Ha rivendicato i 7mila omicidi politici (ne hanno stimati 30mila), ma è morto in carcere dopo la condanna per “furto di neonati” - Associato alla P2 di Gelli, che ripulì la sua immagine mediatica e diplomatica in Italia, ebbe l’appoggio di molti governi occidentali e (secondo lui) della Chiesa…
È morto a 87 anni in un carcere comune, senza privilegi; unica
consolazione per i familiari di decine di migliaia di argentini morti o
«desaparecidos», eufemismo che dicono avesse inventato lo stesso
generale Jorge Rafael Videla, nella stolta speranza di far credere che
uno scomparso fosse un forse vivo. Videla è stato il primo dei quattro dittatori che si sono alternati
nella giunta militare che ha governato l'Argentina dal 1976 al 1983. Ma
oltre ad aver tenuto il potere più a lungo, è stato il padre di tutta la
tragedia: la guerra senza limiti agli oppositori, il terrore tra
familiari e semplici vicini di casa dei «nemici», le tecniche per non
lasciar tracce degli omicidi, come i cosiddetti voli della morte, dove
si gettavano i corpi degli assassinati dagli aerei nel Río de la Plata;
fino all'inarrivabile idea di togliere i neonati alle ragazze condannate
alla morte, per darli in adozione alle famiglie amiche del regime. Ed è stato forse grazie a questo crimine unico nella storia delle
dittature - i casi sarebbero oltre 300 - che la società argentina ha
infine rifiutato l'amnistia che era stata concessa a Videla e complici a
una manciata di anni dai fatti, e i processi sono stati riaperti, nei
recenti governi di Néstor e Cristina Kirchner. Non importando grado o
età anagrafica degli uomini alla sbarra. Videla si è spento ieri mattina, di morte naturale, nel penitenziario
della città di Marcos Paz, sotto il peso delle condanne definitive e
con altri processi ancora pendenti. La più significativa è proprio la
sentenza sul furto di neonati, finalmente emessa nel luglio dello scorso
anno: cinquant'anni di carcere per i 18 casi accertati ufficialmente. In precedenza, gli erano stati attribuiti altri omicidi di
oppositori, mentre era ancora in corso il processo sul «Piano Condor»,
cioè l'accordo tra le dittature sudamericane dell'epoca per eliminare
gli oppositori in modo coordinato. In quel periodo, a cavallo tra gli
anni Settanta e Ottanta, lo sguardo hitleriano di Videla, la brillantina
e il baffo folto sono l'immagine del pacchetto latinoamericano composto
da ordine, anticomunismo, Dio, patria e famiglia quanto lo sono i
Rayban di Augusto Pinochet o le pacchiane uniformi cariche di medaglie
del paraguayano Alfredo Stroessner. Qualcosa che nel clima della Guerra fredda era tollerato e
giustificato da una parte dell'Occidente, in nome dell'argine al
comunismo. Per questo i militari argentini usavano eufemismi come «piano
di riorganizzazione nazionale» per spiegare la sospensione della
democrazia e le maniere spicce contro chi la pensava diversamente. Di Jorge Videla tocca anche ricordare la furbizia con la quale, nei
primi anni al potere, riuscì a costruire dell'Argentina dei militari
un'immagine «tollerabile», rispetto ad altre dittature. Il doppio
comportamento dei governi italiani dell'epoca ne è un esempio: fummo
intransigenti con i golpisti cileni (e aperti a ricevere perseguitati in
fuga), ma accondiscendenti con Videla e i suoi compari, fino a
rifiutare i rifugiati nelle nostre sedi diplomatiche. L'Italia ha storicamente un legame forte con l'Argentina, ma alla
circostanza non può essere estraneo un particolare di rilievo,
l'appartenenza di Videla e di altri generali argentini alla loggia P2 di
Licio Gelli, e l'influenza di quest'ultima sulla nostra diplomazia e
sui mezzi d'informazione. Tra i quali, purtroppo, lo stesso Corriere. Pochi trovarono
sconveniente, per esempio, quella coppa consegnata da Videla a capitan
Passarella, dopo la vittoria ai Mondiali di casa del 1978. Una foto che
ben rappresenta il clima di finta normalità dell'epoca. L'idea che la
dittatura argentina, per esempio, fosse meno feroce di quella cilena
perdurò - totalmente infondata - fino alla pubblicazione dei rapporti al
ritorno della democrazia. Il governo di Videla fu inoltre una
catastrofe dal punto di vista economico. Nulla si salva dunque nella biografia di Videla se non, forse, una
coerenza da militare. Per sfuggire ai processi non si è finto demente
come Pinochet, né ha finito i suoi giorni in una villa di Brasilia
ricattando gli ospiti, come Stroessner. In una clamorosa intervista
rilasciata l'anno scorso, Videla ha ammesso e rivendicato tutto con
orgoglio, compresi gli omicidi politici (ne calcola però 7.000, contro i
30.000 delle stime ufficiali). Sostenendo per esempio che l'intervento delle forze armate e i suoi
metodi di azione contro i guerriglieri di sinistra erano stati
concordati con varie forze politiche dell'epoca, compresi i peronisti al
governo. Imbarazzanti alcune sue parole sulle relazioni con la Chiesa
cattolica, definite «cordiali, sincere e aperte»: le gerarchie
argentine, disse, non «ci diedero problemi, perché non avevano seguito
le tendenze di sinistra e terzomondista di altre Chiese del continente». Da cui le polemiche recenti, nei giorni dell'elezione di papa
Francesco, sui rapporti con l'allora capo dei gesuiti argentini Jorge
Bergoglio. Si è però rivelata del tutto falsa una fotografia dove si
vede un sacerdote di spalle che dà la comunione al devotissimo Videla.
Quel prete non era l'attuale Papa.
Rocco Cotroneo per il "Corriere della Sera"
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