Secondo Enrique Dussel la parola modernità ha due significati
principali. Il primo è quello di uscita dall’immaturità, attraverso uno
sforzo della ragione intesa come processo critico, il secondo è un
contenuto mitico creato a giustificazione di una prassi di violenza. Il
mito parte da una autorappresentazione della civiltà moderna come più
sviluppata, superiore; ciò obbliga la civiltà a cercare lo sviluppo dei
primitivi, dei barbari, a seguire lo stesso percorso di sviluppo proprio
dell’Occidente. Dal momento che il primitivo si oppone al processo
civilizzatore, la prassi moderna è costretta ad usare la violenza
interpretata come atto inevitabile, quasi rituale, che si accanisce
sulle vittime (colonizzato, schiavo, donna, ambiente). Per superare la
modernità Dussel propone un progetto transmoderno, ovvero
l’incorporazione del concetto emancipatore della modernità ed il rifiuto
di quello mitico; secondo l’autore non sarebbe adeguato a realizzare
ciò né un progetto antimoderno, ovvero conservatore, tantomeno un
progetto postmoderno, che, negando totalmente la modernità, arriverebbe
ad una posizione nichilista.
Il termine “postmoderno” ha iniziato a diffondersi negli stati Uniti
alla fine degli anni ’60, per definire tendenze affermatesi soprattutto
in architettura che, caratterizzate dal rifiuto dell’ideale di progresso
e dalla negazione del valore del nuovo, si sono proposte di superare la
“modernità”, recuperando alcune soluzioni formali della tradizione e
non disdegnando il kitsh. Questo concetto venne poi esteso a mode o
atteggiamenti tesi a rivalutare nostalgicamente aspetti e valori del
passato recente, prima considerati criticabili.
Dal punto di vista letterario il termine risale a J. F. Lyotard, che nel 1979 intitola un suo saggio La condizione postmoderna,
il romanzo che si iscrive in questa corrente utilizza i codici della
comunicazione, dei media e della tecnologia ed, accogliendo le
suggestioni dei saggisti come McLuhan, tende ad esprimersi in un
linguaggio visivo ed incorpora gli effetti dell’uso di computer e
televisione. Pur difendendo il recupero della narratività, in seguito
agli esperimenti dell’avanguardia, il romanzo postmoderno non è un
ritorno nostalgico alla facilità di lettura; si criticano piuttosto i
concetti di inizio e fine, il determinismo e la temporalità lineare su
cui si fonda il romanzo ottocentesco, come anche l’idea di originalità.
Nelle poetiche postmoderne il testo riflette su se stesso,
trasformandosi in contaminazione, pastiche, citazione. Fortemente
influenzato da Samuel Beckett e da Jorge Luis Borges, il romanzo
postmoderno ha avuto in America una notevole risonanza di pubblico e di
critica, si pensi ad autori come Gabriel García Márquez.
Con la crisi della modernità occidentale, condivisa anche
dall’America Latina, si trasformano le relazioni fra tradizione,
modernismo culturale e modernizzazione economica. Se nell’arte e nella
filosofia le correnti postmoderne sono le più diffuse, Néstor García
Canclini fa notare che nell’economia e nella politica latinoamericana
prevalgono gli obiettivi modernizzatori; ciò accade perché, pur
ostentando una parvenza democratica, gli stati mancano di coesione
sociale e cultura politica moderna. La modernità diviene dunque una
maschera, un simulacro messo in scena dalle élite e dagli apparati
statali.
Le oligarchie liberali del secolo XIX ed inizio del XX cercarono di
creare degli stati moderni, ma riuscirono a coinvolgere soltanto alcuni
strati della società, promuovendo uno sviluppo subordinato e
inconsistente; si veda il caso delle grandi opere di riforma di Santiago
del Cile promosse da Vicuña Mackenna tra il 1872 ed il 1875. Al posto
di culture nazionali sorsero culture di élite, che marginalizzarono le
popolazioni indigene e contadine. In seguito i populismi mostrarono di
voler incorporare i settori emarginati, ma queste politiche vennero
capovolte o cedettero ai clientelismi demagogici.
La riflessione antievoluzionista del postmodernismo vede l’America
Latina come una complessa articolazione di tradizioni e modernità, un
continente eterogeneo in cui coesistono numerose logiche di sviluppo;
inoltre critica le narrazioni onnicomprensive sulla storia: è più una
tendenza a problematizzare gli equivoci del moderno con le tradizioni
che ha voluto escludere o superare. David Lyon cerca di chiarire le
numerose manifestazioni di questa tendenza attraverso una sorta di
sintesi: a suo parere si deve distinguere una sfera intellettuale,
ovvero il postmodernismo, basata sulla crisi del fondazionalismo
scientifico, ed una sociomateriale, cioè la postmodernità, i cui segni
di identificazione sono le nuove tecnologie
dell’informazione-comunicazione connesse con il fenomeno della
globalizzazione ed il superamento dello schema del consumo da parte del
consumismo postindustriale.
Attualmente le opinioni attorno al postmodernismo sono molte ed
eterogenee, eppure questa sembra essere la sua essenza: il diacronico,
il dissonante, l’atemporalità; il pensiero postmoderno risulta una
amalgama di differenze. Esistono comunque aspetti molto precisi di
questo pensiero che lo contrappongono allo stato, poiché la crisi della
modernità investe anche le istituzioni: lo stato è ridotto alla sua
minima espressione a causa della sottomissione alle leggi del mercato
dettate dal neoliberismo.
Applicando quanto detto alla situazione latinoamericana, è necessario
considerare entrambe le manifestazioni del postmoderno di cui parla
Lyon: quello della postmodernità, riguardante le nuove tecnologie e la
globalizzazione nel suo aspetto neoliberale, e quello del romanzo
postmoderno, che prende forma nell’opera di Jorge Luis Borges. Nel primo
caso studi molto approfonditi sulla condizione latinoamericana sono
stati realizzati dallo statunitense Noam Chomsky, che vede una diretta
relazione fra le continue ingerenze degli Stati Uniti nella politica e
nell’economia degli stati latinoamericani e la loro instabilità
politico-economica. Secondo questa tesi dopo la seconda guerra mondiale i
leader angloamericani tentarono di riplasmare l’equilibrio mondiale
sulla base dei propri interessi, ciò prevedeva che le regioni
controllate dagli Usa o considerate di importanza strategica, ovvero
America Latina e Medio Oriente, dovevano essere chiuse agli altri stati;
al contrario, il resto del mondo non avrebbe dovuto opporsi ad una
politica di ulteriore penetrazione economica e commerciale.
L’idea che l’America Latina appartenesse agli Stati Uniti ebbe una
prima formulazione nella “dottrina Monroe” del 1823, in cui si negò agli
stati europei il diritto di intromettersi nelle vicende americane
(“l’America agli americani”). Quello che, in sostanza, i governi Usa
avevano in mente era un modello di rapporto neocoloniale, o meglio
postcoloniale, in cui gli stati latinoamericani avrebbero fornito le
materie prime all’industria statunitense in cambio dei prodotti
manifatturieri.
Le manifestazioni letterarie del postmoderno in America Latina si
basano su canoni stilistici e semantici che creano testualità
decostruttive. I testi di Borges si rivelano in quanto manifestazione
trasfigurata di altri testi, ad essi vincolata imprescindibilmente. Si
crea così una metaforicità aperta sia nei concetti che nella pratica
decostruttiva: i rimandi dirigono il lettore da un testo all’altro. Non
si esalta alcuna preminenza di un significato particolare, se non del
senso stesso della scrittura; i racconti non mettono in luce significati
trascendentali, bensì giochi di differenze, di connessioni attraverso
le quali i testi vanno oltre se stessi. Nessun testo importante
dell’autore è comprensibile senza rimettersi ad un altro testo: così El sur si rimette alle Mille e una notte, Biografia de Tadeo Isidoro Cruz è una glossa del Martín Fierro ; in Las ruinas circulares si
legge una storia per scoprire posteriormente che si è acceduti, senza
saperlo, ad un’altra storia dissimulata, mascherata all’interno della
prima.
Nel racconto La biblioteca de Babel Borges costruisce una
allucinazione fantastica in cui l’asse centrale di significazione è la
condizione essenziale dell’uomo: una esistenza irrimediabilmente persa
dentro un universo caotico, che lo fa stare in pena a causa dello
scorrere di un tempo che lo avvolge e lo annichilisce. La complessa
definizione di infinito data nel racconto, sostegno della struttura
narrativa dell’opera, si rivela un drammatico effetto di dissoluzione
del piano della realtà convenzionale, mostrando una duplicazione
infinita dello spazio temporale e marcando la moltiplicazione delle
gallerie esagonali che danno forma alla biblioteca sferica. La
biblioteca è un labirinto abominevole che allude, con il suo estremo
ordine, all’infinito e al caos. Il lettore subisce uno spiazzamento, si
moltiplica la prospettiva di apprensione.
Le migrazioni della narrativa di Borges generano discorsi e teorie
enigmatiche, che costringono il lettore a costruire continuamente il
senso del testo, allo stesso tempo si rivelano continuamente provvisori.
Si nega il privilegio di una lettura lineare della storia, della
certezza del racconto in cui esistono un unico tempo ed un unico spazio.
Tutte le possibilità di lettura restano aperte nelle biforcazioni e
convergenze che producono i giochi intratestuali e intertestuali: non
esistono letture definitive ma infiniti accessi ed altrettante vie di
fuga.
Bibliografia
José Luis Borges, Obras completas , 5 v., Buenos Aires : Emecé, 2001
Noam Chomsky- Heinz Dietrich, Latin America from colonization to globalization , New York : Ocean Press 1999
Noam Chomsky, Year 501 the conquest continues , Cambridge (Ma) : South End, 1993
Enrique Dussel, L’occultamento dell’altro. All’origine del mito della modernità , Celleno : La Piccola, 1993
Jean Francois Lyotard, La condizione postmoderna : rapporto sul sapere , Milano : Feltrinelli, 2004
David Lyon, Postmodernidad , Madrid : Alianza Editorial, 1996
Gianluca Mari (a cura di), Moderno/Postmoderno. Soggetto, tempo, sapere nella società attuale , Milano : Feltrinelli, 1987
Dario Puccini- Saul Yurkievich (a cura di), Storia della civiltà letteraria ispanoamericana , Roma : Utet, 2000
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