Gli
squadroni di D’Aubuisson(Prima
parte)
L’origine degli “squadroni della
morte” in El Salvador non è più un mistero. A partire dagli anni ottanta,
usando gli apparati di sicurezza statali, un piccolo gruppo di ufficiali dei
servizi segreti (al soldo delle classi dominanti) cominciò a porre in atto un
piano di eliminazione fisica dei “nemici del Paese”.
Negli ultimi tempi, gli sforzi
compiuti per riscrivere la storia recente del Salvador - marchiata a sangue e
fuoco - sono serviti solamente ad oscurare o a negare il sacrificio di una
parte del suo popolo. Tuttavia, svariate inchieste realizzate da ricercatori e
giornalisti stranieri (in larga misura nordamericani) hanno contribuito a far
luce sulle vicende legate alle attività di queste famigerate bande assassine,
facendo emergere dal dimenticatoio della memoria alcune inconfutabili verità.
In
nome della sicurezza anticomunista.
Innanzitutto, la più grande di queste verità è che
gli squadroni della morte, pagati dall’oligarchia latifondista ed imprenditoriale
e diretti dal Maggiore Roberto D’Aubuisson, sono davvero esistiti. E sono
esistiti perché un gruppo di reazionari al potere aveva compreso che “se si
fosse aperto un piccolo spazio per le riforme sociali, la società civile ai suoi vertici doveva essere ad ogni costo
annientata. Costoro posero sullo stesso piano la difesa dei loro privilegi con
la sopravvivenza dello Stato salvadoregno e si auto-proclamarono, di
conseguenza, unici veri patrioti della nazione.” *
In nome della sicurezza interna, la classe padronale
sentì l’obbligo di auto-proteggersi, il che significava difendere lo status quo. Impresari e latifondisti
avevano compreso con chiarezza, ad esempio, che un passo verso un’autentica
riforma agraria avrebbe aperto una breccia insidiosa per la realizzazione di
altre riforme sociali. Qualsiasi concessione alla classe media, ai contadini o
agli universitari sarebbe stata interpretata come una debolezza; e con la
debolezza sarebbe arrivata la sconfitta. Pertanto, l’unico modo di combattere
concretamente il cambiamento era - a loro giudizio - scovare il nemico ed
eliminarlo, prima che potesse organizzarsi e prendere parte alla “cospirazione
internazionale diretta dai comunisti”. *
Fin dagli anni settanta, nel piccolo stato salvadoregno
la minaccia rossa era percepita come
reale e pericolosa. Nel 1979, nel vicino Nicaragua la rivoluzione sandinista
aveva scalzato dal potere la dinastia dei Somoza, mandando in disgrazia tutta
una classe dirigente arricchitasi indebitamente in quarant’anni di dittatura militare;
e col dilagare del morbo socialista-rivoluzionario anche in Salvador,
l’alleanza tra l’oligarchia e gli ufficiali come D’Aubuisson e Regalado
(entrambi provenienti dalle classi medie o medio-basse) si era di fatto resa
necessaria per lo sviluppo delle strategie di “controinsorgenza”.
Requisito fondamentale in questo tipo di guerra “sporca”
era l’organizzazione di un efficiente servizio di intelligence che fosse in grado di individuare ed annientare il
presunto nemico, celato sotto le spoglie di un semplice contadino, di un
maestro di scuola, di un religioso o di un giornalista. Con questo sistema, si
calcola che in poco meno di vent’anni nel solo El Salvador siano state
eliminate (o scomparse) decine di migliaia di persone.
Il ruolo degli
Stati Uniti.
A questo punto della storia, in uno scenario già
sufficientemente macabro, si inserisce la politica estera degli Stati Uniti,
nell’epoca in cui la squadra di governo di Ronald Reagan già considerava i
gruppi armati irregolari di estrema destra uno strumento necessario nella
guerra contro il comunismo. Invece di affrontare i problemi cronici
dell’America Latina in un’ottica di giustizia sociale e di salvaguardia dei
diritti umani, i reganiani cominciarono piuttosto a vedere il Centroamerica
come un campo di battaglia della Guerra Fredda.
Da questo punto di vista, gli
interessi che gli Usa coltivavano in quella regione erano meglio serviti
combattendo il comunismo che favorendo l’introduzione di riforme sociali. La
squadra di Reagan dovette però fare i conti con l’opposizione politica del
Congresso di Washington, la quale metteva i repubblicani nell’impossibilità di
fornire assistenza militare agli alleati senza l’elargizione (almeno
all’apparenza) di aiuti umanitari. Questa era la condizione imposta dai
democratici per un eventuale intervento statunitense in El Salvador.
Ciononostante, per tutti gli anni
ottanta e novanta gli Usa continuarono a fornire agli apparati militari e
paramilitari salvadoregni armi, munizioni ed attrezzature belliche - nel periodo
1980-1992 sono stati spesi ben 6 mld di dollari in aiuti militari -, ma
soprattutto istruttori esperti nelle operazioni di controinsorgenza. Del resto, è ormai risaputo che i quadri
dell’esercito regolare e degli “squadroni della morte” erano costituiti da
ufficiali formati nella famigerata “School of Americas” (S.O.A.), l’accademia
militare con sede a Panama - successivamente trasferitasi a Fort Benning, in
Georgia - gestita e finanziata dal governo degli Stati Uniti.
Tra gli ufficiali laureati alla S.O.A.
figurano, ad esempio, lo stesso D’Auibuisson e il generale Juan Rafael
Bustillo, suo braccio destro e mandante dell’assassinio dei sei padri gesuiti
all’Università Centroamericana di San Salvador nel 1989.
Le
origini di ARENA.
Nei primi anni ottanta D’Aubuisson, uomo del popolo,
assunse la direzione pubblica delle campagne politico-elettorali finanziate
dall’alleanza tra l’oligarchia e i settori più conservatori della società
salvadoregna, benché egli non sia mai stato il vero “cervello” di ARENA (Alleanza
Repubblicana Nazionalista). Questo partito politico si costituì ufficialmente
solo quando la classe dominante non poté più tollerare la pressione
internazionale che chiedeva di “democratizzare” il Paese.
Roberto D’Aubuisson era un tipo diretto - a modo suo
diceva quello che molti altri solo pensavano - e non aveva alcun timore di
manifestare pubblicamente l’ideologia della difesa nazionale così come era
stata concepita dai suoi artefici: una lotta senza quartiere e senza indulgenze
contro i “sovversivi”. Non era lui tuttavia l’ideologo dell’organizzazione; era
considerato semplicemente il portavoce di Arena ed un mero esecutore dei suoi
piani.
Per gli omicidi più importanti (come l’assassinio di
Monsignor Romero, l’Arcivescovo di San Salvador ucciso nel 1980) era la
“cupola” dell’organizzazione a prendere le decisioni fatali. Al contrario, per
le esecuzioni “meno eccellenti” D’Aubuisson e i suoi stretti collaboratori
potevano decidere e pianificare senza alcuna autorizzazione dai vertici.
Lo stato di impunità di cui godevano coloro che
parteciparono a questa guerra sporca “faceva
sì che qualsiasi membro dell’organizzazione potesse bollare come comunista - ad
esempio - un ex amante, un nemico personale o un rivale in affari, garantendone
l’immediata liquidazione senza addurre particolari motivazioni”.* In effetti, le liste di eliminazione in mano
a D’Aubuisson contenevano molto spesso nomi di individui che nulla avevano a
che fare con le “attività sovversive” o “insurrezionali”. (1-CONTINUA)
Andrea “Chile”
Necciai
Note:
* “Dietro agli squadroni
della morte” di Douglas Farah, giornalista e scrittore statunitense,
collaboratore di "Raíces desde El Salvador".
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