Nelle <<Foibe>> vennero gettati gerarchi fascisti e nazisti miliziani e collaborazionisti, oppositori vari. La violenza dei partigiani di Tito contro gli invasori fascisti e nazisti, nonché quella dei partigiani triestini, era legittima; fu reazionaria nei confronti di operai e avanguardie comuniste. L’equiparazione postuma dei morti non supera il passato né elimina le responsabilità. La storia non si cancella. Condanniamo il cordoglio odierno, di fascisti e antifascisti, sui morti delle “Foibe” come manifestazione di revanschismo imperialistico e mettiamo in guardia “esuli” italiani e sloveni confinari sulle mire espansionistiche dell’Italia. (Riceviamo e pubblichiamo)
Istria e Trieste, da luoghi di massacri, debbono ritornare centri di INTERNAZIONALISMO PROLETARIO.
Le “ foibe” non furono né un genocidio del totalitarismo "comunista" (non c’era comunismo né in Russia né in Jugoslavia ed è una bestialità allineare Marx - Lenin con Tito, Stalin, Mao, Pol Pot); né una pulizia etnica né una “folle vendetta“ attuata da gente disperata; né una “barbarie di guerra”; né una “grande tragedia”; né altro di consimili cose sciorinano giornali e televisioni con grande noncuranza o mistificazione degli avvenimenti storici. Le “foibe”, cui ci limitiamo a quelle del 1945, furono una pratica di giustiziazione politica attuata dall’esercito di liberazione jugoslavo contro i nazi-fascisti e i loro accoliti che, che con le loro atrocità e invasione, avevano causato la morte di 1.700.000 persone.
La presenza delle truppe di Tito a Trieste e Gorizia va dal 2 maggio al 12 giugno 1945. In questi quaranta giorni ci furono esecuzioni e deportazioni nei campi di concentramento jugoslavi ma non ci fu alcun genocidio o pulizia etnica. L’esercito di Tito epurò le due città essendo nei suoi piani, avvallati da Togliatti, spostare il confine fino al Tagliamento, ma non operò alcuna eliminazione sistematica in base alla nazionalità. Le direttive ai comandanti sloveni erano di arrestare i nemici e di epurare in base all’appartenenza al fascismo (gli sloveni avevano giustiziato più di 10.000 connazionali perché collaborazionisti ).
Dal novembre 1945 all’aprile 1948 sono state recuperate dai crepacci tra Trieste e Gorizia circa 500 salme. Metà erano di militari metà di civili. Le “foibe” furono quindi la modalità esecutiva di un più vasto repulisti politico operato con metodi sommari e feroci da una armata di liberazione nazionale che tendeva a stabilire la padronanza sul campo prima delle trattative di pace in una zona di confine conteso.
Il P.C.I. triestino ammetteva la tattica delle “foibe” raccomandando ai propri militanti di non sbagliare bersaglio e di colpire dirigenti responsabili del regime fascista e della RSI membri della milizia e della guardia repubblichina collaboratori aperti dei nazisti . Quindi scaraventare l’avversario nei crepacci faceva parte della lotta antifascista ed era una giusta reazione alla violenza nera. Questo il contesto storico di allora. Dal 1992 operano 2 commissioni miste, una italo- slovena, l’altra italo-croata, per ricostruire questi episodi. Non c’è molto da scoprire. I fatti storici a parte i dettagli sono noti.
L’unico capitolo da ricostruire è la distruzione dei reparti più combattivi della classe operaia giuliana e delle avanguardie comuniste ad opera congiunta del nazionalismo titino e dello stalinismo del P.C.I. triestino. Ma non ci aspettiamo niente dalle predette commissioni e esortiamo perciò quanti hanno a cuore l’argomento e la possibilità di farlo di cimentarsi in questa ricostruzione.
Che oggi gli ex partigiani si inchinino davanti le “fobie” in compagnia degli ex fascisti , i quali per quaranta anni ne hanno fatto un vessillo speculando sul dramma dei profughi da loro creato, non ci sorprende affatto. Fascismo e antifascismo sono due facce della stessa medaglia borghese e già nell’89 il P.C.I. di allora aveva deposto i primi fiori alla “foiba” di Basovizza. Ma è un incolmabile atto di ipocrisia sostenere che tutti i morti sono uguali e che la violenza parifica i soggetti. Nossignori. Le repressioni, le atrocità, gli stermini degli imperialisti e degli oppressori non possono essere equiparati alle uccisioni e violenze dei movimenti nazionali né tantomeno a quelli degli oppressi. La persona umana non è un’entità astratta; è una cellula sociale; e ha un posto di serie A-B-C-D a seconda che appartenga a questa o quella classe, in vita e in morte. Quindi si abbraccino pure i nemici di ieri la storia non si cancella.
E’ logico che ogni qualvolta si parla di “foibe” il clima per gli italiani dell’ex Istria si fa più pesante in quanto cresce l’ostilità di sloveni e croati. Certo che la raggiunta unità post-fascista di ex camice nere e di ex partigiani non prelude a nulla di buono. Essa esprime la grande voglia dei gruppi economico-finanziari e militari di ritornare da padroni in queste terre ed è dunque foriera di nuove e più sanguinose avventure.
…I MORTI NON SONO TUTTI UGUALI : CI SONO OPPRESSI E CI SONO OPPRESSORI, AGGREDITI E AGGRESSORI, VITTIME E BOIA . SOLO I PRIMI MERITANO RISPETTO.
Articolo del suppl. al giornale murale di RIV. COM. del 15 settembre 1996, affisso sui muri anche recentemente in provincia di Varese.
---Edizione a cura di---
RIVOLUZIONE COMUNISTA
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giovedì, 15 febbraio 2007
Nella linea di faglia tra Est e Ovest
A Pola xe l’Arena
La Foiba xe a Pisin
Che buta zo in quel fondo
Chi ga certo morbin (1).
(Canto dei giovani fascisti di Pisino, 1919)
Durante e dopo le vicende belliche della Seconda guerra mondiale, Venezia Giulia, Istria e Dalmazia si trovarono stritolate dalla linea di faglia, lungo la quale l’imperialismo anglo-americano si scontrava con il nazionalismo iugoslavo, sostenuto dall’Unione Sovietica.
Il contrasto era inasprito dalla politica razzista nei confronti degli sloveni, condotta dall’Italia dopo l’annessione di quelle regioni, avvenuta nel 1918, e, soprattutto, con l’occupazione della Slovenia dal 1941 al 1943. Furono 25 anni contraddistinti da crescenti violenze che, durante la guerra, assunsero carattere di genocidio(2). Fin dal 1919, i fascisti avevano inaugurato la macabra consuetudine di gettare nelle foibe avversari politici o considerati tali in quanto slavi.
La persecuzione degli sloveni si intrecciò alla repressione contro socialisti e comunisti che, negli importanti centri industriali di Trieste, Fiume, Albona e Pola, vantavano una tradizione di forte impronta internazionalista, fondata su consolidati rapporti tra le differenti nazionalità che, dalla fine dell’Ottocento, connotavano il proletariato di quelle zone, in cui convivevano non solo italiani e sloveni, ma anche ebrei, tedeschi e croati. In tutta la regione, le aggressioni fasciste furono subito estremamente violente: a Trieste il 13 luglio 1920 incendiarono l'Hotel Balkan, sede del Centro culturale sloveno, il 9 febbraio 1921 incendiarono «Il Lavoratore», quotidiano del Partito Comunista d’Italia per la Venezia Giulia e, il 28 febbraio, le Camere del Lavoro di Trieste e dell’Istria. Per tutto il ventennio fascista, il Partito Comunista d’Italia denunciò i soprusi e le persecuzioni contro gli sloveni, mantenendo rapporti non solo con i comunisti slavi ma anche con le tendenze nazionaliste radicali.
La tradizione internazionalista era talmente radicata, che neppure la sanguinaria pulizia etnica fascista era riuscita a distruggerla, aveva comunque posto premesse, che furono poi sfruttate a fondo dai nazionalcomunisti iugoslavi. Ma prima, questi ultimi dovettero eliminare ogni voce di dissenso.
Nel 1942, a Fiume alcuni militanti comunisti, tra cui G. Rebez, avevano costituito un organismo che si definì Partito Comunista Internazionale, sostenendo la lotta di liberazione degli iugoslavi, in particolare del croati, ponendola comunque in una prospettiva socialista. Dopo il 25 luglio 1943, si fecero strada le rivendicazioni slave - di cui si fece portavoce il partito comunista sloveno -, riguardanti, oltre al territorio istriano con Fiume e Zara, anche il litorale sloveno con Trieste e Gorizia. Nell’estate del 1943, la Federazione comunista di Trieste, pur sostenendo l’unità di lotta contro il nazifascismo, avanzò una posizione internazionalista, che contrapponeva il concetto di autodeterminazione dei popoli (enunciato fin dal 1915 da Lenin) alle annessioni per mezzo delle armi. Fautori dell’autodeterminazione erano Luigi Frausin, segretario regionale, Natale Kolarich e Vincenzo Gigante che, nel giro di qualche mese, furono uccisi dai nazifascisti, probabilmente in seguito a delazioni interessate. Con loro scomparvero anche Lelio Zustovich - fucilato nell’ottobre 1943 dai nazionalcomunisti croati -, Pisoni, Silvestri e altri militanti internazionalisti, anarchici, libertari e partigiani disertori delle file di Tito(3). Per evitare l’accusa di nazionalismo, il PCI uscì dal Comitato di Liberazione Nazionale della Venezia Giulia e prospettò - obtorto collo - l’adesione delle province giuliane alla futura Iugoslavia socialista. Compiuta l’epurazione dei dissidenti, i nazionalcomunisti iugoslavi poterono scatenare una nuova pulizia etnica, questa volta contro gli italiani, ricorrendo al metodo fascista delle foibe. Dapprima furono colpite persone più o meno compromesse con il regime fascista, ma presto furono colpiti anche proletari, in un massacro che aveva come unico scopo la pulizia etnica. L’esito fu un clima di accesi odi nazionalisti, in cui il proletariato venne frantumato, perdendo ogni ombra di autonomia politica. Alla campagna xenofoba dei nazionalcomunisti iugoslavi, quelli italiani risposero con una campagna altrettanto xenofoba quando, nel luglio 1948, con una rapida giravolta, il PCI si adeguò al diktat sovietico contro Tito, divenuto «lacché dell’imperialismo USA».
Nell’orrendo gioco al massacro, che per oltre cinque anni sconvolse Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, una delle poche voci fuori dal coro fu il Partito Comunista Internazionalista, presente a Trieste con alcuni militanti scampati alle purghe staliniste e titine, tra cui Francesco Sustersich. Costoro, coerenti con l’orientamento internazionalista, fornirono preziose testimonianze – prive di pregiudizi ideologici - su quanto stava avvenendo, scorgendo sul nascere anche la speculazione democratica che, in tempi recenti, ha saputo sfruttare a proprio vantaggio la denuncia dei massacri allora avvenuti. L’articolo riportato, del 1948, descrive l’operazione che allora i democratici anti-comunisti attuarono nei confronti dei profughi istriani.
Gli sciacalli del C.L.N. dell’Istria a Trieste
"Il problema dell’esodo costante e sempre crescente delle popolazioni dell’Istria, incalzate dalla fame e del terrore titino, costituisce una «vexata quaestio» dalla quale, per ben tre anni, certi enti (autodefinitisi morali) hanno tratto, ma solo per i loro scagnozzi, motivo di esistere.
Infatti, essi sorsero come funghi a Trieste, un po’ dappertutto in Italia, fin dal luglio 1945, con gli ormai famosi appellativi di «C.L.N. dell’Istria e della Venezia Giulia» e con lo scopo precipuo di aiutare in ogni modo e forma coloro che, perseguitati dai nazionalisti di Tito, ne avessero avuto bisogno, ma mostrarono ben presto finalità esattamente opposte a quelle per le quali avevano dichiarato di sorgere e, quel che è peggio, servirono a raccogliere e favorire nel loro misterioso seno i rimasugli sbandati del fascismo, della X MAS e dei collaboratori nazisti, per divenire infine veri e propri covi di vipere unicamente preoccupati di coprire di bava e di veleno gli uomini che avevano combattuto fin dal suo sorgere il regime totalitario.
Ai nostri compagni lettori gioverà tuttavia una premessa atta a porre nella giusta luce, in questo trambusto di idee, le diverse interpretazioni in proposito e gli abusi in virtù dei quali molti oggi riescono a classificarsi «esuli», in Italia, a Trieste e altrove, per trarne adeguati vantaggi. Quattro sono le categorie di esuli che hanno lasciato le terre annesse ed amministrate dagli jugoslavi.
La prima, fuggita in aprile, maggio, giugno 1945, comprendente criminali fascisti, fascistoidi, spie , collaboratori nazisti (tutti di parte italiana) e, fra quelli di parte serba, croata o slovena, ustascia, belogardisti, seguaci di Ante Pavelic, spie al servizio dei fascisti e dei nazisti, i cetnici di Mihailovich, piccole frazioni delle sette non ancora morte, Mano Nera, Mano Bianca, Orjuna, Sokol, Idranska, Straza, Srnao, Narodna Odbrana ecc., aderenti come in passato alla monarchia Karageorgevich (il rimanente ha ingrandito il minestrone titino salvando la pelle e facendo causa comune con lui)(4).
La seconda, fuggita dalla fine del 1945 e tutto il 1946, comprendente capitalisti, strozzini, speculatori, arricchiti di guerra sia di parte italiana che croata o slovena, impediti di continuare i loro lerci affari.
La terza, quella degli affamati operai, pescatori della costa istriana e dalmata, contadini a giornata per la maggior parte di lingua italiana, rovinati dal prelievo degli utensili di lavoro nelle fabbriche e nei cantieri, delle reti da pesca e del macchinario agricolo; fattore determinante, la mancanza di lavoro.
La quarta, i nostri compagni che, ingenuamente sfruttati per ragioni di lotta che non erano le loro, si sono visti colpiti fra i primi.
Ora se, per le prime due, i vari C.L.N. versano lacrime di coccodrillo, per le altre non lesinano l’umiliazione, gli insulti e l’affamamento.
Insediatisi su comode poltrone imbottite, dietro ad ampi tavoli preparati dalla combutta clericaloide-massonico-capitalistica sperante di sopravvivere per merito loro, questi signori, pupazzetti di pane eternamente condizionato ed autoclassificatisi «insostituibili polmoni di una vasta attività politico assistenziale a favore degli “esuli”», iniziarono ben presto la loro subdola attività all’ombra di sicuri ripari. Fra i tanti che sorsero, quello di Trieste, possiamo ben dire senza tema di smentita, che sia risultato il campione. Liberatosi degli elementi più onesti e in buona fede, che avrebbero potuto in seguito divenire un intralcio a tanto «umanitaria opera» (sic!) gli attuali dirigenti scelsero tra gli affamati esuli quelli che, meno scrupolosi ma più addomesticabili, avrebbero meglio servito gli scopi che i loro padroni perseguivano, La prima preoccupazione era quindi di allontanare, attraverso l’intimidazione, la diffamazione e la calunnia i nostri compagni, che troppo bene li conoscevano ed avrebbero potuto smascherarne il tristo passato rovesciandoli dai ben remunerati cadreghini. Molti sono i compagni che, costretti a lasciare la casa sotto le minacce, hanno dovuto cercare asilo in Italia e particolarmente a Trieste, non senza aver prima conosciuto il carcere dell’occupatore jugoslavo che, come quello fascista, accarezza col velario della morte i più recalcitranti. Ed è proprio contro questi compagni, i più cari perché i più colpiti, che si è scagliata e si scaglia tuttora la canea parassitaria degli autentici «dell’ora sesta», col preciso scopo di avvilirli ed affamarli addebitando loro colpe e responsabilità che vanno unicamente addossate agli stessi accusatori, causa di tutte le cause. Per questa categoria di esuli non esiste aiuto a Trieste."
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"Considerati dai titini nemici acerrimi (e ciò fino dal maggio giugno 1945) perché non «timidi botoli della verga staliniana» respinti e senza possibilità di chiarire le loro posizioni, a Trieste, li si accusa oggi d’essere filo-slavi e titini e gli si impedisce di parlare quando ancora non li si accusa sottovoce d’infoibamenti. Ma i signori del fantoccio dalle inconcludenti mozioni all’O.N.U., che si fa chiamare C.L.N. dell’Istria, con sede a Trieste, sanno troppo bene che i vari colleghi del C.L.N. della Venezia Giulia – coi quali dividono gli abbondanti emolumenti del governo italiano (sudore proletario) – non hanno alcuna responsabilità degli infoibati triestini dei sempre deprecatissimi 40 giorni, ciò che confermerebbe la loro esistenza da talpe, per cui si guardano bene dal parlarne anche lontanamente. Noi, però, con la bontà che ci distingue, vogliamo sperare che gl’infoibatori siano statati i neozelandesi. Forse il futuro ce lo dirà, perché diversamente, alle mal riposte fiducie nei vari C.L.N. pullulanti in Italia, dovremmo, nostro malgrado, aggiungere quelli di Trieste e riconoscere che se qualche fabbricante di scope locale non è riuscito coi suoi superprodotti a pulire quanto di sporco c’era dentro, nonostante la nobile presenza di qualche reverendo callo della Lega o della Banca d’Italia, per risolvere la «vexata quaestio» (la quale a chi ha bisogno di mangiare non interessa affatto) non c’è che il piccone demolitore.
L’era del doppio giuoco e dei pesi a due misure deve finire. Per ora punto; e fra breve da capo."
(Aro), «Battaglia Comunista», n. 32, 22-29 settembre 1948.
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(1) "A Pola c’è l’Arena, a Pisino c’è la foiba: in quell’abisso vien gettato chi ha certi pruriti." Lo squadrista istriano Giorgio Alberto Chiurco, nella sua Storia della rivoluzione fascista (Vallecchi Editore, Firenze, 1929) si gloria di un’orrenda serie di violenze, tra cui l’infoibamento di slavi e antifascisti italiani. Cfr. Giacomo Scotti, Foibe e foibe, «Il Ponte della Lombardia», n. 2. febbraio/marzo 1997, numero speciale.
(2) Cfr. Costantino Di Sante (a cura di), Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951), Ombre Corte, Verona, 2005; Raoul Pupo, Guerra e dopoguerra al confine orientale d’Italia (1938-1956), Del Bianco, Udine, 1999.
(3) Foibe. Il macabro trionfo dell’ideologia nazionalista, Edizioni Prometeo, Milano, 2006.
(4) In questo coacervo di organizzazioni reazionarie, ebbero importanza, in Croazia gli Ustacia di Ante Pavelic e in Serbia i Cetnici del generale Draza Mih
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venerdì, 10 febbraio 2006
Foibe: tra fascismo e revanscismo (sloveno e croato)
Ricordo senza memoria
La memoria non è semplice ricordo: non può essere elencazione di fatti, richiede elaborazione. E, soprattutto, non accetta le semplificazioni, di cui si nutre la propaganda. (Gabriele Polo)
Se poi si tratta della memoria di un secolo come il 900 - così aspro e duro - la ricostruzione di una memoria comune non può isolare le singole tragedie - e ce ne sono tante - facendo finta che ognuna sia indipendente dall'altra. Così si celebra, non si fa capire; e alla fine quella celebrazione suona come estranea a chi non è stato parte in causa. Ieri il Presidente della Repubblica ha ricordato solennemente le vittime italiane delle foibe e l'esodo forzato dall'Istria e dalla Dalmazia: alcune migliaia di persone uccise nell'immediato dopoguerra durante l'occupazione jugoslava di Trieste, decine di migliaia di donne e uomini che abbandonarono le proprie case sotto la pressione del revanscismo sloveno e croato. Ciampi nel far ciò ha condannato il nazionalismo e l'odio etnico. Giusto. Peccato che il Presidente non abbia speso una parola contro ciò che stava alla radice di quell'odio: l'espansionismo fascista - con relative stragi - sul confine orientale. E, prima, la furibonda campagna di italianizzazione delle popolazioni slave durante il ventennio.
Chiunque sia nato tra Trieste e Gorizia sa che prima del fascismo quel confine non esisteva, né sulla carta, né soprattutto nelle menti e nella vita quotidiana di chi lì viveva. Italiani, sloveni, croati si mescolavano, facevano gli stessi lavori, abitavano le stesse case, venivano sepolti negli stessi cimiteri. L'uno a fianco dell'altro. Il confine è venuto dopo e anche se non c'era sulla carta geografica, cresceva nel razzismo istituzionale del regime italiano. Poi vennero la guerra e le persecuzioni, i campi di detenzione per i civili jugoslavi, le stragi, i paesi bruciati. Un odio militarmente praticato che si rovesciò nella rappresaglia delle foibe e nell'esodo finale. Tutto questo è stato rimosso dal Presidente della Repubblica. Che insieme alla storia deve aver anche dimenticato di rispondere all'invito fattogli più volte di visitare l'isola di Arbe, sede del principale campo di concentramento italiano per civili jugoslavi. Ma, forse, ci vorrebbe memoria, non un semplice ricordo.
(Manifesto, 9.2.06)
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Italiani in Jugoslavia, cosa leggere per saperne di più
Il primo libro da consultare è «Dossier Foibe» di Giacomo Scotti, Piero Manni Editore (pp. 2005, 16 euro): è probabilmente il testo più esauriente sui venti anni di squadrismo in quelle terre che prepararono il doloroso periodo delle foibe. Ricchissimo di riferimenti alla memorialistica e agli epistolari.
Specificamente sulla questione dell'esodo degli italiani dall'Istria, Raoul Pupo «Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe», l'esilio, edito da Rizzoli nella collana Rizzoli storica (pp 333, 18 euro).
Un altro testo, anche questo fondamentale, «Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati (1941-1951)», a cura di Costantino Di Sante per le edizioni Ombre Corte (pp 270, 18 euro), dove si illustra con una dovizia incredibile di documenti il fatto che per le stragi commesse dai fascisti i governi italiani del primo dopoguerra respinsero ogni atto processuale che arrivava dalla Jugoslavia e che metteva sotto accusa i misfatti dello Stato maggiore italiano.
Per finire, ma certo non per ordine d'importanza, Angelo Del Boca con la sua ultimissima fatica: «Italiani, brava gente», Neri Pozza editore (pp 318, 16 euro) dove appare evidente che il buco di memoria non riguarda certo soltanto il fronte Balcanico, ma esperienze storiche quasi cancellate, come la ferocia dell'Italia coloniale in Libia e in Abissinia.
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La disinformazione strategica su "foibe" ed "esodo" e il neoirredentismo italiano
” Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani.”
(Benito Mussolini a Trieste, 1920)
... c'erano state, non dimentichiamolo, decine di migliaia di vittime dell'occupazione italiana dal 1941 al 1943,
e in quello stesso triste 1943, dal 4 ottobre in poi, ci furono le vendette dei fascisti.
Che massacrarono 5000 civili e ne fecero deportare altri 17 mila, con le rappresaglie del reggimento «Istria» comandato da Italo Sauro e da Luigi Papo da Montona, della guardia nazionale repubblicana (poi milizia territoriale), della Decima Mas di Borghese operante con compagnie agli ordini di nazisti a Fiume, Pola, Laurana Brioni, Cherso, Portorose, della compagnia «mazza di ferro», comandata da Graziano Udovisi,
della Brigata nera femminile «Norma Cossetto» presso Trieste, della VI brigata nera Asara e altri reparti. Si macchiarono di tali crimini che la loro ferocia fu denunciata persino dal Gauleiter Rainer, il quale chiese ufficialmente, con un telegramma al generale Wolff, il ritiro della Decima Mas dalla Venezia Giulia a fine gennaio 1945.
Nel documento si parla di «una moltitudine di crimini, dal saccheggio allo stupro», dalle stragi di massa agli incendi di interi villaggi...
(
Giacomo Scotti su Il Manifesto dell'11 febbraio 2009)