Sono trascorsi sette anni, ma la sofferenza resta invariabilmente intensa. E la rabbia anche.
Ieri, in occasione del settimo anniversario del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, su una strada tra Il Cairo e Alessandria, i suoi genitori Claudio e Paola hanno scritto un post su Facebook, insieme alla loro avvocata Alessandra Ballerini, per esprimere tutta la loro frustrazione e amarezza.
«Chissà cos'hanno tutti da nascondere - si domandano retoricamente - per ostacolare la verità con tanta oltraggiosa determinazione. Abbiamo i nomi, abbiamo i volti di quattro tra i molti artifici di "tutto il male del mondo". Ci manca la loro elezione di domicilio per celebrare finalmente un processo in Italia».
Dalle indagini svolte dai carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco, coordinati dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, è emerso che il ricercatore friulano è stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi. Sotto accusa ci sono gli ufficiali della National Security egiziana Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Rispondono tutti di sequestro di persona, e Abdelal Sharif anche di lesioni e concorso nell'omicidio.
Ma purtroppo il processo ai quattro è sospeso: il nodo restano le mancate notifiche agli imputati, dei quali le autorità egiziane non hanno mai fornito gli indirizzi di domicilio, bloccando, di fatto, il procedimento.
Ma com'è possibile che i politici italiani non riescano a fare pressione sul governo di Al Sisi? È questo l'interrogativo che tormenta Claudio e Paola Regeni.
Scrivono infatti: «Chi, ad ogni gita al Cairo, dopo i selfie e i salamelecchi di rito, si riempie la bocca di "collaborazione" dovrebbe spiegare agli italiani perché tornano a casa sempre a mani vuote, incapaci di farsi dare anche solo 4 indirizzi. Sarebbe più dignitoso tacere. A furia di stringere le mani (e vendere armi) ai dittatori si rischia di trovarsi insanguinate anche le proprie. E di offendere la nostra dignità».
Anche il collettivo "Giulio siamo noi" ribadisce la richiesta di verità. «La verità - si legge sul profilo Facebook - è un diritto inviolabile. Dopo sette anni la pretendiamo per Giulio, per tutti noi. Basta parole vuote, strette di mano e passerelle offensive»
Grazia Longo, LaStampa
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