano a molti altri eventi
drammatici, a fenomeni strettamente correlati come lo sfruttamento delle multinazionali,
lo scandalo dei “falsi positivi”, le intercettazioni illegali (come nel recente
‘Plan Escalera’), gli oscuri complotti del DAS [il servizio segreto colombiano,
ndr] e la riorganizzazione del paramilitarismo; per non parlare poi della profonda
crisi sociale, nascosta a fatica dal governo, che colpisce fasce sempre più ampie
di popolazione.
Ma
il dato più grave è che per tutti questi omicidi, attribuibili alle forze di
sicurezza colombiane o alle rinate squadracce paramilitari - note fino a ieri come
Autodefensas Unidas de Colombia (AUC), oggi si chiamano “Aquile nere” -, il
tasso di impunità è salito in pochi anni al 90%. Ciò significa che i
responsabili dell’eliminazione fisica dei sindacalisti non vengono quasi mai
giudicati e tanto meno puniti, per di più se si considera l’ormai cronica carenza
di indagini e di processi.
Per
mantenere quanto meno una parvenza di legalità il governo colombiano, invischiato
negli affari loschi tra politica e (narco)paramilitarismo - anche dopo il
fallimento della legge “Justicia y Paz” (leggi “amnistia”) che intendeva mettere
fine allo strapotere delle AUC -, ha giocato la carta della “Ley de victimas”,
un fumoso progetto di legge a sostegno delle vittime del paramilitarismo attualmente
in discussione al Senato. Tuttavia, e agli occhi di molti, il provvedimento è
apparso come una mera operazione di facciata che dimostrerebbe la non volontà
da parte dell’esecutivo in carica di risolvere il problema della violenza
contro i sindacati e le organizzazioni popolari.
La
stessa CUT per voce del suo rappresentante, Luis Alberto Vanegas, denuncia che “la Ley de victimas ha cominciato
il suo dibattimento parlamentare partendo dal disegno di legge del governo di ‘Unità
Nazionale’ senza consultare le associazioni delle vittime della violenza
e neppure
le organizzazioni sociali e sindacali […]. Lo Stato si arroga il diritto di
definire chi è una vittima e chi invece non lo è, mentre la discussione si
concentra più sui costi e sulla sostenibilità fiscale che sui diritti delle
vittime. Inoltre, il progetto di legge del governo non prende in considerazione
il risarcimento collettivo per le organizzazioni che sono state vittime della
repressione, né prevede che lo Stato si assuma qualsiasi responsabilità nel
genocidio. […] Il governo colombiano, in combutta con impresari, multinazionali
e settori della destra, sta portando avanti numerose azioni per cercare di
occultare il genocidio, sviluppando nel contempo un’intensa attività
diplomatica a livello internazionale per far calare l’oblio sulle sistematiche
violenze antisindacali”. *
Tutto lascia prevedere, anche per questo 2011, che la Colombia si confermerà ai
primi posti tra le nazioni più pericolose e violente al mondo, e sempre più
“fatale” ai sindacalisti ed agli attivisti dei diritti umani.
Note:
*
Intervista a Luis Alberto Vanegas, Departamento de Derechos Humanos de la CUT – www.rebelion.org.
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