lunedì 8 dicembre 2014

Salvador, giustizia non è fatta

Il 4 dicembre 1980 quattro suore statunitensi che si occupavano dei poveri in Salvador furono brutalmente uccise dagli squadroni della morte. Il caso indignò l’opinione pubblica americana e contribuì a far luce sul coinvolgimento degli Stati Uniti nel paese centroamericano e sui metodi dei militari salvadoregni. Trentaquattro anni dopo la strage continua a far discutere e si dimostra una vera storia americana. A seguire, il link alla video-inchiesta del New York Times rilanciata in Italia da Internazionale.




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There's a sunny little country south of Mexico
Where the winds are gentle and the waters flow.
But breezes aren't the only thing that blow
In El Salvador.

If you took the little lady on a moonlight drive
Odds are still good you'd come back alive.
But everyone is innocent until they arrive
In El Salvador.

If the rebels take a bus on the Grand Highway,
The government destroys a village miles away.
The man on the radio says now we'll play
"South of the Border"....
And in the morning the natives say,
"We're happy you have lived another day."
Last night a thousand more passed away
In El Salvador.

La, la, la, la....

There's a television crew here from ABC
Filming Rio Lempo and the refugees.
Calling murdered children the tragedy
Of El Salvador.

Before the government camera twenty feet away
Another man is asking for continued aid:
Food, and mediciine, and hand grenades
For El Salvador.

There's a thump, a rumble, and the buildings sway
A soldier fires the acid spray
The public address system starts to play
"South of the Border"....
You run for cover, and hide your eyes
You hear the screams from paradise
They've fallen further than you realize
In El Salvador.

Just like Poland is protected by her Russian friends,
The Junta is assisted by Americans.
And if sixty million dollars seems too much to spend
In El Salvador.

They say for, half-a-billion they can do it right.
Bomb all day, and burn all night.
Until there's not a living thing upright
In EI Salvador.

They'll continue training troops in the U.S.A
And watch the nuns that got away
And teach their military bands to play
"South of the Border"...
And kill the people to set them free
Who put this price on their liberty
Don't you think it's time to leave
El Salvador?

Lyrics by Noel Paul Stookey and Jim Wallis
Music by Noel Paul Stookey 

I trattati T-TIP e TISA



“VIDI UNA BESTIA SALIRE DAL MARE…”

E’ con queste parole che il profeta dell’Apocalisse descrive l’Impero Romano alla fine del primo secolo. Le stesse parole le userei per le nuove bestie che appaiono all’orizzonte: il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti, nell’acronimo inglese T-TIP e l’Accordo per il Commercio dei servizi, nell’acronimo inglese TISA. Due trattati pericolosissimi, purtroppo poco conosciuti dal grande pubblico, perché porteranno alla privatizzazione dei servizi.

 Il T-TIP creerà la più grande area mondiale di libero scambio fra le economie degli USA e della UE, che rappresentano metà del PIL mondiale e il 45% dei flussi commerciali. Le trattative per creare il T-TIP sono partite in tutta segretezza nel luglio 2013 a Washington e sono condotte da pochi esperti della Commissione Europea e del Ministero del Commercio USA. Obama vuole firmare il Trattato entro il 2015.
“Il Trattato più importante del mondo” , proclama il Sole 24 ore. Lo è infatti per i poteri economico-finanziari mondiali. Secondo De Gucht, commissario per il commercio UE, il Trattato offrirà all’Europa due milioni di posti di lavoro in più, 119 miliardi di euro di PIL che equivale a 545 euro in più all’anno per ogni famiglia. Per di più, ci sarà un incremento del 28% delle vendite di prodotti europei negli USA e dell’1% del PIL, nel giro di dieci anni. La realtà,invece , è tutt’altra! Il T-TIP è un negoziato stipulato senza la partecipazione dei cittadini. E’ un vero e proprio golpe da parte dei poteri economico-finanziari che governano il pianeta. E’ la vittoria delle lobby(multinazionali e banche), che hanno a Bruxelles quindicimila agenti e tredicimila a Washington, stipendiati a fare pressione sulle istituzioni.
Infatti il Trattato indebolisce il principio di precauzione vigente in Europa in relazione ai nuovi prodotti, elimina le sanzioni in caso di abusi relativi ai diritti sociali e ambientali, mira a una progressiva privatizzazione  di tutti i servizi pubblici , a sottomettere gli Stati a una nuova legislazione a misura di multinazionali ed infine trasferisce la risoluzione delle controversie tra imprese private e poteri pubblici a strutture di arbitrato privato tramite il cosidetto ISDS(Individual State Dispute Settlement) .”Questa è una rivoluzione nelle procedure usate per risolvere i contenziosi tra privati e Stati”, dichiara Marcello de Cecco su La Repubblica , un quotidiano che spesso sulle sue pagine inneggia al Trattato. E continua:” E’ un’innovazione giuridica che serve a limitare drasticamente la sovranità degli stati , favorendo le grandi multinazionali.”
Il Trattato inoltre avrà pesanti ricadute sul mondo del lavoro aggirando le norme del diritto dei lavoratori proclamato dall’ILO, svuotando le normative per la protezione dei lavoratori, ma anche ridimensionando il diritto di contrattazione collettivo.
Quest’area di libero scambio USA -UE, creata dal T-TIP, sarà protetta dalla NATO , che peraltro già investe 1.000 miliardi di dollari all’anno in armi!

L’altra Bestia, ancora più minacciosa della prima, è il TISA (Trade in Services Agreement)- Accordo per il Commercio dei servizi. Il settore dei servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70% del prodotto interno lordo: solo negli USA rappresenta il 75% dell’economia e genera l’80% dei posti di lavoro nel settore privato . Su questo ghiotto bottino, i rappresentanti di una cinquantina di Stati (UE, USA, Canada,Australia, Giappone…) si stanno ritrovando in totale segretezza nell’ambasciata australiana a Ginevra, dal 15 febbraio 2012 per un accordo sul “commercio dei servizi”(sic!). Si è venuti a conoscenza di questo grazie  a Wikileaks. I testi dell’accordo rimangono segreti. Scopo fondamentale di questo accordo è accelerare la privatizzazione di tutti i servizi pubblici e impedire qualsiasi forma di riappropriazione pubblica di un’attività privatizzata(sic!). Il TISA impedirebbe i monopoli pubblici (educazione nazionale) e i fornitori esclusivi di servizi anche a livello regionale e locale (per esempio le minicipalizzate per i servizi idrici).
Tutto questo avviene nel più totale silenzio, anzi con l’impegno degli stati a non rivelare nulla di questa trattativa fino a cinque anni dopo la sua approvazione. Anche con il TISA, i governi vorrebbero concludere le trattative entro il 2015.
Come cittadini non possiamo accettare l’arrivo di queste Bestie che consegneranno l’Europa e il mondo alle logiche del mercato. “E’ l’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria”, che Papa Francesco bolla con tanta forza. Solo una vasta protesta di massa in tutta Europa potrà sgominare il T-TIP e il TISA. Nel 1998 noi europei siamo riusciti a sconfiggere il MAI (Accordo multilaterale sugli Investimenti), che è quasi la copia del T-TIP. Abbiamo vinto dicendo MAI al MAI! Possiamo fare altrettanto con il T-TIP e il TISA.
Già è in atto una mobilitazione in Italia fatta da un network di un centinaio fra associazioni di consumatori, sindacati e reti agricole con un sito molto informato. (www.stop-ttip-italia.net)
I capi di Stato europei sono già preoccupati per la crescente ostilità contro questi Accordi. Ne hanno parlato  al vertice del G20 a Brisbane(Australia). E il più convinto sostenitore di questi trattati l’abbiamo in casa. Il governo Renzi.
Carlo Calenda, vice-ministro per lo sviluppo economico nel governo Renzi e responsabile dell’Italia per il T-TIP, insiste perfino di includere nel Trattato il controverso meccanismo di risoluzione tra investitori e Stato, il cosidetto ISDS, fortemente voluto dagli USA.
“Il T-TIP- afferma la Susan George-è un assalto alla democrazia, alla classe lavoratrice, all’ambiente, alla salute e al benessere della cittadinanza. L’unica risposta possibile dinanzi a questo attacco è alzarsi dal tavolo, chiudere la porta e lasciare la sedia vuota.”E’ questo quello che chiediamo al governo Renzi.
Mentre  alla Conferenza Episcopale Italiana(CEI) chiediamo di esprimersi su questi Trattati. La commissione degli episcopati della comunità Europea (COMECE)  ha sottolineato che il T-TIP “solleva una serie di problemi e controversie proprio perché la Chiesa deve far sentire la voce dei più deboli e dei più poveri in Europa e nel mondo, nella misura in cui saranno interessati dall’accordo di libero scambio.” I vescovi europei hanno deciso di preparare un documento per gli eurodeputati. Ma dovranno farlo in fretta se vogliono arrivare in  tempo.Perché i vescovi italiani non potrebbero fare lo stesso? Questo darebbe tanta forza alle comunità cristiane, all’associazionismo di ispirazione cristiana a congiungersi con il grande movimento di opposizione a questi trattati. Uniti possiamo farcela!
Ma dobbiamo muoverci perché i poteri forti vogliono chiudere la partita al più presto possibile.
Diamoci da fare perché vinca la Vita.

                                                                                                     
                                                                                                                                 p. Alex Zanotelli 
Napoli, 3 dicembre 2014

domenica 7 dicembre 2014

[Uruguay] Arriverderci José Mujica, il presidente povero conclude il suo mandato



In cinque anni José Mujica ha trasformato l'Uruguay, ma non il suo stile di vita modesto. Questo mese, però, l'uomo che si fa chiamare da tutti "Pepe" conclude la sua avventura alla guida del suo Paese, che gli vieta di ricandidarsi, perché è vietato farlo per due mandati consecutivi.
Eletto nel 2009, ora ha in programma di rimanere un senatore dopo le elezioni presidenziali del 30 novembre, quando verrà sostituito dal candidato Vazquez. Ma non c'è traccia di amarezza nell'aria che circonda la piccola azienda agricola in cui vive, a 20 minuti da Montevideo.
Mujica, infatti, aveva rifiutato di trasferirsi nella lussuosa residenza presidenziale, oltre ad aver devoluto il 90% del suo compenso, ovvero 12.000 euro al mese, ad associazioni caritatevoli. Ha preferito restare a 'Rincón del Cerro', tra vecchi barattoli di vernice trasformati in vasi da fiore, lo scodinzolio di Manuela, il suo fedele meticcio nero tripode, e i lavori dell'orto.
Ma tutta questa frugalità passa in secondo piano quando si parla della incredibile trasformazione economica e culturale che l'Uruguay ha compiuto sotto la sua guida.
"Abbiamo avuto anni positive per 'uguaglianza. Dieci anni fa, circa il 39% degli uruguayani viveva al di sotto della soglia di povertà; l'abbiamo portato a meno dell'11% e abbiamo ridotto la povertà estrema dal 5% ad appena lo 0,5%", spiega al The Guardian con orgoglio.
Sono aumentati anche gli investimenti, passati da circa il 13% del PIL di dieci anni fa al 25% attuale. E poi ci sono i parchi eolici:
"Entro il 2016 copriremo oltre il 30% del nostro fabbisogno energetico con fonti rinnovabili. Abbiamo approfittato del fatto che l'Europa era in crisi, e che alcuni progetti sarebbero più stati realizzati lì. Abbiamo iniziato a ricevere offerte per i parchi eolici a prezzi davvero convenienti".

Indimenticabile, in occasione della sessione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, lo scorso 24 settembre, il suo forte discorso in cui ribadì la necessità di puntare ad un mondo migliore: “Con il talento e il lavoro di squadra l'uomo può rendere verdi i deserti, coltivare il mare e mettere a punto metodi per usare l'acqua salata per l'agricoltura. Un mondo con una migliore umanità è possibile, ma forse oggi la prima priorità è salvare vite umane”, ha sottolineato Mujica.

Nei passati cinque anni ha anche introdotto i matrimoni tra omosessuali, legalizzato l'aborto (in America Latina è legale solo a Cuba e Città del Messico) e la vendita di marijuana, con lo scopo principale di reprimere il traffico illegale della droga. Ecco cosa ha fatto il "presidente povero", che si è sempre sentito il più ricco del mondo.

Roberta Ragni, greenme.it

martedì 2 dicembre 2014

[INDIA] Bhopal, la lezione ignorata

A distanza di trent’anni dalla tragedia di Bhopal non solo la giustizia resta lontana per quanti sono stati direttamente coinvolti, ma il paese nel suo complesso non ha raggiunto una reale comprensione dei problemi evidenziati da quell’evento, costato finora 20-25.000 vite umane.
Sunita Narain, direttore del Centro per la scienza e per l’ambiente (Centre for Science and Environment, Cse), organizzazione indipendente di studi e progetti ambientali con sede a New Delhi, non ha dubbi: “L’India post-Bhopal ha migliorato la propria legislazione riguardo a disastri provocati dalle industrie chimiche e anche la sicurezza dei lavoratori, tuttavia si tratta di un impegno ampiamente incompleto. Trent’anni dopo, siamo lontani da una soluzione del dramma di Bhopal e non per quanto successo quella notte fatale, ma perché la risposta è stata incompetente e insensibile. Il risultato è che Bhopal vive una doppia tragedia: quella immediata del 1984 e l’altra che si è sviluppata negli anni”.
Affermazioni che gettano un’ombra lunga sulla rincorsa all’industrializzazione del paese, mentre fatica a comprendere la lezione di Bhopal.
“La fuga di gas tossico di trent’anni fa è stato il maggiore disastro industriale dell’India. Fino ad allora, i governi avevano gestito alluvioni, cicloni e terremoti. Di conseguenza si trovarono impreparati. La Legge per la protezione ambientale del 1986 è stato il primo provvedimento specifico, che ha dato alle autorità centrali la possibilità di proibire o regolare ogni iniziativa industriale. Gli emendamenti del 1987 hanno consentito ai vari Stati di costituire comitati per valutare la localizzazione di industrie potenzialmente dannose, oltre a porre in atto sistemi per la salvaguardia dei lavoratori e dei residenti. Nel 1989 il paese si è dotato dei Regolamenti per la gestione e il trattamento di rifiuti nocivi e dal 1991 della Legge per l’assicurazione sulla responsabilità civile consente assistenza immediata a persone che siano interessate da incidenti a contatto con sostanze nocive, prevedendo un apposito fondo di emergenza a livello nazionale”.
“Tuttavia – prosegue l’ambientalista – nonostante le leggi e i regolamenti in vigore, l’India sta rapidamente perdendo la battaglia riguardo la produzione e la gestione di sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente. Gli incidenti industriali continuano a ripetersi con frequenza, spesso non denunciati, e la contaminazione di terreni e falde acquifere è un problema crescente. Nel 2010, il ministero per l’Ambiente e le foreste ha individuato dieci siti con migliaia di tonnellate di scarichi nocivi”.
Oggi, le conseguenze della tragedia di trent’anni fa che ancora coinvolgono la popolazione di Bhopal, nel frattempo raddoppiata arrivando a sfiorare i due milioni di abitanti, riguardano 120.000 superstiti con tracce indelebili della contaminazione e oltre mezzo milione di abitanti complessivamente interessati dalla fuga nell’aria di 40 tonnellate di isocianato di metile nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984. Tuttavia, la città è minacciata da una catastrofe almeno equivalente. Sono almeno 20.000 gli abitanti che vivono a ridosso dell’impianto dismesso ma mai bonificato.
“Si calcolano in 350.000 tonnellate le sostanze scaricate dentro e fuori l’impianto in 15 anni di attività della fabbrica – segnala Sunita Narain -. Nel 2009, Cse ha condotto una ricerca indipendente in loco e ha riscontrato elevati livelli di contaminazione del suolo e dell’acqua sul sito della Union Carbide e nelle aree circostanti. Elementi contaminanti come pesticidi, composti di cloro e di benzene e metalli pesanti, tutti riferibili ai processi produttivi”. Ciononostante, e nonostante un gran numero di procedimenti legali, denunce e impegni, la bonifica non ha veri responsabili e finanziatori possibili.
Un accordo extragiudiziale della Union Carbide con il governo di New Delhi nel 1989 (470 milioni di dollari) ha chiuso ogni contenzioso che riguardava la multinazionale, acquistata dalla statunitense Dow Chemical dopo avere ceduto nel 1994 le sue attività indiane a una consociata che a sua volta ha cambiato nome e struttura ma che non ha mai prodotto nulla nell’impianto che ancora domina la città.
Una doppia beffa per le vittime ancora in vita della catastrofe, per i nati negli anni con gravi malformazioni e per la cittadinanza a rischio di quella che per gli ambientalisti è “Bhopal 2.0”, ovvero una catastrofe annunciata.
“Il sistema che impone la responsabilità aziendale non può restare inadeguato quando nuove e a volte poco affidabili tecnologie continuano a porre nuove sfide. Se questo non è possibile, lo Stato deve provvedere onerose soluzioni di salvaguardia umana e ambientale, a costo di rendere non competitive le iniziative produttive. L’insegnamento di Bhopal deve essere che ogni tecnologia deve pagare i costi reali dei rischi presenti e futuri che pone”.