Gli
squadroni di D’Aubuisson (Seconda
parte)
L’escalation
della violenza.
Quando ARENA - diretto da D’Aubuisson e dal suo Capo
della Sicurezza, Hector Antonio Regalado - vincendo le elezioni prese possesso
dell’Assemblea Legislativa (1982), la “cupola” capì che quella era un’occasione
unica per collocare i gruppi paramilitari in uno spazio in cui non potevano
avere accesso le forze dell’ordine nazionali (polizia e vigilantes), né
tantomeno gli altri partiti politici.
Al secondo piano dell’Assemblea Legislativa fu
insediato una specie di centro operativo in cui erano custodite armi, munizioni
ed equipaggiamenti militari. Da qui agenti fidati, usando la copertura del
personale di sicurezza dell’Assemblea, uscivano per compiere le loro missioni
omicide e terroristiche. E non sempre si trattava di missioni di natura
“politica”. Da un certo momento in poi fu messo in atto un nuovo tipo di
“pulizia sociale”, diretta anche all’eliminazione di delinquenti comuni e di
nemici personali dei capi dell’organizzazione.
Le prove raccolte a suffragio di queste tesi sono
schiaccianti: testimoni oculari che parteciparono direttamente alle
“operazioni”, documenti di vari gruppi politici, informative dei servizi di intelligence statunitensi e il dossier
della “Commissione della Verità” (presentato nel dopoguerra) dimostrano che il
Parlamento salvadoregno fu la vera sede degli squadroni della morte, almeno
finché ARENA non perse le elezioni del 1984.
Lo stesso D’Aubuisson, in più di un’intervista alla
stampa straniera, ammise che il suo personale operò dall’Assemblea Legislativa
per effettuare operazioni di guerra
sporca. Ed aggiunse anche che quelle azioni “si rendevano necessarie, dal
momento che l’estrema sinistra progettava di distruggere ARENA e stava
minacciando seriamente la sicurezza dello Stato”.
“Ti insegneremo come torturare…”
René Hurtado è lo pseudonimo di un ex agente della
“Policia de Hacienda”, oggi vive a Minneapolis. In un’intervista rilasciata ad
un quotidiano statunitense, raccontò che la “Polizia de Hacienda” con una certa
frequenza sequestrava, interrogava, torturava ed assassinava “elementi politici
sospetti”. Confessò di aver partecipato a varie sedute di tortura e compilò
anche una relazione dettagliata sulle tecniche più utilizzate. Secondo Hurtado,
elementi dei servizi segreti statunitensi impartivano lezioni di intelligence agli ufficiali della
“Polizia de Hacienda”; i percorsi formativi includevano anche un addestramento
sui “metodi di tortura fisica e psicologica” dei prigionieri. Riportiamo, qui
di seguito, un frammento della relazione di Hurtado.
“Per prima
cosa, si comincia a torturare il prigioniero psicologicamente. Se è un marxista
o un rivoluzionario non sarà facile farlo parlare, perciò è necessario
“smontarlo psicologicamente”. Se si tratta di qualche personaggio importante –
diciamo, per esempio, di un giornalista, di un professore, di un dirigente di
un movimento studentesco, di un sindacalista o di un dirigente politico che è
in possesso di informazioni per noi interessanti – almeno all’inizio non deve
essere trattato crudelmente. Gli parlerai come ad un amico, tentando di
convincerlo gli dirai che, in qualche modo, sei in grado di comprendere il suo
idealismo.
Gli potresti
chiedere: “Chi sono i tuoi compagni, perché ci uccidono? Quante persone hai
ucciso?”. E subito dopo: “Non essere ingenuo. Questi cornuti vogliono fregarti,
ti stanno usando. Noi potremmo ammazzarti qui all’istante, ma non siamo degli
assassini, non siamo tuoi nemici. Se collaborerai con noi, ti faremo uscire dal
paese.” “Dove ti piacerebbe andare? In Europa, in Spagna, in Inghilterra? Ti
possiamo mandare in uno qualsiasi di questi paesi. Ti daremo del denaro. Ma
devi parlare, perché se non lo fai sarà peggio per te”.
Quando
conduci il primo interrogatorio, sforzati di apparire una persona sensibile e
decente - non certo un assassino. Confessa al detenuto di non essere un cornuto
come gli altri agenti che fanno gli interrogatori. Puoi offrirgli una gazzosa
oppure qualcosa da mangiare. Gli domandi dove vivono i suoi genitori, chiedi di
sua moglie e dei suoi figli. L’effetto su di lui sarà davvero devastante quando
gli dirai che i suoi figli sono stati catturati, ma purtroppo non sai dove si
trovano. E dopo questo approccio iniziale, a distanza di qualche giorno o
settimana, devi cominciare a rivolgerti a lui con parole e modi più bruschi…
fino a passare gradualmente alla tortura “fisica”.
Per prima
cosa, rinchiudi il prigioniero in una stanza molto piccola e priva di luce,
impedendogli di dormire. Lo metti a sedere, nudo, sul bordo di un letto e lo
lasci così per una settimana - senza dormire e con la stanza piena di
escrementi ed orina dei detenuti precedenti -, affinché i suoi nervi crollino
quando comincerai a torturarlo.
Esistono
diversi metodi di tortura fisica: staccare al prigioniero brandelli di pelle,
bruciarlo con mozziconi di sigaretta, oppure colpirlo ripetutamente sulle mani
e nel ventre… Ma ci sono anche tecniche più “sofisticate” come, per esempio,
colpire il detenuto nello stomaco in modo tale da procurargli più dolore
possibile, ma senza lasciare traccia di lesioni esterne visibili.
Se dopo uno o
più di questi “trattamenti” il prigioniero ancora non parla, puoi utilizzare un
secchio pieno di escrementi. Immergi la sua testa nel secchio per trenta
secondi o più, ripetendo l’operazione più volte…
Infine, lo
ripulisci ben bene e lo conduci nella stanza dell’elettrochoc. Nella sede della
“Policia de Hacienda” c’è una camera di tortura “speciale”, nella quale ha
accesso solo il personale della “Seccion de Inteligencia”; nessun’altra persona
in uniforme ha il permesso di entrarci. La stanza è stata isolata
acusticamente, in modo tale che dall’esterno non sia possibile sentire alcun
rumore.
A questo
punto, si tratta di imparare ad applicare le scosse elettriche nello stomaco,
nel cervello, o in altre parti del corpo. Per far questo usiamo un aggeggio che
somiglia vagamente ad un vecchio telefono, e che si alimenta continuando a
girare una manovella con una mano. Ma ne esiste anche un altro più sofisticato,
lungo circa 15 centimetri,
che ha l’aspetto di una radio con degli elettrodi collegati. E’ di marca
“General Electric”.
Alcune
macchine possono generare 20 volt, altre 40. A seconda dell’intensità e della potenza
della scossa, si possono produrre sul corpo di una persona effetti più o meno
seri…
Devi
posizionare gli elettrodi nelle parti vitali del prigioniero, vale a dire tra i
denti, nel pene o nella vagina. L’effetto è maggiore se i prigionieri tengono i
piedi nell’acqua e sono seduti su oggetti metallici. Inoltre, se prima di
dargli la scossa spruzzi sui loro corpi dell’acqua minerale, il risultato che
si ottiene può essere addirittura “mortale”.
In genere dopo
tutti questi trattamenti, il prigioniero viene in ogni caso eliminato, poiché
si suppone che non sia più possibile lasciarlo in vita. Se lo affidassimo ad un
giudice, lo lascerebbero libero in poco tempo e ciò implica doverlo catturare
un’altra volta. Per giunta, in presenza di un clima di forte pressione da parte
di Amnesty International o di qualsiasi altra organizzazione umanitaria
straniera, saremmo comunque costretti a liquidarlo.
Bene, a questo
punto non rimane che abbandonare il cadavere - con addosso un manifesto di
“Mano Blanca”, della “ESA” o della “Brigata Maximiliano Hernandez Martinez” [le
sigle più usate dagli squadroni della morte n.d.r.] - in qualche vicolo o
strada.” **
Conclusioni.
Le attività dei paramilitari non furono una
casualità, e neppure si può affermare che essi agissero fuori dal controllo
dell’estrema destra. Usufruirono anzi dell’appoggio di importanti settori dello
Stato e dell’Esercito, poiché erano parte integrante di una guerra durata molti
anni e costata decine di migliaia di vittime, soprattutto tra i civili.
In secondo luogo, gli Stati Uniti accettarono
tacitamente l’esistenza di questi gruppi eversivi, dal momento che il loro
interesse prioritario era combattere il “comunismo internazionale”. Fu solo
dopo molti anni, quando a questi gruppi “sfuggì di mano la situazione”, che
Reagan si vide obbligato a prenderne le distanze e a far pressioni sugli
alleati affinché “moderassero il loro comportamento”. A quel punto, però, gli
squadroni della morte avevano già compiuto la loro missione di seminare il
terrore tra la popolazione, passando dalla violenza indiscriminata alle
esecuzioni selezionate con sistemi più disciplinati, ma pur sempre efficaci.
Negare oggi l’esistenza di questi gruppi e dei loro
dirigenti, scagionando gli Usa dalle loro pesanti responsabilità, è il modo più
meschino per tentare di riscrivere - o peggio di manipolare - la vera storia
del conflitto armato salvadoregno.
Andrea “Chile” Necciai
Dedicato a tutti coloro che
furono assassinati dagli “squadroni della morte”, a tutti i figli che rimasero
senza genitori, a tutti i genitori che persero i loro figli, a tutti i coniugi
che persero la persona da loro amata, a tutti i familiari di quelli che
“uscirono un giorno di casa e non tornarono mai più”. E a tutti quelli che
ancora oggi si impegnano, a loro rischio, perché la memoria non ceda all’oblio
e all’indifferenza, e affinché sia finalmente resa piena giustizia alle vittime
della repressione “squadrista”.
Note:
* “Dietro agli squadroni
della morte” di Douglas Farah, giornalista e scrittore statunitense,
collaboratore di "Raíces desde El Salvador".
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