lunedì 28 marzo 2011

"Terremoto, ricostruzione perfetta"

Ciao,
riporto da Repubblica del 28/03/2011 la descrizione dell'ultima "impresa" Mediaset all'insegna della corretta informazione.
Marco

Terremoto, ricostruzione perfetta
finta aquilana in tv, bufera su Forum. Figurante reclutata per raccontare il miracolo del governo. Subito smascherata in rete. "Pagata trecento euro per leggere un copione". Protesta il Comune
di GIUSEPPE CAPORALE

L'AQUILA - Mediaset manda in onda una finta terremotata pagata 300 euro. Pagata per leggere un copione scritto dagli autori del programma Forum, condotto da Rita Dalla Chiesa su Canale 5. "L'Aquila è ricostruita"; "Ci sono case con giardini e garage"; "La vita è ricominciata"; chi si lamenta "lo fa per mangiare e dormire gratis". Per questo "ringraziamo il presidente..." . "Il governo... ", precisa la conduttrice.Marina Villa, 50 anni, nella trasmissione di venerdì si dichiara "terremotata aquilana e commerciante di abiti da sposa" in separazione dal marito Gualtiero. Ed è lì in tv con il coniuge a discutere della separazione davanti al giudice del tribunale televisivo. Ma è tutto finto: lei non è dell'Aquila, non è commerciante, il vero marito è a casa a Popoli, il paesino abruzzese nel quale la coppia vive: si chiama Antonio Di Prata e con lei gestisce un'agenzia funebre. L'assessore alla Cultura dell'Aquila, Stefania Pezzopane, ha scritto una lettera a Rita Dalla Chiesa: "Nella sua trasmissione, persone che, mi risulta, non hanno nulla a che vedere con L'Aquila, hanno fatto un quadro distorto e assolutamente non veritiero". Quando scoppia la polemica anche su Facebook, non è difficile rintracciare Marina. "Ma che vogliono questi aquilani? Ma lo sanno tutti che è una trasmissione finta". Si dice, la signora Villa, molto sorpresa dalla rabbia dei terremotati: "Ma che pretendono. Io non c'entro nulla. Ho chiesto di partecipare alla trasmissione e quando gli autori hanno saputo che ero abruzzese, mi hanno chiesto di interpretare quel ruolo. Mi hanno spiegato loro quello che avrei dovuto dire". Marina racconta di essere stata pagata: "Mi hanno dato 300 euro. Come agli altri attori. Anche Gualtiero, che nella puntata interpretava mio marito, recitava. Lui è un infermiere di Ortona. Hanno scelto un altro abruzzese per via del dialetto". Ecco il copione di Marina in tv: "Hanno riaperto tutti l'attività. I giovani stanno tornando". Durante il terremoto "sembrava la fine del mondo, non riuscivo a capire se era la guerra, la casa girava. Si sono staccati i termosifoni dal muro". Ora invece è tutto a posto: "Vorrei ringraziare il presidente e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente... Tutti hanno le case con i giardini e con i garage, tutti lavorano, le attività stanno riaprendo". Le fa eco la Dalla Chiesa: "Dovete ringraziare anche Bertolaso che ha fatto un grandissimo lavoro". E giù applausi. Mentre Marina aggiunge: "Quello volevo pure dire". "Inizialmente - continua il copione - hanno messo le tendopoli ma subito dopo hanno riconsegnato le case con giardino e garage. Sono rimasti 300-400 che sono ancora negli hotel e gli fa comodo". "Stanno lì a spese dello Stato: mangiano, bevono e non pagano, pure io ci vorrei andare". Ma lei non è dell'Aquila, la notte del 6 aprile 2009 era a casa a Popoli. È stata solo finta terremotata a pagamento per un giorno su Mediaset. 

mercoledì 23 marzo 2011

Osservatore Romano (e Il Ponte) per l'acqua pubblica

Sul prossimo numero de "Il Ponte", ampio resoconto sulla conferenza internazionale Greenaccord citata nell'articolo sottostante...
Luca

La Giornata mondiale dell'acqua
di Gaetano Vallini, Osservatore Romano – 22 marzo 2011

«Facile come bere un bicchiere d’acqua» si dice a volte. Ma questo detto popolare non dev’essere familiare ai quasi novecento milioni di uomini, donne e bambini che nel mondo non hanno acqua potabile, e agli oltre due miliardi e mezzo di persone — circa la metà della popolazione dei Paesi in via di sviluppo — che vivono in condizioni igienico-sanitarie insufficienti a causa della carenza di risorse idriche. Eppure mancano appena quattro anni al 2015, data che negli Obiettivi di sviluppo del millennio la comunità internazionale si era prefissata per ridurre il numero di persone senza accesso sostenibile all’acqua, e alla sanità di base. Così ogni anno un milione e mezzo di bambini sotto i cinque anni muoiono per malattie legate alla carenza di risorse idriche. Inoltre, stando alle previsioni, dal cinque al venticinque per cento degli usi globali di acqua dolce probabilmente supererà nel lungo termine le forniture disponibili e entro il 2015 circa la metà della popolazione mondiale sarà chiamata ad affrontare una crisi legata alla mancanza d’acqua.
La Giornata mondiale dell’acqua che si celebra il 22 marzo dal 1992 è l’occasione per fare il punto sulla situazione, anche in forza della risoluzione approvata lo scorso luglio dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite la quale ha sancito che l’accesso all’acqua è un diritto umano fondamentale. Più precisamente il testo «dichiara che l’accesso a un’acqua potabile pulita e di qualità, e a installazioni sanitarie di base, è un diritto dell’uomo, indispensabile per il godimento pieno del diritto alla vita».
La comunità internazionale ha in sostanza riconosciuto, dopo più di 15 anni di dibattiti, ciò che era naturalmente evidente. Ma si sa, nelle faccende politiche ed economiche la sola evidenza non ha valore. Come è altrettanto noto che il riconoscimento di un diritto serve a tutelare i più deboli, perché i forti si tutelano da soli. E così, anche se la risoluzione non ha carattere vincolante, l’inserimento di questo nuovo punto nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo è sicuramente un passo importante per affrontare una questione sempre più drammaticamente urgente tra aumento dell’uso, sprechi, cambiamenti climatici, disparità nella distribuzione e nell’accesso.
Il problema riguarderà in particolare i grandi centri abitati, e non a caso quest’anno il tema scelto per la giornata è «Acqua per le città: rispondere alle sfide della crescita urbana». Oggi un abitante su due vive in un contesto urbano e le città crescono a ritmi vertiginosi. Il 93 per cento dei processi di urbanizzazione avviene nei Paesi in via di sviluppo. La crescita urbana mondiale è rappresentata per lo più dall’espansione di quartieri poveri che procede a velocità straordinaria: si ritiene che entro il 2020 la loro popolazione aumenterà con una media di 27 milioni di persone all’anno a livello mondiale.
Fermo restando che bisogna porre un freno all’uso irresponsabile delle risorse, il punto cruciale è quello della gestione. In tale senso, il secondo Forum mondiale dell’acqua, ha sollecitato «un profondo cambiamento se si vuole raggiungere un consumo sostenibile nel prossimo futuro». E allo stesso tempo, si aggiunge, «è essenziale dare potere (e responsabilità) alla gente a livello locale per gestire le risorse idriche» e quindi «una “democratizzazione” della gestione dell’acqua».
Negli ultimi decenni, visto il tasso di crescita della popolazione, il servizio idrico ha incontrato difficoltà per la cronica mancanza di investimenti e interventi di manutenzione degli impianti. Ciò ha fatto sì che un numero sempre crescente di Paesi abbia affidato la gestione del servizio a società private. Il risultato è che il finanziamento degli investimenti decisi contrattualmente fra governi e gestori ha portato generalmente consistenti aumenti delle tariffe. Aumenti che hanno determinato in diversi Paesi poveri una forte conflittualità fra Stato, aziende private e società civile, a dimostrazione di come nessun diritto fondamentale riesca ad affermarsi senza conflitto sociale. Non solo. Gli esperti delle Nazioni Unite continuano a ritenere che, se le cose non cambieranno, con il passare del tempo sempre più conflitti verranno combattuti per l’acqua. E saranno guerre tra poveri, come la storia insegna.
Se è vero che spesso per i poveri non è tanto la scarsità d’acqua in sé a portare sofferenza, ma l’impossibilità economica di accedervi, allora esiste, come ha ricordato il 24 febbraio il vescovo Mario Toso, segretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenendo alla conferenza internazionale di Greenaccord a Roma, «un serio problema di indirizzo etico», perché, ha aggiunto rilanciando le parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, l’acqua — diritto universale e inalienabile — è un bene troppo prezioso per obbedire solo alle ragioni del mercato e per essere gestita con un criterio esclusivamente economico e privatistico. Il suo valore di scambio o prezzo non può essere fissato secondo le comuni regole della domanda e dell’offerta, ovvero secondo la logica del profitto. Che è però quanto in più parti del mondo accade o si rischia in caso di privatizzazione, fino a giungere al paradosso che vede i poveri pagare molto più dei ricchi per quello che dovrebbe essere un diritto naturale.
La via maestra è quella indicata da Benedetto XVI nel messaggio in occasione dell’Esposizione internazionale su «Acqua e sviluppo sostenibile» svoltasi a Saragozza (Spagna) nel luglio del 2008: l’uso dell’acqua «deve essere razionale e solidale, frutto di un’equilibrata sinergia fra il settore pubblico e quello privato». Ed è ciò che oggi la società civile chiede anche in alcuni Paesi occidentali, come l’Italia, dove presto si voterà un referendum che chiede di evitare di intraprendere la strada verso la privatizzazione dell’acqua. Un referendum che ha visto impegnate anche alcune realtà ecclesiali nel comitato promotore, segno dell’attenzione del mondo cattolico verso un tema delicato e cruciale.
Si tratta di un’attenzione peraltro quasi insita nel dna dei credenti. Il perché lo ha spiegato proprio il Papa nel citato messaggio: «Il fatto che oggigiorno si consideri l’acqua come un bene preminentemente materiale, non deve far dimenticare — sottolinea infatti Benedetto XVI — i significati religiosi che l’umanità credente, e soprattutto il cristianesimo, ha sviluppato a partire da essa, dandole un grande valore come un prezioso bene immateriale, che arricchisce sempre la vita dell’uomo su questa terra. Come non ricordare in questa circostanza il suggestivo messaggio che ci giunge dalle Sacre Scritture, dove si tratta l’acqua come simbolo di purificazione? Il pieno recupero di questa dimensione spirituale è garanzia e presupposto per un’adeguata impostazione dei problemi etici, politici ed economici che condizionano la complessa gestione dell’acqua da parte di tanti soggetti interessati, nell’ambito sia nazionale sia internazionale».
I credenti sono dunque chiamati a contribuire a trovare una soluzione ai problemi legati alla gestione delle risorse idriche. A partire dalle campagne di sensibilizzazione. Come «Seven weeks for water: water, conflict and just peace» avviata per la quaresima dalla Rete ecumenica per l’acqua, un’organizzazione di rappresentanza di varie comunità cristiane e di ong, coordinata dal Consiglio ecumenico delle Chiese. Ma sono anche sollecitati a lavorare sul terreno. Ed è ciò che avviene in molte missioni e nei centri attivati da organizzazioni di volontariato, per affrontare emergenze concrete nelle situazioni più critiche del pianeta. In quei luoghi abbandonati — in attesa di decisioni che rendano finalmente giustizia ai poveri ed effettivo un diritto — uomini e donne, religiosi e laici, operano accanto alle popolazioni locali per costruire pozzi e piccoli acquedotti. Perché sanno che lì anche un solo, preziosissimo bicchiere d’acqua in più può fare la differenza tra la vita e la morte.

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ACQUA: OSSERVATORE ROMANO, NO A PRIVATIZZAZIONE
QUOTIDIANO SANTA SEDE EVIDENZIA IMPEGNO REALTÀ ECCLESIALE IN PROSSIMO REFERENDUM

Città del Vaticano, 21 mar. (Adnkronos) - L' Osservatore romano dedica un lungo articolo alla Giornata mondiale dell'Acqua celebrata il 22 marzo. Ricordando che le Nazioni Unite hanno già definito l'accesso all'acqua come diritto umano fondamentale, il giornale della Santa Sede rileva quindi che si tratta di un bene che non può essere privatizzato e cita anche il prossimo referendum contro la gestione privata delle risorse idriche si svolgerà in Italia il 12 giugno. «Se è vero che spesso per i poveri non è tanto la scarsità d'acqua in se' a portare sofferenza - si legge sull'Osservatore romano - ma l'impossibilità economica di accedervi, allora esiste, come ha ricordato il 24 febbraio il vescovo Mario Toso, segretario Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenendo alla conferenza internazionale di Greenaccord a Roma, 'un serio problema di indirizzo etico, perché, ha aggiunto rilanciando le parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, l'acqua - diritto universale e inalienabile - è un bene troppo prezioso per obbedire solo alle ragioni del mercato e per essere gestita con un criterio esclusivamente economico e privatistico». «Il suo valore di scambio o prezzo - viene rilevato - non può essere fissato secondo le comuni regole della domanda e dell'offerta, ovvero secondo la logica del profitto. Che è però quanto in più parti del mondo accade o si rischia in caso di privatizzazione, fino a giungere al paradosso che vede i poveri pagare molto più dei ricchi per quello che dovrebbe essere un diritto naturale». «La via maestra - spiega l'Osservatore romano - è quella indicata da Benedetto XVI nel messaggio in occasione dell'Esposizione internazionale su 'Acqua e sviluppo sostenibile' svoltasi a Saragozza (Spagna) nel luglio del 2008: l'uso dell'acqua 'deve essere razionale e solidale, frutto di un'equilibrata sinergia fra il settore pubblico e quello privato'. Ed è ciò che oggi la società civile chiede anche in alcuni Paesi occidentali, come l'Italia, dove presto si voterà un referendum che chiede di evitare di intraprendere la strada verso la privatizzazione dell'acqua». Un referendum «che ha visto impegnate anche alcune realtà ecclesiali nel comitato promotore, segno dell'attenzione del mondo cattolico verso un tema delicato e cruciale». L'Osservatore romano spiega anche che «negli ultimi decenni, visto il tasso di crescita della popolazione, il servizio idrico ha incontrato difficoltà per la cronica mancanza di investimenti e interventi di manutenzione degli impianti. Ciò ha fatto sì che un numero sempre crescente di Paesi abbia affidato la gestione del servizio a società private». «Il risultato - prosegue il quotidiano della Santa Sede - è che il finanziamento degli investimenti decisi contrattualmente fra governi e gestori ha portato generalmente consistenti aumenti delle tariffe. Aumenti che hanno determinato in diversi Paesi poveri una forte conflittualità fra Stato, aziende private e società civile, a dimostrazione di come nessun diritto fondamentale riesca ad affermarsi senza conflitto sociale. Non solo. Gli esperti delle Nazioni Unite continuano a ritenere che, se le cose non cambieranno, con il passare del tempo sempre più conflitti verranno combattuti per l'acqua. E saranno guerre tra poveri, come la storia insegna». 

mercoledì 16 marzo 2011

Dibattito Nucleare

Sono sempre stato contro il Nucleare in italia e sosterrò il referendum (non in seguito ai recenti eventi giapponesi, che comunque hanno messo in allarme tutto il modo... anche la cina ha sospeso la costruzione di nuove centrali), non per motivi ideologici, il nucleare non è sbagliato in quanto tale, ma è pragmaticamente inutile in Italia per i tempi di progettazione e costruzione, per l'enorme investimento a fronte di un impatto energetico non così rilevante e, soprattutto, per i molti dubbi sulla capacità gestionale italiana e la conformazione del territorio. Di seguito mi piace riportarvi due opinioni completamente opposte, la prima è la dichiarazione di Margherita Hack, la seconda di Walter Ganapini, membro onorario dell'Agenzia europea ambientale, riportata sul sito ilsalvagente.it.

ciao
beppe



Sul fronte di un eventuale referendum sulla questione nucleare è intervenuta questa mattina l'astrofisica Margherita Hack definendolo "inutile". Quindi ha proseguito: "Prima si era fatto un referendum sull'onda di Chernobyl – ora se ne fa un altro sull'onda del Giappone: è perfettamente inutile perché è ovvio che sarà contro il nucleare, visto questo disastro. Le cose invece andrebbero affrontate razionalmente". Il terremoto nipponico, secondo Hack, è "un evento veramente eccezionale, se ne verifica uno ogni secolo. Se ogni volta che si fa un'innovazione tecnologica ci si tira indietro, si starebbe ancora a vivere nelle caverne. Se poi si vanno a vedere le statistiche ci sono molti meno incidenti e inquinamento nel nucleare che in altre forme di energia". Secondo l'astrofisica "in Italia il pericolo grosso del nucleare siamo noi italiani, perché si ha l'abitudine di pigliare tutte le cose sotto gamba. Si ha tanta paura del nucleare e poi milioni di abitanti vivono intorno alle falde del Vesuvio, che non è morto, è bello vivo, e se sono decenni che non esplode, il giorno che esploderà sarà un vero disastro. La paura dell'atomo è dovuta all'ignoranza".
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''Centrali nucleari in Italia? Dilettanti allo sbaraglio''
Troppo costoso e ancora pericoloso: le valutazioni di Walter Ganapini.
di Giovanni Vignali

Usa parole durissime Walter Ganapini, membro onorario dell'Agenzia europea ambientale, nel commentare il dibattito italiano sulla tragedia nucleare che si sta consumando a Fukushima, una delle città giapponesi più duramente colpite del recente terremoto e dallo tsunami, dove tre reattori sono in avaria e gli scoppi si susseguono a distanza di poche ore l'uno dall'altro, facendo temere una nuova Chernobyl. Già consulente di Umberto Colombo, Ganapini nel nostro paese ha lavorato alla "Direzione protezione ambiente e salute", al "Dipartimento fonti alternative e risparmio di energia", ma soprattutto - per il tema che sta tenendo col fiato sospeso tutto il mondo dall'arrivo dello tsunami sulle coste giapponesi - è stato, dal 1998 al 2001, all'"Autorità nazionale sicurezza nucleare" in qualità di presidente dell'Ampa (l'Agenzia nazionale di protezione ambientale).
Ganapini, gli italiani assistono sgomenti a quanto sta accadendo nei tre reattori nucleari di Fukushima. Può spiegarci dal suo punto di vista cosa sta accadendo? Se la sente di fare una previsione? Previsioni non ne faccio, stiamo ai dati di fatto. Da ciò che si legge sulla stampa internazionale i rischi conclamati insiti in queste
centrali erano noti, in quanto le infrastrutture erano progettate per resistere a terremoti di potenza pari a 7 gradi Richter, mentre questo terremoto è stato molto più devastante. Va aggiunto che gli enti gestori hanno probabilmente raccontato cose non vere nel corso degli anni, e pur avendo segnali in tal senso sulla necessità di intervenire non hanno applicato misure correttive sufficienti. L'entità del sisma, come detto questa sì davvero enorme, unita allo tsunami, ha mandato in crisi tutti e tre i centri di raffreddamento, con conseguente parziale fusione del nocciolo. Ciò che si legge a livello internazionale riferisce ancora: l'aiuto e l'immediato intervento statunitense per raffreddare le strutture a rischio non è bastato, e addirittura è stata utilizzata acqua di mare. Questo ha generato una quantità enorme di vapori radioattivi, per cui c'è una nube radioattiva in giro, per quella parte del nostro pianeta, ed è presente materiale contaminato. Quindi lei sostiene che il problema, al di là del sisma, è in parte imputabile anche allo tsunami che si abbattuto sulla costa? La dinamica dell'incidente e il susseguirsi dei fatti suggeriscono questa risposta, peraltro la stessa che da giorni sia Cnn sia Bbc stanno spiegando ad americani e inglesi attraverso i pareri di autorevoli esperti. La popolazione civile e l'ecosistema giapponese dunque pagheranno un prezzo altissimo a questo disastro? L'esperienza insegna, purtroppo, che si continuano ad avere effetti a livello teratogenetico - sia sui vegetali che sugli animali e sugli uomini – anche a distanza di molti, moltissimi anni. Strutture così delicate e potenzialmente pericolose non mettono a bilancio interventi di bonifica del territorio in caso di incidente, assicurazioni per portare cure e conforto alle persone che eventualmente risultassero contaminate? Ricordo che la vecchia centrale di Caorso, in Italia, era assicurata per 70 miliardi di lire, all'epoca. Nonostante avesse vicino un gran numero di città da Piacenza a Cremona, da Parma a Brescia, sino a Milano. Come dire: non ci pagavi neanche la verdura andata a male. Secondo lei il mondo scientifico sottovaluta i rischi legati all'energia nucleare? Isaac Asimov, che prim'ancora di essere uno scrittore di fama era un fisico, li chiamava "orchi che cercano l'origine profonda della materia". Negli anni '80 ci fu un articolato dibattito sul controllo sociale delle tecnologie. Il settore del nucleare si accompagna ad un atteggiamento tipico delle caste sacerdotali che ritengono di detenere il sapere specifico e che dicono alla popolazione "siamo noi che abbiamo la conoscenza, voi lasciateci fare". La situazione italiana prima di Fukushima vedeva crescere ogni giorno di più il partito del ritorno al nucleare nel nostro Paese. Ora le cose si sono assai complicate. Guardi, sul nucleare italiano siamo alla corrida, ai dilettanti allo sbaraglio. Si parla con una leggerezza sconvolgente di cose molto serie. Dunque lei non crede a chi ancora oggi sostiene che le centrali nucleari producono energia a minor costo e in quantità maggiori rispetto alle rinnovabili, tanto che il nostro Paese "non potrebbe farne a meno"? Stiamo agli aspetti economici: perché nessun privato al mondo investe sul nucleare? Perché è l'investimento più costoso, con tempi di ritorno non calcolabili e nodi irrisolti sui costi, ivi incluso quello smaltimento delle scorie. Le faccio un esempio: George Bush jr all'atto di insediarsi disse che il rilancio dell'economia Usa sarebbe avvenuto attraverso la realizzazione di 20 nuove centrali. Dopo otto anni da Presidente degli Stati Uniti ha lasciato la Casa Bianca che non ne era stata fatta neanche una. Ce n'è una, a metà, ma è pubblica, realizzata con soldi federali. E in Europa? Esiste un solo reattore in costruzione, quello franco-finlandese, che dal giorno della sua progettazione a oggi ha triplicato i tempi di realizzazione e duplicato i costi. Non dimentichiamo che nei costi, già altissimi, occorre inserire il decomissioning, ovvero cosa si fa della centrale dopo i 20-25 anni di funzionamento e cosa si fa con le scorie. Questioni non di poco conto, non trova? Fra gli incarichi che lei ha ricoperto c'è stato anche quello di Presidente nazionale di Greenpeace. Questo non rischia di fare di lei un commentatore delle vicende nucleari che parte da un presupposto di contrarietà a prescindere? I concetti che sto esprimendo stanno in documenti ufficiali della Goldman Sachs e sul Financial Times, non certo sul sito i verdi! E' la Goldman Sachs che parla del nucleare come di un investimento per i privati "unattractive". La traduzione mi pare abbastanza semplice. E chi invece sostiene che senza questa tecnologia l'Italia rischia di stare fuori dalle grandi direttrici dello sviluppo del terzo millennio? Mentono sapendo di mentire. Colpisce la stessa posizione di Confindustria: oggi si guarda alle centrali come al ponte sullo Stretto di Messina, ci va tanto cemento e tanto ferro, mentre poco si sa della tecnologia. Senza contare i giullari di turno, e ce ne sono stati molti in questi mesi, che intervengono per i motivi più disparati. Buon ultimo la Presidenza della Campania di turno, che ignora il dato della sismicità in quella terra e si dichiara disponibile a ragionare di insediamenti, cosa che avevo sconsigliato quando ero Assessore regionale all'Ambiente. Ha ragione chi afferma che le centrali di terza generazione daranno garanzie maggiori rispetto a quelle che vediamo in televisione in queste ore in Giappone, vecchie di 40 anni? Centrali di terza generazione? E' del tutto ovvio che si deve ricercare grandemente sul nucleare. Cito uno che ne capisce qualcosa, se mi passa la battuta: Carlo Rubbia. Proprio lui afferma che occorre lavorare per nuovi reattori, di sicurezza cosiddetta intrinseca. Ne abbiamo discusso assieme diverse volte. Ma lo stesso Rubbia fissa il 2050 come tempo entro il quale raggiungere tale obiettivo. I problemi energetici dell'Italia però, oggi non si risolvono con questa scienza folle. Basterebbe dunque investire sulle energie alternative per rinunciare alle nuove centrali immaginate dal Governo Berlusconi? Perché nessuno parla più di pianificazione dei fabbisogni energetici? Eppure non c'è una sola persona che riuscirebbe a motivare la  necessità di centrali nucleari qui da noi, a fronte di un'offerta di energia esistente sovrabbondante, rispetto la domanda.Non c'è nessun bisogno di nuova energetica elettrica, fra l'altro a un costo così alto. Mi permetta anche di ricordare che l'obiettivo "tutto rinnovabile al 2030" lo immagina l'Ue, non il sottoscritto. E concludo dicendo che una quota di quanto prodotto dal fotovoltaico e dall'eolico in Italia non viene messa in rete perché è la rete che abbiamo a non essere stata attrezzata per ricevere questi contributi. Ci vuole innovazione, anzi… ci vorrebbe. Il 12 giugno il referendum sul nucleare. Come pensa che andrà? La maggioranza degli italiani preferirà le urne o una gita al mare? Mi auguro che in maniera trasversale gli italiani sulle cose serie decideranno una volta per tutti di mandare a casa gli incompetenti e tutelino la propria salute e quella dei propri figli.

La trappola radioattiva

Editoriale di A.Celentano sul Corriere della Sera del 16.03.2011

La trappola radioattiva
Studenti, leghisti, fascisti e comunisti, per il vostro bene non disertate il referendum. Ora sarebbe un suicidio
di ADRIANO CELENTANO

Caro Direttore,
settantamila case distrutte, un milione di sfollati e cinquemila dispersi in quel florido Giappone che nel giro di 6 minuti è improvvisamente precipitato nel buio più scuro. Ma soprattutto migliaia di radiazioni sulla testa dei giapponesi. Ora io non vorrei neanche parlare del clamoroso fuori-tempo (non solo musicale) esternato da Chicco Testa, ospite della bravissima Lilli Gruber dalla voce affascinante. Non vorrei ma come si fa, poi la gente pensa davvero che lui parli per il bene dei cittadini. «Gli impianti nucleari hanno dimostrato di tenere botta». Ha detto il nostro Chicco ormai appassito per mancanza di clorofilla e quindi non più in grado di catturare quell'ENERGIA SOLARE di cui un tempo si nutriva. «Chi trae spunto dalla tragedia del Giappone per dare vita a una polemica politica è uno sciacallo». Ha sentenziato. Dopo neanche un'ora esplode la centrale nucleare di Fukushima. Un tempismo davvero sorprendente quello del Chicco. Ma la cosa più incredibile che più di tutti impressiona, è lo stato di ipnosi in cui versano gli italiani di fronte ai fatti sconcertanti di una politica che non è più neanche politica. Ma piuttosto un qualcosa di maleodorante e che di proposito vorrebbe trastullarci in uno stato confusionale. Dove sempre di meno si potrà distinguere il bene dal male, le cose giuste da quelle ingiuste. Sparisce quindi quel campanello d'allarme che ci mette in guardia quando c'è qualcosa che non quadra nei comportamenti di un individuo. Un qualcosa che detto in una parola si chiama SOSPETTO. E di sospetti sul nostro presidente del Consiglio, tanto per fare un esempio, ce ne sono abbastanza. E così nel bel mezzo di una tragedia come quella che sta vivendo il Giappone, dove fuoco e acqua stanno distruggendo tante vite umane, senza contare l'aspetto più insidioso dovuto alle radiazioni liberatesi nell'aria, il nostro presidente del Consiglio non demorde. Ha subito fatto annunciare dai suoi «CicchittiPrestigiacomini» e dai piccoli insidiosi Sacconi, che il progetto sul nucleare in Italia andrà avanti. L'orientamento popolare contro le centrali nucleari decretato dal referendum fatto 24 anni fa, fu chiarissimo. Ma per Berlusconi non basta: «Chi se ne frega della SOVRANITÀ POPOLARE!». L'unica sovranità che conta per lui è il Potere di guidare gli uomini in una sola direzione come se fossero degli automi. Tra i vari tg, talk show e quello che si legge sui giornali, ho seguito con un certo interesse il cammino politico del terzo polo. Si spera sempre di intravedere quel «CHE» di trasparenza mai assaporata che per ora, a quanto pare, possiedono in pochi. Uno di questi è Antonio Di Pietro. Ma il governo cerca di ostacolarlo. Le ottocentomila firme raccolte da Di Pietro contro le centrali atomiche e il legittimo impedimento, saranno oggetto di un referendum che «si farà», ha detto il ministro Maroni allievo di Berlusconi. Ma a giugno. Quando la gente va al mare. E questo naturalmente vale anche per il milione e quattrocentomila firme raccolte dal Forum italiano Movimenti per l'acqua, di cui nessuno parla tranne il loro sito che gentilmente vi indico - www.acquabenecomune.org -
per i due quesiti referendari contro la privatizzazione di questo prezioso bene comune. Una trappola radioattiva quindi per chi non vuole essere schiacciato dalla bevanda nucleare. Ora il mio potrebbe sembrare un appello, ma non lo è. È una preghiera. Una preghiera che non è rivolta ai politici. «LORO NON SANNO
QUELLO CHE FANNO». Per cui mi rivolgo a tutti quelli che invece li votano i politici. Di destra, di sinistra, «STUDENTI», leghisti, fascisti e comunisti, per il vostro bene, non disertate il referendum. Questa volta sarebbe un suicidio. Dobbiamo andare a votare anche se il governo spostasse la data del referendum al giorno di Natale. Non sia mai che prendiate sotto gamba questi referendum: saremmo spacciati. La natura, come vedete, si è incazzata. Gli esperimenti nucleari nel Pacifico, le trivellazioni nei fondali del Golfo del Messico, milioni di ettari di bosco incendiati per favorire la cementificazione abusiva, i tagli alla cultura ridotta ormai in pezzi. Tutte cose, per cui la NATURA «sta perdendo la pazienza». Come vi dicevo ho seguito con un certo interesse il cammino politico del terzo polo. E Casini che fino a prima della tragedia di questi giorni ha sempre parlato in modo equilibrato, subito dopo il terremoto, intanto che le radiazioni cominciavano a liberarsi nell'aria e trecentomila persone venivano evacuate dalle loro case, ci ha tenuto a ribadire, con una certa fierezza, il suo parere favorevole al nucleare, facendo quasi un rimprovero al governo per non aver ancor iniziato i lavori. Caro Casini, che tu fossi un nuclearista convinto lo sapevamo tutti e io rispetto la tua opinione, anche se è orribile. Ma dirlo proprio in questo momento, non pensi che tu abbia dato una sberla sui denti al tuo elettorato? Tralasciando il piccolo particolare che l'Italia è uno dei Paesi a maggior rischio sismico, come tu sai, le radiazioni sono pericolose non soltanto perché si muore, ma per il modo di come si muore. Una sofferenza di una atrocità inimmaginabile. E poi non si è mai in pochi a morire. Specialmente quando la catastrofe raggiunge dimensioni come quella che sta vivendo la povera gente in Giappone. E non venirmi a dire che le centrali nucleari di terza generazione sono più sicure della seconda, e che ancora più sicure della terza saranno quelle di quarta, disponibili per altro nel lontano 2030. La verità è che tu e Berlusconi siete degli IPOCRITI MARCI. Lo sapete benissimo che per quanto sicure possono essere le centrali atomiche, anche di decima o di undicesima generazione, il vero pericolo sono soprattutto le SCORIE RADIOATTIVE, che nessuno sa come distruggere e che già più di mezzo mondo ne è impestato. SCORIE collocate in contenitori sui piazzali delle centrali, a cui, tra l'altro, si aggiungono elevatissimi costi economici, sociali e politici richiesti dalla necessità di sorvegliare questo micidiale pericolo per un tempo praticamente INFINITO. Lo sapete benissimo e ciò nonostante continuate a INGANNARE i popoli promettendo loro quel falso benessere che serve solo a gonfiarvi di Potere e ad arricchire le vostre tasche. Mi dispiace ma non c'è niente da imparare dal terzo polo, come non c'è niente da imparare da tutta la classe politica. L'unica buona notizia che galleggia in questo mare di annegati e che mi ha sorprendentemente colpito, è ciò che di veramente buono sta facendo il sindaco Matteo Renzi nella sua Firenze. Finalmente uno che ha intuito cosa c'è nel cuore della gente. E che ha il coraggio di dire no alla cementificazione facile con la quale, secondo i malvagi, si costruirebbe per il bene dei cittadini. Bravo Matteo! Forse tu hai capito tutto e magari ancora non ti rendi conto di quanto sia importante ciò che hai capito. 

Adriano Celentano
16 marzo 2011

lunedì 14 marzo 2011

No Nuke

Il Movimento per l'Alternativa al Nucleare si è costituito a Torino nel novembre del 2008 a seguito di alcuni seminari di approfondimento e di studio sui temi  dell'energia e del nucleare. Il primo nostro obiettivo era di riprendere a fare informazione, meglio controinformazione, sul tema del nucleare che si è riproposto in questi ultimi tre anni in maniera importante. Non ci aspettavamo un altro referendum, non avremmo voluto trovarci di fronte ad un "Sì" e ad un "No". Il referendum contro il nucleare non lo abbiamo voluto, non è stato voluto come quelli sull'acqua, da un vastissimo Movimento, da percorsi condivisi, ma adesso il referendum  c'è e si andrà a votare (probabilmente il 12 giugno 2011), insieme ai due referendum sull'acqua e a quello sul legittimo impedimento. Pur comprendendo le motivazioni che sottostanno alla decisione di non accorpare le campagne referendarie acqua e nucleare, penso che non si possa ora,  considerare il referendum contro il nucleare come il referendum di chi ne ha promosso la raccolta di firme per richiederlo. Abbiamo pensato di scrivere l'appello che trovate in allegato, che riprende parte della carta di intenti costitutiva del MANu e chiediamo di  sottoscriverlo e di farlo sottoscrivere, per  dire che c'è anche il referendum contro il nucleare, perché se ne parli e se ne discuta, per dire quali sono le motivazioni di contrarietà al nucleare.

Movimento per l’Alternativa al nucleare
Se condividi questo appello aiutaci a divulgarlo  - grazie
Renato Zanoli – renatozanoli@libero.it  - 3384054068
Per firmare on-line:
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MARTEDì 15 MARZO 2011 ore 21 incontro al Centro Studi Sereno Regis, Via Garibaldi 13 - Torino

FIRMA  L’APPELLO  PER  IL  SÌ  AL  REFERENDUM CONTRO  I L  NUCLEARE

"Anche se la sicurezza delle centrali nucleari fosse ragionevolmente garantita  - sul che vi sono seri dubbi –resterebbero sempre non risolti, in fatto di sicurezza, i problemi del trasporto dei materiali fissili e quelli della conservazione nei secoli delle scorie radioattive. In un Paese come il nostro, con un territorio in gran parte idrogeologicamente dissestato e congestionato di inquinamenti e per di più fitto di insediamenti urbani e costellato di tesori storici, artistici e paesistici, è il ciclo nucleare nel suo insieme che presenta rischi e pericoli inaccettabili e che deve quindi essere scartato, neppure come soluzione di emergenza l'alternativa nucleare ha titoli per essere considerata prioritaria" 
Aurelio Peccei (Club di Roma)

Siamo persone impegnate in associazioni, gruppi, movimenti, sindacati, partiti. Ci occupiamo di ambiente, di lavoro, di diritti, di occupazione, di risorse, di alimentazione, di nonviolenza, di pace, di sostenibilità. Alcuni di noi sono stati attivi nel movimento contro il nucleare che ha portato nel 1987 al referendum che decretò il NO al nucleare in Italia. C’è nel nostro paese una forte pressione per l'avvio di un programma nucleare che, oltre a non rispondere alle priorità energetiche, ambientali, occupazionali, sociali, è una scelta distruttiva per l’ambiente e per le persone. Entro giugno 2011 saremo chiamati a votare per il referendum contro il ritorno del nucleare in Italia (oltre ai due in difesa dell’acqua pubblica e uno contro il legittimo impedimento).
Il quesito referendario sul tema del nucleare è molto articolato e complesso, punta a cancellare circa 70 norme contenute nei provvedimenti che consentono la riapertura delle centrali per la produzione di energia nucleare in Italia. 
In particolare si tratta:
di parte della legge 6 agosto 2008 n. 133 che affida al Governo la definizione della Strategia Energetica Nazionale comprendente il rilancio del nucleare; di alcuni articoli della legge 99/2009  "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia"; del conseguente decreto 31/2010 "Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell'art. 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99". Siamo contrari alla decisione di ritorno al nucleare  e voteremo Sì al referendum contro il ritorno del nucleare perché:
L'energia elettrica ottenuta per via nucleare non è né economica, né pulita, né sicura:
a) l’uranio non è una risorsa né rinnovabile né sostenibile, limitata nelle quantità e nel tempo, molto costosa e delicata da un punto di vista geo-politico;
b) non è vero che il nucleare non provoca emissioni di CO2, perché, in realtà, si produce una quantità rilevante di CO2 per l’estrazione del combustibile, per la costruzione della centrale e per il suo smantellamento;
c) malgrado i costi elevati, economici e ambientali, gli impianti nucleari di tutto il mondo forniscono una minima parte dell’energia necessaria. Dopo 50 anni, tutte le centrali del mondo forniscono appena il  6,5% del fabbisogno mondiale di energia primaria e ancor meno in Italia, il 2%.
- Le valutazioni della presunta convenienza economica sono state fatte sulla base di costi degli impianti non aggiornati che non tengono conto delle spese necessarie per lo smantellamento finale delle centrali e per la custodia e lo smaltimento dei residui radioattivi derivanti dal loro funzionamento.
- La scelta nucleare proposta condanna ugualmente l’Italia ad una dipendenza, inevitabile in ogni grande processo produttivo, da capitali stranieri e da brevetti, forniture e tecnologia, detenuti da pochi gruppi monopolistici, con tutte le conseguenze politiche che ne derivano.
- La scelta nucleare comporta la concentrazione della produzione elettrica in pochi mega impianti che stravolgono pesantemente le aree interessate sia sotto il profilo ambientale sia sotto il profilo della sicurezza, rendendone quasi inevitabile, per questo ultimo aspetto, la militarizzazione.
Al contrario noi siamo per un modo di produzione dell’energia elettrica decentrato e diffuso sul territorio, che sia consapevole e rispettoso delle esigenze delle comunità e dell’ambiente in cui si sviluppa.
La scelta nucleare implica il rilascio abituale di inquinanti radioattivi nella biosfera, nonché il rischio di incidenti catastrofici di portata e scala imprevedibili, determinati da errori umani, anomalie o anche da sabotaggi e atti terroristici. I rilasci degli effluenti di raffreddamento provocano poi variazioni climatiche e alterazioni degli ecosistemi naturali, derivanti dall'inquinamento termico.
Le centrali nucleari non sono sicure e fonte di pericolo per la salute degli abitanti. Sulla sicurezza degli impianti nucleari spesso ci dicono rassicuranti parole, ma  non ci dicono per esempio, che in Germania i bambini che vivono in un raggio di 5 km attorno alle centrali si ammalano di leucemia 2 volte in più rispetto agli altri bambini..
La scelta del nucleare porta con sé la produzione di crescenti quantità di sottoprodotti radioattivi pericolosi e difficilmente conservabili in maniera sicura. Alcuni di questi sottoprodotti radioattivi costituiscono inoltre la materia prima per la costruzione delle bombe atomiche, cosicché la scelta nucleare contribuisce al rischio di proliferazione degli armamenti nucleari ed alla instabilità internazionale contraria agli interessi della pace.
L’opzione nucleare è intrinsecamente rigida sia nella fase di programmazione che di produzione: gli ingenti impegni finanziari ed i tempi di messa in opera vincolano a proseguire il programma anche in caso di mutamenti del contesto socio-economico, obbligano all’uso dell’elettricità, anche se non necessario (le centrali nucleari non possono essere ‘rallentate’ o fermate per seguire la curva dei consumi) e sottraggono risorse ad altre opzioni, quali efficienza/risparmio energetico e fonti rinnovabili, più convenienti, diffuse, modulari e disponibili in tempi brevi.
Le centrali nucleari necessitano per funzionare di notevoli e continue quantità di acqua, bene sempre più prezioso e scarso che verrebbe sottratto a bisogni primari ben più importanti, quali ad esempio quello agricolo. La scarsità d'acqua rischierebbe inoltre di mettere in crisi il funzionamento stesso delle centrali nei periodi estivi caratterizzati da scarsa fluenza, elevate temperature ambientali e punte di consumo per la climatizzazione.
La scelta nucleare, contrariamente a quello che da molte parti si vuole far intendere, contribuisce assai poco a risolvere i problemi occupazionali, essendo la costruzione delle centrali elettronucleari il tipico investimento ad alta intensità di capitale e bassa intensità di manodopera.
I problemi prioritari dell'occupazione non trovano alcuna soluzione con la semplice moltiplicazione dei consumi e con la produzione di grandi quantità di energia, che finirebbero invece per favorire solo lo spreco e lo sviluppo di industrie ad alto impiego di capitale e di energia per addetto.
La scelta nucleare impedisce inoltre  il pieno sviluppo delle fonti rinnovabili (in particolare eolico e solare fotovoltaico) che, al contrario di qualche decennio fa, sono già oggi competitive sul piano dei costi e ancora di più lo saranno fra 10 anni quando si presume che gli impianti nucleari siano disponibili. I tentativi in corso di contenere lo sviluppo degli impianti da rinnovabili, riducendo gli incentivi e mettendo un limite di potenza istallata si traduce nel soffocamento dell’occupazione nel settore, che è in pieno sviluppo, con la perdita di molte migliaia di posti di lavoro. Il settore delle rinnovabili è fra i pochi comparti produttivi che non hanno subito i rallentamenti dovuti alla crisi economica e finanziaria  internazionale e la scelta nucleare ne fermerebbe l’espansione.

Marzo 2011
Movimento per l’Alternativa al Nucleare

sabato 5 marzo 2011

AlReves: "Latinoamericanizzazione"


L’Europa come l’America latina degli anni 80-90
Il Vecchio Continente alle prese con deficit statali e misure di austerità “anticrisi”.

Da un po’ di tempo alcuni analisti economici hanno cominciato a parlare di “latinoamericanizzazione” dell’Europa. Il riferimento è al programma di risanamento dell’Unione Europea, basato su un pacchetto di riforme di stampo liberista atte a contrastare l’attuale crisi economica. Si tratta, in realtà, di un déjà-vu di deregolamentazione, misure di aggiustamento strutturale e tagli allo stato sociale che rievoca il dramma dell’America latina degli anni ottanta e novanta: un intero continente sottomesso al FMI, al “Consenso di Washington” e al suo capitalismo cannibale.
Per comprendere appieno l’origine di questa crisi economica, occorre fare un passo indietro agli anni dell’esplosione negli Stati Uniti delle bolle speculative, quelle che hanno messo in ginocchio l’intero sistema finanziario internazionale. La deregulation applicata a questo settore, che aveva già evidenziato nel corso degli anni un enorme flusso di speculazione sfrenata, ha prodotto come conseguenza un’invasione di “titoli spazzatura”. Sono stati questi fondi il detonatore della crisi del 2008, nel momento in cui negli Usa molti contraenti non sono più riusciti a pagare le rate dei prestiti e dei mutui. E solo a quel punto tutti hanno tentato di disfarsi al più presto dei “titoli spazzatura”: una massa di prodotti finanziari che fino a poco tempo prima erano stati valutati come “sicuri” dalle agenzie di rating, ma che ancora oggi circolano per le Borse come mine vaganti “intossicando” il sistema finanziario.

Le banche salve, gli Stati in pericolo.
Una volta scoppiato il cataclisma conseguente al crollo delle Borse, i governi e le banche centrali - in Europa come negli Usa - si sono precipitati al capezzale delle banche e dei moribondi enti finanziari e, a furia di iniezioni di milioni di euro e di dollari pubblici, ne hanno scongiurato la bancarotta (ma chissà per quanto tempo ancora). Sorte peraltro già toccata a decine di istituti di credito dall’inizio della crisi.
Però ora, sono gli Stati a rischiare il fallimento. Lo stallo economico derivante dalla crisi finanziaria ha fatto diminuire le entrate statali (flessione del gettito fiscale) e ha - viceversa - enormemente aumentato la spesa pubblica, a causa della disoccupazione dilagante e dell’attuazione delle riforme per la riattivazione dell’economia. Da qui il deficit strutturale che ha ridotto sul lastrico la Grecia e ha messo nei guai altre nazioni europee ad alto indebitamento, come il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna e - non ultima - la nostra Italia. Su tutte si moltiplicano le voci di “rischio default”.
Di fronte alla seria minaccia di bancarotta di interi Stati europei, le grandi istituzioni economico-finanziarie (FMI, Banca Mondiale ed Unione Europea) rispondono con le solite ricette neoliberiste a base di tagli allo stato sociale e di aggiustamenti strutturali: “arnesi” vecchi di decenni che hanno prodotto solo fallimenti e disastri, come nel caso dell’America latina degli anni 80 e 90.

Come in America latina venti anni fa.
Gli “aggiustamenti strutturali” propinati dal Fondo Monetario Internazionale e dalla sorella Banca mondiale nascono, infatti, proprio alla metà degli anni 80, “una risposta per porre rimedio alla prima crisi del debito, in Messico nel 1982. Ricette pure neo-liberiste che includono privatizzazione degli enti pubblici, liberalizzazione dei mercati di capitali, merci e servizi, drastica riduzione delle spese sociali, il tutto per ottenere moneta pregiata e ripagare i pesanti debiti contratti negli anni '60 e '70 e poi schizzati alle stelle dopo la rottura del sistema monetario internazionale voluta dalla Casa Bianca. L'America latina è la regione che per prima applica scientificamente le ricette del Fondo, arrivando ad estremi senza paragoni. Sotto la scure del Fondo passano i sistemi sanitari e quelli previdenziali, ma soprattutto si verifica la svendita di proprietà nazionali. Dopo le nuove crisi del debito di inizio anni '90, il controllo dell'inflazione in paesi fragili che devono ancora intraprende un processo di accumulazione e di sviluppo diventa ossessivo, ed il costo del denaro è così alto da non permettere nessun investimento locale, mentre le banche ed i risparmi locali sono tutti ormai sotto il controllo straniero. Emblematico il caso brasiliano degli anni '90, con la moneta ancorata decisamente al dollaro. Si arriva persino alla completa «dollarizzazione» dell'Ecuador alla fine del 1999 con devastanti impatti sociali, e quindi alla crisi Argentina alla fine del 2001, ovvero il paese modello in assoluto del Fondo sotto la presidenza Menem, che collassa poco dopo. […]”*
E adesso, chi paga il conto?
In Europa, dopo il salvataggio di molti istituti di credito con fondi pubblici, sono ora gli Stati nazionali a soffrire forti crisi di indebitamento, le quali hanno, e continueranno ad avere in futuro, drammatiche ripercussioni sulla tenuta del welfare e sul tenore di vita delle popolazioni. Ma la vera questione riguarda, piuttosto, chi dovrà continuare a pagare tutti questi deficit: saranno le banche, le stesse che li hanno generati, oppure - come al solito - i lavoratori e i contribuenti degli Stati membri con i loro sacrifici? La risposta sembra fin troppo scontata.
Per nulla memori dei disastri economico-sociali già provocati in America latina a partire dagli anni 80, i governi della Vecchia Europa, tutti ancora devotissimi al neoliberismo, possono solo promettere ai loro cittadini riforme “lacrime e sangue”, in linea con la regola prima del capitalismo liberista: “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”.

Andrea Chile Necciai
Note: * “FMI e Banca mondiale, vent'anni di ricatti e disastri”, 10/10/2007, di Antonio Tricarico.