L’inferno delle maquilas
Flessibilità
e sfruttamento, ricette vecchie e nuove per salvare l’economia salvadoregna
San Salvador, novembre 2010.
L’industria
manifatturiera del Salvador segna il passo. La crisi economica mondiale ha duramente
colpito il settore tessile - quello delle maquiladoras
- che nel 2003, anno della sua massima espansione, poteva contare sulla
produzione in 230 stabilimenti, tutti ubicati nelle cosiddette “zone franche”. Solo
pochi anni dopo quelle stesse imprese si erano già dimezzate, in seguito alle
pesanti ristrutturazioni adottate dalle proprietà taiwanesi per far fronte alla
crisi.
In
realtà, a pagare il conto più salato sono stati - e continuano ad essere - i
lavoratori, nella stragrande maggioranza giovani donne, e cioè l’84% della
forza lavoro del settore. Da decenni sottoposte ad orari e a condizioni di
lavoro massacranti, in cambio di salari che si aggirano attorno ai 200 dollari
mensili, moltissime di loro non sono sfuggite alla falcidia dei licenziamenti
di massa: negli ultimi due anni si contano circa 25.000 operaie tessili espulse
dalle fabbriche.
Nelle
maquilas impera la legge della foresta.
I traguardi di produzione fissati dalle aziende richiedono ben più di 8 ore di
lavoro, cosicché le lavoratrici si devono dannare l’anima per raggiungerli se
vogliono almeno portare a casa i loro 162 dollari di salario minimo. Una paga misera,
e ben al di sotto dei livelli minimi di sussistenza.
In
più, al già magro trattamento economico si aggiungono altre forme di
umiliazione e di sfruttamento come il divieto di organizzarsi in sindacati, i
ricatti dei datori di lavoro, il mobbing
e i danni alla salute provocati dalle sostanze tossiche.
La
tendenza delle imprese tessili, diffusissime in Centroamerica, è sempre stata quella
di produrre più profitti riducendo progressivamente la mano d’opera. Alla fine
del 2007, per citare un esempio, nello stabilimento taiwanese Charter S.A., situato
nella Zona Franca Internazionale di Olocuilta, erano occupate 1.400 persone; attualmente
ne sono rimaste solo 370. Ciononostante la proprietà ha deciso comunque di
elevare il traguardo di produzione giornaliero da 935 a 2.500 pezzi,
costringendo il personale sotto organico a sopportare ritmi di lavoro impossibili.
L’estate
scorsa la CAMTEX,
l’associazione degli impresari delle maquiladoras,
ha addirittura proposto al Ministero del Lavoro di aumentare da 8 a 12 ore la giornata
lavorativa degli operai del settore tessile, “con l’obbiettivo di creare più
posti di lavoro”. In cambio i proprietari si impegnerebbero a ridurre i giorni
lavorativi da 5 a
3 e mezzo, alternandoli con altri 3,5 giorni di riposo settimanale.
Il
progetto confindustriale, motivato dall’urgenza di riformare il mercato del
lavoro con maggiori misure di flessibilità, ha lo scopo di migliorare
l’efficienza e la competitività delle industrie. Sul fronte contrario il Tavolo
Sindacale della Maquila, il maggiore sindacato del settore, si è opposto
fermamente riuscendo ad organizzare negli ultimi mesi numerose manifestazioni
di protesta.
La proposta di CAMTEX ha destato perplessità anche nel Procuratore per la Difesa dei Diritti Umani
(PDDH), Oscar Luna, che si è espresso in questi precisi termini: “la proposta
di modificare l’orario di lavoro agli operai delle maquilas non si accorda con le aspirazioni della popolazione
salvadoregna ad uno sviluppo economico e sociale basato sul più ampio rispetto
dei diritti e delle libertà fondamentali dei lavoratori”.
Una presa di posizione, quella di una delle cariche più importanti del
Salvador, senza dubbio molto coraggiosa se si considera che nella storia
recente del Centroamerica le confindustrie locali hanno
sempre imposto la loro avidità sfruttatrice, spadroneggiando sulle deboli
istituzioni statali come sui sindacati.
In attesa che anche il governo di Mauricio Funes si pronunci sulla questione
in forma più chiara e responsabile, a difesa dei diritti dei suoi cittadini il
Procuratore ha citato anche l’Articolo 161 del Codice del Lavoro, che ricorda “l’obbligo dello Stato di tutelare il diritto
di ogni lavoratore a godere di un trattamento giusto e soddisfacente, che possa
assicurargli adeguati periodi di riposo e di tempo libero nell’ottica di una
ragionevole limitazione delle ore di lavoro”.
Frattanto però, in barba a tutte le leggi a tutela dei diritti, nelle maquilas si continua impunemente ad
applicare una vecchia prassi: lo sfruttamento dei lavoratori.
Andrea Necciai
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