sabato 5 febbraio 2011

AlReves: Colombia


Colombia, la strage silenziosa
Sono colombiani 6 sindacalisti su 10 assassinati nel mondo

La Colombia, paese già noto alle cronache per il narcotraffico, gli alti livelli di criminalità e la guerriglia delle FARC, detiene anche un particolare e triste primato. Al turbolento paese andino spetta il record dei sindacalisti morti ammazzati (circa il 60% su base mondiale), vittime di una violenza sistematica e selettiva che dal 1986 ad oggi ha lasciato sul terreno ben 2.778 cadaveri, tra attivisti e dirigenti sindacali.

Il dipartimento per la difesa dei diritti umani della CUT (Central Unitaria de Trabajadores), uno dei principali sindacati colombiani, in un suo recente rapporto sul tema parla - senza mezzi termini - di “genocidio contro il movimento sindacale colombiano”. Il fenomeno, che ha profonde radici storiche, non è nuovo e si inserisce nel contesto della repressione esercitata dalle forze di sicurezza statali e dai paramilitari, al soldo degli impresari, contro settori della società civile colombiana e comunità indigene, vittime anch’esse di un autentico “sterminio di massa”.

Fin dagli albori del movimento dei lavoratori colombiano, la violenza antisindacale è stata la risposta più frequente, da parte di un padronato senza scrupoli, alle rivendicazioni operaie e contadine. E da allora non ha più cessato di mietere vittime. Solo nel 2010 sono stati assassinati in Colombia 39 sindacalisti, 17 dei quali erano insegnanti affiliati a FECODE, uno dei sindacati della scuola particolarmente colpiti dalla repressione. Secondo il rapporto della CUT, tra il 1 gennaio ed il 30 agosto 2010 si sono registrate in totale 275 violazioni, che comprendono - oltre agli omicidi - anche i casi di minacce, attentati, sparizioni e sequestri di persona.

Nella Colombia di oggi le stragi di sindacalisti si richiamano a molti altri eventi drammatici, a fenomeni strettamente correlati come lo sfruttamento delle multinazionali, lo scandalo dei “falsi positivi”, le intercettazioni illegali (come nel recente ‘Plan Escalera’), gli oscuri complotti del DAS [il servizio segreto colombiano, ndr] e la riorganizzazione del paramilitarismo; per non parlare poi della profonda crisi sociale, nascosta a fatica dal governo, che colpisce fasce sempre più ampie di popolazione.

Ma il dato più grave è che per tutti questi omicidi, attribuibili alle forze di sicurezza colombiane o alle rinate squadracce paramilitari - note fino a ieri come Autodefensas Unidas de Colombia (AUC), oggi si chiamano “Aquile nere” -, il tasso di impunità è salito in pochi anni al 90%. Ciò significa che i responsabili dell’eliminazione fisica dei sindacalisti non vengono quasi mai giudicati e tanto meno puniti, per di più se si considera l’ormai cronica carenza di indagini e di processi.

Per mantenere quanto meno una parvenza di legalità il governo colombiano, invischiato negli affari loschi tra politica e (narco)paramilitarismo - anche dopo il fallimento della legge “Justicia y Paz” (leggi “amnistia”) che intendeva mettere fine allo strapotere delle AUC -, ha giocato la carta della “Ley de victimas”, un fumoso progetto di legge a sostegno delle vittime del paramilitarismo attualmente in discussione al Senato. Tuttavia, e agli occhi di molti, il provvedimento è apparso come una mera operazione di facciata che dimostrerebbe la non volontà da parte dell’esecutivo in carica di risolvere il problema della violenza contro i sindacati e le organizzazioni popolari.

La stessa CUT per voce del suo rappresentante, Luis Alberto Vanegas, denuncia che “la Ley de victimas ha cominciato il suo dibattimento parlamentare partendo dal disegno di legge del governo di ‘Unità Nazionale’ senza consultare le associazioni delle vittime della violenza e neppure le organizzazioni sociali e sindacali […]. Lo Stato si arroga il diritto di definire chi è una vittima e chi invece non lo è, mentre la discussione si concentra più sui costi e sulla sostenibilità fiscale che sui diritti delle vittime. Inoltre, il progetto di legge del governo non prende in considerazione il risarcimento collettivo per le organizzazioni che sono state vittime della repressione, né prevede che lo Stato si assuma qualsiasi responsabilità nel genocidio. […] Il governo colombiano, in combutta con impresari, multinazionali e settori della destra, sta portando avanti numerose azioni per cercare di occultare il genocidio, sviluppando nel contempo un’intensa attività diplomatica a livello internazionale per far calare l’oblio sulle sistematiche violenze antisindacali”. *
Tutto lascia prevedere, anche per questo 2011, che la Colombia si confermerà ai primi posti tra le nazioni più pericolose e violente al mondo, e sempre più “fatale” ai sindacalisti ed agli attivisti dei diritti umani.

Andrea Necciai

Note:
* Intervista a Luis Alberto Vanegas, Departamento de Derechos Humanos de la CUT – www.rebelion.org.

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