martedì 28 dicembre 2010

Politica: ruolo dei cattolici

Su La Stampa di oggi un interessante articolo di Gian Enrico Rusconi dal titolo: Le amnesie dei cattolici.
Mi sembra davvero degno di riflessione. Ve ne riporto un estratto.
ciao
beppe

I cattolici torneranno a condizionare direttamente la politica? Ma hanno forse mai smesso di contare nel berlusconismo in tutte le sue fasi: dal trionfo di ieri sino alla sua virtuale decomposizione? Dentro, fuori, contro. Grazie al berlusconismo hanno creato un consistente «pacchetto cattolico», con scritto sopra la perentoria frase «valori non negoziabili». Nel contempo hanno mantenuto aperti spazi giornalistici di franco dissenso.
[...] 
In questo contesto, Casini si presenta come l'uomo politico in grado di ricompattare l'intero segmento dei cattolici in politica, cominciando con il mettere al sicuro «il pacchetto cattolico» da un'ipotetica ripresa laica. E' questo ciò che sta a cuore alla gerarchia ecclesiastica.
Se questa operazione riesce, i cattolici continueranno a costituire una «lobby dei valori» (come se quegli degli altri fossero disvalori) senza riuscire ad essere una vera classe politica dirigente. Forse non se ne rendono neppure conto. Comincio a pensare che le ragioni di questa debolezza siano da ricercare anche nell'elaborazione religiosa di cui si sentono tanto sicuri. Cerco di spiegarmi - a costo di dire cose sgradevoli.

Non c'è bisogno di evocare «il ritorno della religione nell'età post-secolare» per constatare nel nostro Paese la forte presenza pubblica della religione-di-chiesa (cioè dell'espressione religiosa mediata esclusivamente dalle strutture della Chiesa cattolica). Ma la rilevanza pubblica della religione, forte sui temi «eticamente sensibili» (come si dice), è accompagnata da un sostanziale impaccio comunicativo nei contenuti teologici che tali temi dovrebbe fondare. O meglio, i contenuti teologici vengono citati solo se sono funzionali alle raccomandazioni morali. Siamo davanti ad una religione de-teologizzata, che cerca una compensazione in una nuova enfasi sulla «spiritualità». Ma questa si presenta con una fenomenologia molto fragile, che va dall'elaborazione tutta soggettiva di motivi religiosi tradizionali sino a terapie di benessere psichico. I contenuti di «verità» religiosa teologicamente forti e qualificanti - i concetti di rivelazione, salvezza, redenzione, peccato originale (per tacere di altri dogmi più complessi ) -, che nella loro formulazione dogmatica hanno condizionato intimamente lo sviluppo spirituale e intellettuale dell'Occidente cristiano, sono rimossi dal discorso pubblico. Per i credenti rimangono uno sfondo e un supporto «narrativo» e illustrativo, non già fondante della pratica rituale. La Natività che abbiamo appena celebrato è fondata sul dogma teologico di Cristo «vero Dio e vero uomo». Si tratta di una «verità» che ha profondamente inciso e formato generazioni di credenti per secoli. Oggi è ripetuta - sommersa in un clima di superficiale sentimentalismo - senza più la comprensione del senso di una verità che non è più mediabile nei modi del discorso pubblico.

Ricordo il commento di un illustre prelato davanti alla capanna di Betlemme: lì dentro - disse - c'era «la vera famiglia», sottintendendo che tali non erano le coppie di fatto e peggio omosessuali. Si tratta naturalmente di un convincimento che un pastore d'anime ha il diritto di sostenere, ma che in quella circostanza suonava come una banalizzazione dell'evento dell'incarnazione, che avrebbe meritato ben altro commento. Ma viene il dubbio che ciò che soprattutto preme oggi agli uomini di Chiesa nel loro discorso pubblico sia esclusivamente la difesa di quelli essi che chiamano «i valori» tout court, coincidenti con la tematica della «vita», della «famiglia naturale» e i problemi bioetici, quali sono intesi dalla dottrina ufficiale della Chiesa. Non altro. La crescita delle ineguaglianze sociali e della povertà, la fine della solidarietà in una società diventata brutale e cinica (nel momento in cui proclama enfaticamente le proprie «radici cristiane»), sollevano sempre meno scandalo e soprattutto non creano impegno militante paragonabile alla mobilitazione per i «valori non negoziabili».
Un altro esempio è dato dalla vigorosa battaglia pubblica condotta a favore del crocifisso nelle aule scolastiche e nei luoghi pubblici. Una battaglia fatta in nome del valore universale di un simbolo dell'Uomo giusto vittima dell'ingiustizia degli uomini. O icona della sofferenza umana. Di fatto però, a livello politico domestico il crocifisso è promosso soprattutto come segno dell'identità storico-culturale degli italiani. E presso molti leghisti diventa una minacciosa arma simbolica anti-islamica. In ogni caso, l'autentico significato teologico - traumatico e salvifico del Figlio di Dio crocifisso, oggetto di una fede che non è condivisa da altre visioni religiose, tanto meno in uno spazio pubblico - è passato sotto silenzio. I professionisti della religione non riescono più a comunicarlo. E i nostri politici sono semplicemente ignoranti.
Se i cattolici hanno l'ambizione di ridiventare diretti protagonisti della politica, dovrebbero riflettere più seriamente sul loro ruolo. Il discorso politico, soprattutto quando porta alla deliberazione legislativa, rimane e deve rimanere rigorosamente laico, nel senso che non può trasmettere contenuti religiosi. Ma nello «spazio pubblico», che è molto più ampio e può ospitare discorsi di ogni tipo, si deve misurare la maturità di un movimento di ispirazione religiosa che sa essere davvero universalistico nell'interpretare e nel gestire l'etica pubblica. Non semplicemente una lobby in difesa di quelli che in esclusiva proclama i propri valori.

domenica 26 dicembre 2010

Chomsky, manipolazione mediatica

**Le 10 Strategie di Manipolazione Mediatica**

Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media: attualissima e geolocalizzabile senza traslazioni anche (e direi soprattutto) in Italia..
Luca

1- La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3- La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

4- La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti...

7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. * “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori".

8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ...

9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10- Conoscere agli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su se stesso.

Fonte: http://www.visionesalternativas.com

martedì 21 dicembre 2010

Noi siamo Chiesa

Comunicato Stampa
NOI SIAMO CHIESA
Roma, 10 dicembre 2010

"Noi Siamo Chiesa" propone una svolta urgente nel rapporto tra Chiesa e politica

Il malsano rapporto tra i vertici della Chiesa e il governo non viene minimamente scalfito da una crisi politica, sociale e di credibilità senza precedenti. Bertone, Berlusconi, Crociata oltre a undici ministri e a nove cardinali si sono trovati in questi giorni a pranzo. Ruini ha ripreso a intervenire direttamente, secondo il suo costume, distribuendo a destra e a manca inviti ed ordini. Sono comportamenti che comunicano un messaggio chiaro. E' quello di un inciucio che incontra sempre maggiori perplessità e esplicite resistenze nella base cattolica e ostilità diretta in una vasta area dell'opinione pubblica. Questa emergenza è l'occasione per "Noi Siamo Chiesa" di esprimere alcuni propri punti di vista generali sulla situazione, partendo dalla sua collocazione interna alla Chiesa.. Come cristiani infatti non possiamo tacere chiudendoci nella poco evangelica autosufficienza dei nostri "eventi", della nostra stampa, delle nostre parrocchie o magari delle nostre preziose ma insufficienti iniziative di intervento sociale. "Noi Siamo Chiesa" già in passato si è sentita obbligata a criticare ripetutamente e aspramente il rapporto dei vertici della Chiesa e di una parte del mondo cattolico con la politica e con le istituzioni In questo momento ripetiamo quali sono, a nostro giudizio, queste pesanti responsabilità, che sono una delle cause non secondarie della crisi:
--- la del tutto insufficiente reazione alle culture dell'immagine, del successo, del denaro, dell'emarginazione del diverso che sono da vent'anni valori dominanti nella vita sociale e politica;
--- l'alleanza abbastanza esplicita, anche se mai chiaramente dichiarata e quindi ipocrita, con il governo in carica per ottenere contropartite in privilegi materiali di ogni genere, pagate con il silenzio su ogni tipo di
malgoverno, di carente moralità pubblica e di passività o di complicità nei confronti dei poteri criminali. Questo connubio è tanto più censurabile se lo si confronta con la sorda ostilità nei confronti del governo precedente;
--- l'irruente invadenza su temi cosiddetti "etici" per ottenere soluzioni legislative del tutto discutibili senza lasciarle alla mediazione democratica ed ignorando le opinioni contrarie, anche dal punto di vista teologico, sui c.d. "valori non negoziabili";
--- la sostanziale acquiescenza nei confronti della politica di riarmo in corso e della guerra in atto in Afghanistan (e prima in Iraq)

Queste posizioni hanno dimostrato un deficit di laicità nel rapporto con le istituzioni e una carente preoccupazione per la vita della nostra democrazia. Esse hanno contribuito da una parte a creare una cattiva cultura nell'opinione cattolica, dall'altra ad allontanare tanti da un rapporto con il messaggio dell'Evangelo perché sempre oscurato, anche grazie ai mass-media, dallo schermo deformante determinato dalle posizioni concrete del Vaticano e della CEI. E' ora necessaria una svolta da parte dei vertici ecclesiastici. Le difficili prossime settimane dovrebbero fornirne l'occasione, anche se i fatti di questi giorni non vanno in questa direzione. Ci facciamo interpreti di tanti nel mondo cattolico nel chiederla, nel pretenderla. Le preoccupazioni manifestate recentemente da alcuni vescovi devono essere l'occasione per avviare da subito un cambiamento che si fondi su una riflessione autocritica sul passato. E nel popolo di Dio alzino la voce quanti, in primis le associazioni, hanno subìto in questi anni, in modo silenzioso, le ingerenze scorrette, gli intrighi dietro le quinte nei rapporti con le forze politiche e le istituzioni; non tacciano quanti sono impegnati in azioni sociali efficaci a difesa dei più deboli, contro la criminalità, per la pace. Tutti chiedano che la Chiesa faccia un passo indietro dal pretendere sempre di più in risorse e leggi e sappia rapportarsi con la cultura "laica" non più sulla base della diffidenza o della aperta ostilità. Tutti pretendano che la Chiesa confermi, testimoni e divulghi la propria convinta adesione ai valori costituzionali, a partire dall'art. 11. Il problema vero non è quello della difesa del sistema ecclesiastico ma è quello di dare testimonianza credibile dell'Evangelo anche e soprattutto verso i cosiddetti "lontani". L'emergenza di oggi potrebbe essere provvidenziale nel proporre e nell'attivare durante la crisi un nuovo impegno di tutti i cattolici per maggiore solidarietà, maggiore laicità, maggiore speranza nel futuro.

NOI SIAMO CHIESA
Via N. Benino 3, 00122 Roma
Via Soperga 36, 20127 Milano
Tel. 3331309765 - 022664753
E-mail vi.bel@iol.it
Internet: www.noisiamochiesa.org

venerdì 17 dicembre 2010

B. si sapeva già tutto

Alcuni giorni fa Marco Travaglio ha riportato sul Fatto Quotidiano quanto scritto e detto da Indro Montanelli (non certo uomo di sinistra) su B. circa 10-15 anni fa

beppe

Nell'estate del 1994, la prima di B. al governo, Montanelli scrisse sulla Voce: "Oggi, per instaurare un regime, non c'è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul Palazzo d'Inverno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra di essi, sovrana e irresistibile, la televisione. Il risultato è scontato: il sudario di conformismo e di menzogne che, senza bisogno di leggi speciali, calerà su questo Paese riducendolo sempre più a una telenovela di borgatari e avviandolo a un risveglio in cui siamo ben contenti di sapere che non faremo in tempo a trovarci coinvolti".

Sette anni dopo, l'ultima volta che s'incontrarono in tv, nel 2001, Biagi gli chiese una previsione. E lui: "Berlusconi, se vince, governerà senza quadrate legioni, ma con molta corruzione" (il direttore di Rai1, Maurizio Beretta, censurò la frase e fece subito carriera in Confindustria).

giovedì 16 dicembre 2010

Saviano, lettera ai ragazzi del movimento

Magari vi metto anche il link..
http://www.repubblica.it/scuola/2010/12/16/news/lettera_saviano-10251124/?ref=HRER2-1
Paolo

Lettera ai ragazzi del movimento

di ROBERTO SAVIANO
CHI HA LANCIATO un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato contro i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto contro coloro che stavano manifestando per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica, nuove idee.
Ogni gesto violento è stato un voto di fiducia in più dato al governo Berlusconi. I caschi, le mazze, i veicoli bruciati, le sciarpe a coprire i visi: tutto questo non appartiene a chi sta cercando in ogni modo di mostrare un'altra Italia.
I passamontagna, i sampietrini, le vetrine che vanno in frantumi, sono le solite, vecchie reazioni insopportabili che nulla hanno a che fare con la molteplicità dei movimenti che sfilavano a Roma e in tutta Italia martedì. Poliziotti che si accaniscono in manipolo, sfogando su chi è inciampato rabbia, frustrazione e paura: è una scena che non deve più accadere. Poliziotti isolati sbattuti a terra e pestati da manipoli di violenti: è una scena che non deve più accadere. Se tutto si riduce alla solita guerra in strada, questo governo ha vinto ancora una volta. Ridurre tutto a scontro vuol dire permettere che la complessità di quelle manifestazioni e così le idee, le scelte, i progetti che ci sono dietro vengano raccontate ancora una volta con manganelli, fiamme, pietre e lacrimogeni. Bisognerà organizzarsi, e non permettere mai più che poche centinaia di idioti egemonizzino un corteo di migliaia e migliaia di persone. Pregiudicandolo, rovinandolo.

Scrivo questa lettera ai ragazzi, molti sono miei coetanei, che stanno occupando le università, che stanno manifestando nelle strade d'Italia. Alle persone che hanno in questi giorni fatto cortei pieni di vita, pacifici, democratici, pieni di vita. Mi si dirà: e la rabbia dove la metti? La rabbia di tutti i giorni dei precari, la rabbia di chi non arriva a fine mese e aspetta da vent'anni che qualcosa nella propria vita cambi, la rabbia di chi non vede un futuro. Beh quella rabbia, quella vera, è una caldaia piena che ti fa andare avanti, che ti tiene desto, che non ti fa fare stupidaggini ma ti spinge a fare cose serie, scelte importanti. Quei cinquanta o cento imbecilli che si sono tirati indietro altrettanti ingenui sfogando su un camioncino o con una sassaiola la loro rabbia, disperdono questa carica. La riducono a un calcio, al gioco per alcuni divertente di poter distruggere la città coperti da una sciarpa che li rende irriconoscibili e piagnucolando quando vengono fermati, implorando di chiamare a casa la madre e chiedendo subito scusa.
Così inizia la nuova strategia della tensione, che è sempre la stessa: com'è possibile non riconoscerla? Com'è possibile non riconoscerne le premesse, sempre uguali? Quegli incappucciati sono i primi nemici da isolare. Il "blocco nero" o come diavolo vengono chiamati questi ultrà del caos è il pompiere del movimento. Calzano il passamontagna, si sentono tanto il Subcomandante Marcos, terrorizzano gli altri studenti, che in piazza Venezia urlavano di smetterla, di fermarsi, e trasformano in uno scontro tra manganelli quello che invece è uno scontro tra idee, forze sociali, progetti le cui scintille non devono incendiare macchine ma coscienze, molto più pericolose di una torre di fumo che un estintore spegne in qualche secondo.
Questo governo in difficoltà cercherà con ogni mezzo di delegittimare chi scende in strada, cercherà di terrorizzare gli adolescenti e le loro famiglie col messaggio chiaro: mandateli in piazza e vi torneranno pesti di sangue e violenti. Ma agli imbecilli col casco e le mazze tutto questo non importa. Finito il videogame a casa, continuano a giocarci per strada. Ma non è affatto difficile bruciare una camionetta che poliziotti, carabinieri e finanzieri lasciano come esca su cui far sfogare chi si mostra duro e violento in strada, e delatore debole in caserma dove dopo dieci minuti svela i nomi di tutti i suoi compari. Gli infiltrati ci sono sempre, da quando il primo operaio ha deciso di sfilare. E da sempre possono avere gioco solo se hanno seguito. E' su questo che vorrei dare l'allarme. Non deve mai più accadere.

Adesso parte la caccia alle streghe; ci sarà la volontà di mostrare che chi sfila è violento. Ci sarà la precisa strategia di evitare che ci si possa riunire ed esprimere liberamente delle opinioni. E tutto sarà peggiore per un po', per poi tornare a com'era, a come è sempre stato. L'idea di un'Italia diversa, invece, ci appartiene e ci unisce. C'era allegria nei ragazzi che avevano avuto l'idea dei Book Block, i libri come difesa, che vogliono dire crescita, presa di coscienza. Vogliono dire che le parole sono lì a difenderci, che tutto parte dai libri, dalla scuola, dall'istruzione. I ragazzi delle università, le nuove generazioni di precari, nulla hanno a che vedere con i codardi incappucciati che credono che sfasciare un bancomat sia affrontare il capitalismo. Anche dalle istituzioni di polizia in piazza bisogna pretendere che non accadano mai più tragedie come a Genova. Ogni spezzone di corteo caricato senza motivazione genera simpatia verso chi con casco e mazze è lì per sfondare vetrine. Bisogna fare in modo che in piazza ci siamo uomini fidati che abbiano autorità sui gruppetti di poliziotti, che spesso in queste situazioni fanno le loro battaglie personali, sfogano frustrazioni e rabbia repressa. Cercare in tutti i modi di non innescare il gioco terribile e per troppi divertente della guerriglia urbana, delle due fazioni contrapposte, del ne resterà in piedi uno solo.
Noi, e mi ci metto anche io fosse solo per età e per  -  Dio solo sa la voglia di poter tornare a manifestare un giorno contro tutto quello che sta accadendo  -  abbiamo i nostri corpi, le nostre parole, i colori, le bandiere. Nuove: non i vecchi slogan, non i soliti camion con i vecchi militanti che urlano vecchi slogan, vecchie canzoni, vecchie direttive che ancora chiamano "parole d'ordine". Questa era la storia sconfitta degli autonomi, una storia passata per fortuna. Non bisogna più cadere in trappola. Bisognerà organizzarsi, allontanare i violenti. Bisognerebbe smettere di indossare caschi. La testa serve per pensare, non per fare l'ariete. I book block mi sembrano una risposta meravigliosa a chi in tuta nera si dice anarchico senza sapere cos'è l'anarchismo neanche lontanamente. Non copritevi, lasciatelo fare agli altri: sfilate con la luce in faccia e la schiena dritta. Si nasconde chi ha vergogna di quello che sta facendo, chi non è in grado di vedere il proprio futuro e non difende il proprio diritto allo studio, alla ricerca, al lavoro. Ma chi manifesta non si vergogna e non si nasconde, anzi fa l'esatto contrario. E se le camionette bloccano la strada prima del Parlamento? Ci si ferma lì, perché le parole stanno arrivando in tutto il mondo, perché si manifesta per mostrare al Paese, a chi magari è a casa, ai balconi, dietro le persiane che ci sono diritti da difendere, che c'è chi li difende anche per loro, che c'è chi garantisce che tutto si svolgerà in maniera civile, pacifica e democratica perché è questa l'Italia che si vuole costruire, perché è per questo che si sta manifestando. Non certo lanciare un uovo sulla porta del Parlamento muta le cose.
Tutto questo è molto più che bruciare una camionetta. Accende luci, luci su tutte le ombre di questo paese. Questa è l'unica battaglia che non possiamo perdere.

________________________________________


ed ecco alcune risposte alla lettera di Saviano apparsa su Repubblica.it il il 16 dicembre 2010 http://www.repubblica.it/scuola/2010/12/16/news/lettera_saviano-10251124/

Il Telepredicatore (Valerio Evangelisti) http://www.infoaut.org/articolo/il-telepredicatore

A proposito di cortei e buoni maestri (Sandrone Dazieri)
http://www.precaria.org/caro-saviano.html

Lettera a Roberto Saviano (Femminismo a Sud)
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/12/16/lettera-a-roberto-saviano/

14 dicembre 2010. L'attacco al palazzo, d'inverno (Paola De Luca) http://www.carmillaonline.com/archives/2010/12/003718.html#003718

Caro Saviano, senza rancore!
Ketty
__________________________________________

Tredici modi non violenti per manifestare contro la Gelmini

Di anacleto mitraglia, da indy napoli
 
Avendo preso in seria considerazione le riflessioni espresse da Roberto Saviano sul pericolo di degenerazione delle proteste contro la legge Gelmini, ho pensato di proporre agli studenti alcuni metodi non violenti di sicuro effetto per contestare l’approvazione del provvedimento.
1) Il girotondo temporale
Circondando la zona rossa nel centro di Roma con una catena umana di migliaia di manifestanti ed iniziando un girotondo in senso contrario all’asse di rotazione terrestre, è possibile riportare indietro nel tempo le leggi sulla pubblica istruzione. Il problema è quando fermarsi, perché nel troppo entusiasmo si rischia di tornare a prima della legge Casati, con ovvi effetti negativi sul fronte del diritto allo studio.

2) La negazione ontologica
E’ il metodo più radicale di contrapposizione politica, che spinge all’estremo la negazione dell’esistente: occorre negare non solo ogni valore ma anche ogni consistenza ontologica alla legge Gelmini, all’attuale governo ed al sistema capitalista nel suo insieme, fino a convincersi che essi semplicemente non esistono. Malgrado sia tacciato di estremismo inconcludente, il metodo è stato adottato nella sua versione positiva (affermazione ontologica) anche dal Partito Democratico, che da tempo sostiene contro ogni evidenza di esistere ed essere di sinistra.
3) Lo specchietto per le allodole
Prendendo spunto dai noti episodi di Roma, occorre arrivare quanto più possibile vicino al Parlamento ed urlare a squarciagola di fronte ai poliziotti schierati “sono una minorenne, sono una minorenne”; c’è la forte possibilità che il presidente del Consiglio, sentite queste parole, non resista alla tentazione di venire a dare un’occhiata, interrompendo le votazioni ed esponendosi alla giusta ira dei manifestanti.
4) Quel mazzolin di fiori
Arrivare a Roma con un carico di diecimila profumatissime gardenie da donare ai poliziotti che circondano la zona rossa, attirandosi così la benevolenza dell’opinione pubblica progressista; dopodiché, liberare uno sciame di centomila calabroni affamati, lasciando a loro il compito di liberare le strade di accesso al Parlamento.
5) La società dello spettacolo
Acquistare trecentomila copie di Gomorra, da bruciare o recitare in piazza a seconda che si condividano o meno le recenti posizioni dell’autore (metodo suggerito dall’Ufficio Reminders della Mondadori).
6) De te fabula narratur
Contrapporre alla Narrazione del Potere una Narrazione di insussumibile alterità al Codice Dominante, che sappia ricomporre la radicalità dell’Essere sociale così come espresso dall’azione Biopolitica della Moltitudine in un immaginario vittorioso di Eversione dell’Esistente. Nessuno sa cosa significa ma scatenerà nelle assemblee e sui media di Movimento un furioso dibattito che farà dimenticare a tutti cos’è la Gelmini e perché bisognava bloccarla.
7) Le Trombe di Gerico
Accatastare di fronte alle barriere della zona rossa tutti i sound system delle situazioni occupate italiane, aprendo un bombardamento sonoro di un trilione di watt a base di techno, ska, reggae, rap estremo, etc.; anche se non crolla Montecitorio e rimane qualche celerino in piedi, sarà difficile che le operazioni di voto possano procedere secondo programma.
8) Il ricatto
Appartarsi in un posto telefonico isolato con una scorta di schede telefoniche e chiamare al cellulare tutti i parlamentari, sussurrando al microfono “la troia ha parlato, so tutto di quell’affare e se ti azzardi a votare la Gelmini spedisco foto e documenti ai giornali, poi sono cazzi tuoi”, quindi buttare giù; la percentuale di successo, dati la qualità dei parlamentari e l’attuale consistenza della maggioranza, sono discretamente alte.
9) Il nostro agente all’Avana
Dividersi in gruppi di due-tre persone e presentarsi ai varchi della zona rossa brandendo una tessera dell’Atac e un santino con la faccia di Cossiga, grugnendo “sono un collega in borghese, devo portare questo stronzetto teppista in caserma per fargli il terzo grado”; dopodiché sgattaiolare dentro e filarsela per ritrovarsi tutti sotto Montecitorio a protestare.
10) Protesta globale
Seguendo le leggi della complessità ed il principio del “pensare globale, agire locale”, è stato ipotizzato che la dispersione di cinquecentomila macaoni in Tasmania dovrebbe creare a Roma una potente tromba d’aria che si porterebbe via Montecitorio, palazzo Madama e palazzo Chigi; data l’estrema complessità delle simulazioni metereologiche su base stocastica, c’è una forte probabilità che il tentativo fallisca e si scateni un altro nubifragio sul Veneto. Ma in tal caso, oltre ad aver rotto simpaticamente i coglioni alla Lega, si sarà fornito un lieto diversivo estetico agli aborigeni australiani.
11) N.I.M.B.Y.
Organizzare a Roma una manifestazione di un milione di persone, che però passano prima per Napoli e si prendono un sacchetto di spazzatura da deporre per protesta davanti alla zona rossa; anche se non ferma la Gelmini, questa opzione ci leva dalle palle un poco di immondizia (metodo suggerito da alcuni compagni napoletani con tendenze opportuniste).
12) Bleat Block
Detto anche “fronte del piagnisteo”, il Bleat Block agisce piazzandosi in massa davanti agli schieramenti di polizia e salmodiando a squarciagola slogans che, a seconda dell’orientamento politico dei manifestanti, possono ispirarsi alla Bibbia, alla Costituzione o a Mao Tse Tung; si va quindi da “siamo tutti fratelli, anche voi poliziotti siete sfruttati” a “ogni cittadino ha diritto alla libera espressione del suo pensiero” fino a “coi Maestri vinceremo, costruiamo un governo di Fronte popolare”. Malgrado la sua apparente pacificità, il Bleat Block è quello che maggiormente rischia di far degenerare le manifestazioni, perché è difficile che di fronte ad una tale geremiade di cazzate qualche pulotto non perda la tesa e parta una pericolosa carica di silenziamento.
13) La numero tredici
E’ l’unica praticabile e quella con più possibilità di riuscita; purtroppo nessuno la conosce, perché ognuna delle milioni di persone che vorrebbero cambiare questa baracca ne possiede solo un pezzetto e non c’è verso di metterle tutte insieme per decifrare il messaggio. Inoltre la sinistra istituzionale si oppone al suo utilizzo perché sostiene che il tredici porta sfiga..

Satira: ridere per non cadere in depressione

Dal sito www.spinoza.it
Beppe

Camera con Visa
Mozione di sfiducia: 314 "No" e 311 "Oh, cazzo".
(Berlusconi è sceso così in basso che è riuscito a non cadere)
Berlusconi ottiene la fiducia con 314 voti. Voi invece come spenderete la vostra tredicesima?
(Messaggio a tutte le minorenni: in questi giorni non uscite assolutamente. In qualche modo vorrà sicuramente festeggiare)
(Questo voto di fiducia è stato talmente sconcio che i diplomatici americani riferiranno direttamente a Wikileaks)
Dopo il voto Berlusconi va da Napolitano. A versare la caparra.
Roma a ferro e fuoco. Berlusconi ottiene la fiducia, ma per errore lancia lo stesso il piano B.
Calderoli: "Il governo mangerà il panettone, ma non la colomba". E che cazzo l'avete comprata a fare?
"L'unica igiene è il voto" ha detto Bossi, chiedendo con urgenza una scheda.
Gasparri alza il dito medio verso Fini. Se lo era segnato col pennarello.

lunedì 13 dicembre 2010

B. DAY

Erano alcuni giorni che volevo scrivere qualcosa sull'attuale situazione politica, dal momento che B. ancora una volta la farà franca. Ha avuto tutto il tempo per organizzarsi e per definire il budget da spendere. Vincerà lui e Fini perderà, perchè la vera battaglia è fra loro due. Il problema non è chi vincerà questa battaglia o che verosimilmente non sarà comunque in grado di governare con pochi voti di vantaggio, ma soprattutto che sono mesi che nessuno si occupa dei nostri problemi, nessuno che si occupi della gestione dello stato, tutti direttamente o indirettamente occupati degli affari e sugli affari personali di B. La tragedia non è la fine di B., che prima o poi sarà inevitabile (anche il precedente B. è finito), ma che alla nostra generazione è stata negata la speranza e un progetto e recuperare questi 20 anni sarà veramente difficile. In compenso sarà stato concesso a B. di salvarsi dalla giustizia terrena e aver arricchito ulteriormente il suo patrimonio. Anche la Lega si accorgerà troppo tardi di aver venduto l'anima al diavolo, così come tutti quelli che lo hanno seguito e sostenuto. Ho letto oggi un articolo di Luca Ricolfi su La Stampa, che condivido nella sua spietata analisi. Come semplici cittadini, visto che non è obbligatorio entrare in politica, siamo comunque chiamati a fareformazione e ad informare (in questo modo avremo fatto politica). Per cui, chi vuole diventare informatore, oltre questo blog, o vuole fare delle proposte, lo faccia. Dico questo per non esprimere solo lamentazioni, ma provare a costruire una maggiore attenzione verso quello che, in sordina, sta accadendo.
ciao
beppe

13/12/2010 LA STAMPA
Il palazzo degli incredibili
LUCA RICOLFI

C'è qualcosa di surreale nel dibattito di questi mesi in Italia. Se provate a fare una statistica delle parole più ripetute da giornali e televisioni troverete che sono parole come Berlusconi, Fini, Bocchino, Fli, fiducia, sfiducia, maggioranza, voto. Da mesi l'Italia è appesa a un malsano sentimento di sospensione, di incertezza, di attesa. Prima l'attesa per il discorso di Fini a Mirabello (5 settembre), poi quella per il discorso di Berlusconi in parlamento (voto di fiducia del 29 settembre), poi quella per il discorso di Fini a Bastia Umbra (7 novembre), infine quella per il discorso che Berlusconi terrà domani, seguito dal doppio voto di fiducia (al Senato) e di sfiducia (alla Camera). In mezzo le esternazioni di Bersani, di Casini, di Bocchino, le decine e decine di interviste dei leader minori, per non parlare delle penose conferenze stampa dei parlamentari in procinto di cambiare bandiera.
E tutto questo per che cosa? Per un voto che, comunque vada, servirà solo a decidere una manche della partita a tennis che Berlusconi e Fini da due anni stanno giocando sulla pelle di tutti noi. Vista dall'esterno, ad esempio da un qualsiasi Paese europeo, è una situazione ridicola, per non dire tragica.
Mentre il mondo vive una delle più drammatiche crisi dei rapporti internazionali dai tempi della caduta del Muro di Berlino, mentre le economie avanzate si trovano di fronte a rischi immensi (da una stagnazione di anni, fino al crollo dell'euro e del dollaro), mentre gli esperti si dividono sulle migliori terapie da adottare, noi - e dicendo noi parlo innanzitutto dell'informazione - perdiamo ancora del tempo e dell'attenzione a interpretare una frase di Bocchino, a decodificare una battuta di Bossi, a indovinare le intenzioni di un parlamentare «corteggiato» (per non dire altro). Un doppio provincialismo attanaglia il discorso pubblico: siamo provinciali
perché parliamo sempre e solo dell'Italia, ma siamo provinciali anche perché, con gli immensi problemi economico-sociali che l'Italia ha di fronte, con le enormi difficoltà che ci attendono, permettiamo al
nostro ceto politico di baloccarsi nei suoi giochi di palazzo, nelle sue vanità, nelle sue miserevoli rivalità personali, senza mai metterlo di fronte alle sue responsabilità vere. Che non sono di salvare un governo, o di costituirne uno nuovo, ma di offrire soluzioni credibili. Possibilmente più credibili di quelle che l'attuale governo ha fornito fin qui. A me non pare che i protagonisti dell'attuale tempesta in un bicchier d'acqua parlamentare lo stiano facendo. Non mi pare che siano minimamente credibili.
Non è credibile Berlusconi, che si è permesso il lusso di governare mediocremente in una situazione che avrebbe richiesto ben altre priorità (quanto tempo è stato dissipato sui problemi giudiziari del premier?) e ben altro coraggio (come si può pensare di combattere gli sprechi con i tagli lineari?).
Non è credibile Fini, la cui giusta battaglia per una destra moderna (e normale) è compromessa dai modi in cui viene combattuta e dai soggetti che la conducono. Agli osservatori non accecati dalla passione politica è fin troppo evidente che la scoperta dei limiti del berlusconismo è tardiva, strumentale e insincera. E ancor più evidente è la scorrettezza di combattere una rancorosa guerra politico-personale dalla posizione di presidente della Camera, una scorrettezza istituzionale che le opposizioni non stigmatizzano solo perché, in questa fase, fa loro gioco.
Ma non è credibile, purtroppo, neppure Bersani. Il quale ha perfettamente ragione quando dice che, con i mercati finanziari in agguato, con gli enormi problemi del nostro debito pubblico, non possiamo permetterci di andare alle urne ora. Ma dimentica di aggiungere che, altrettanto se non più pericolosa per la stabilità dell'economia, è la prospettiva su cui l'opposizione di sinistra mostra di giocare le sue carte: quella dell'apertura di una «fase nuova», una stagione di negoziati e manovre politiche il cui sbocco sembra essere un governo degli sconfitti alle ultime elezioni, pudicamente battezzato «governo di responsabilità istituzionale».
Non sono fra quanti assumono che siamo ormai fuori dal regime parlamentare, e che quindi la caduta di un governo implichi automaticamente il ritorno alle urne. Su questo la penso come Giovanni Sartori: la flessibilità dei regimi parlamentari, in virtù della quale, caduta una maggioranza, si può tentare di costituirne un'altra, non è un difetto ma semmai un pregio di tali regimi. Però est modus in rebus. Un conto è ritoccare una maggioranza, un conto è capovolgerla.
E, anche ammesso che si voglia e si possa varare un governo degli sconfitti, il punto essenziale è uno solo: un governo per fare cosa? E' qui che l'opposizione rivela tutta la sua inconsistenza. Non solo perché è divisa persino sulla legge elettorale (l'unico suo vero cavallo di battaglia), ma perché nessuno ha finora prodotto risposte convincenti alle domande fondamentali. Ad esempio: sulla politica economico-sociale seguireste le idee di Ichino o quelle di Vendola? Quelle dell'ala riformista del Pd o quelle della Cgil? Ancora più sacrifici per ridurre le tasse sui produttori, o più spesa per salvare l'università, la ricerca, la cultura? Un federalismo più responsabile o più solidale? E soprattutto, visto che la torta non cresce più, dove trovare i quattrini di cui c'è bisogno? Né basta rispondere con le solite formule: riduzione dei costi della politica, contrasto all'evasione fiscale, lotta alle rendite. Su quei versanti le risorse ulteriori che si possono reperire in tempi brevi sono molto scarse (costi della politica), o sono già contabilizzate fin troppo ottimisticamente nella manovra finanziaria (evasione fiscale), o sono armi a doppio taglio (che ne sarebbe delle aste sui titoli di Stato se, in questo frangente, l'Italia decidesse di tassarli di più?). Sono convinto anch'io che ci voglia una nuova agenda economica, e che il prudente attendismo di Tremonti non basti più. Ma il punto è che chiunque aspiri a guidare una nuova politica economica e sociale non può cavarsela con formule propagandistiche.
Perché il primo problema di qualsiasi governo europeo in questa fase non è di convincere i propri cittadini, ma di convincere anche i mercati. La mia impressione è che molti critici di Tremonti semplicemente non si rendano conto degli ordini di grandezza in gioco: mentre si discute di alcune centinaia di milioni in più o in meno a qualche ente locale o ministero o istituzione, non ci si rende conto che un aumento anche di un solo punto del costo del nostro debito pubblico ci può presentare, di colpo, un conto da 18 miliardi di euro
all'anno, una somma pari ad una Finanziaria e 50-100 volte superiore alle cifre di cui con tanto accanimento si parla e si negozia in questa stagione di tagli.
Per questo la vacuità dell'opposizione è un problema per l'Italia. Se cacciare Berlusconi, o «aprire una nuova fase», bastasse per avviarci a una soluzione dei nostri problemi, non troveremmo nulla di preoccupante nella deriva identitaria del Pd, nel tentativo di Bersani di «scaldare i cuori» più e meglio di Nichi Vendola. Ma purtroppo non è così. Il rischio non è che Berlusconi resti in sella, visto che al suo disarcionamento stanno già lavorando il tempo, la (non infinita) pazienza degli italiani, nonché la sua attitudine ad «autoribaltarsi», come causticamente ha fatto notare Bersani. Il rischio vero è che, nel momento in cui Berlusconi sarà costretto a farsi da parte, non ci sia nessuno abbastanza credibile, e abbastanza ferrato, da saper portare la nave dell'Italia al riparo dalla tempesta che l'attende.

sabato 4 dicembre 2010

Alex Zanotelli: mobilitiamoci, questo è l'anno dell'acqua!

Ri-pubblico l'esortazione/appello che Padre Alex Zanotelli, già direttore di Nigrizia e Mosaico di Pace, fondatore della Rete Liliput, poi ancora missionario in Kenya ed oggi al Rione Sanità, ha scritto all'inizio di quest'anno su "sorella acqua"..
Luca

Questo è l’anno dell’acqua, l’anno in cui noi italiani dobbiamo decidere se l’acqua sarà merce o diritto fondamentale umano. Il 19 novembre 2009, il governo Berlusconi ha votato la legge Ronchi, che privatizza i rubinetti d’Italia. E’ la sconfitta della politica, è la vittoria dei potentati economico-finanziari. E’ la vittoria del mercato, la mercificazione della «creatura» più sacra che abbiamo: «sorella acqua». Questo decreto sarà pagato a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese, che, per l’aumento delle tariffe, troveranno sempre più difficile pagare le bollette dell’acqua [avremo così cittadini di serie A e di serie B!]. Ma soprattutto, la privatizzazione dell’acqua sarà pagata dai poveri del Sud del mondo con milioni di morti di sete. Per me è criminale affidare alle multinazionali il bene più prezioso dell’umanità [«l’oro blu»], bene che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici  sia per l’incremento demografico.
L’acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestito dai Comuni a totale capitale pubblico, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione per tutti al costo più basso possibile. Purtroppo il nostro governo, con la legge Ronchi, ha scelto un’altra strada, quella della mercificazione dell’acqua. Ma sono convinto che la vittoria dei potentati economico-finanziari si trasformerà in un boomerang.
E’ già oggi notevole la reazione popolare contro questa decisione immorale. Questi anni di impegno e di sensibilizzazione sull’acqua, mi inducono ad affermare che abbiamo ottenuto in Italia una vittoria culturale, che ora deve diventare politica. Ecco perché il Forum italiano dei Movimenti per l’acqua pubblica lancia ora il Referendum abrogativo della Legge Ronchi, che ha raccolto, fra aprile e luglio 2010, le necessarie firme. Non sarà un referendum solo abrogativo, ma una vera e propria consultazione popolare su un tema molto chiaro: o la privatizzazione dell’acqua o il suo affidamento ad un soggetto di diritto pubblico.
Nel frattempo chiediamo a tutti di costituirsi in gruppi e comitati in difesa dell’acqua, che siano poi capaci di coordinarsi a livello provinciale e regionale. E’ la difesa del bene più prezioso che abbiamo [aria e acqua sono i due elementi essenziali per la vita!]. Chiediamo a tutti i gruppi e comitati di fare pressione prima di tutto sui propri Comuni affinché convochino consigli monotematici per dichiarare che l’acqua è un bene di non rilevanza economica. Questo apre la possibilità di affidare la gestione dell’acqua ad un soggetto di diritto pubblico. Abbiamo bisogno che migliaia di Comuni si esprimano. Potrebbe essere questo un altro referendum popolare propositivo. Solo un grande movimento popolare trasversale potrà regalarci una grande vittoria per il bene comune. Sull’acqua ci giochiamo tutto, anche la nostra democrazia. Dobbiamo e possiamo vincere. Ce l’ha fatta Parigi [la patria delle grandi multinazionali dell’acqua, Veolia, Ondeo, Saur che stanno mettendo le mani sull’acqua italiana] a ritornare alla gestione pubblica. Ce la possiamo fare anche noi. Mobilitiamoci! E’ l’anno dell’acqua!

venerdì 3 dicembre 2010

International Water Messengers Days

COMUNICATO STAMPA
WATER FOR ME, WATER FOR YOU, WATER FOR EVERYONE
Con questo messaggio si sono conclusi venerdì a Bruxelles gli “International Water Messengers Days”.  I messaggi dei ragazzi di 6 delegazioni europee, verranno inseriti in una risoluzione sul riconoscimento del diritto all’acqua per tutti e la sua gestione pubblica, proposta da 5 europarlamentari. Il prossimo passo del percorso dei giovani Portatori d’acqua sarà il World Water Forum di Marsiglia 2012
Luca
Roma, 29 novembre 2010 – “Water for me, water for you, water for everyone”. È questo uno dei messaggi che oltre 2000 ragazzi provenienti da diversi paesi europei hanno lanciato nel cielo di Bruxelles, a conclusione degli “International Water Messengers Days” che si sono svolti nella città belga dal 24 al 26 novembre 2010. Nella giornata conclusiva, i “Messaggeri dell’acqua” hanno presentato ai parlamentari europei e alle istituzioni presenti, le richieste da loro elaborate durante laboratori, workshop e gli scambi di esperienze dei giorni precedenti. “Stiamo pensando all’oggi senza considerare il domani – hanno sottolineato – e allo stesso tempo siamo consapevoli che troppe persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile per tanti motivi, come l’inquinamento, la mancanza di diritti, il fatto che l’acqua viene considerata dalle istituzioni un bene economico da vendere sul mercato e che ancora non esistono politiche internazionali efficaci che riconoscano l’acqua diritto umano e bene comune. Per questo affermiamo con forza che l’acqua è per tutti e non per il profitto, che è arrivato il tempo di usare l’acqua e non di abusarne e di liberarla dalle logiche del mercato!”.
“La nostra generazione – hanno inoltre affermato i ragazzi – non può ignorare il problema dei cambiamenti climatici in atto e di come questi influiscano sull’accesso all’acqua e sulla sua qualità. Noi siamo giovani provenienti da tutta Europa, e vogliamo cambiare i nostri stili di vita per assicurare un futuro alle prossime generazioni. Chiediamo al Parlamento europeo di aiutarci a portare avanti questo proposito”. I ragazzi hanno chiesto un impegno forte a proteggere la qualità di fiumi, laghi e mari, affinché l’acqua non venga contaminata, perché essi non sono solo contenitori di acqua, ma habitat di vita. L’accento è stato posto anche sulla necessità di aumentare i fondi a disposizione della cooperazione, sottolineando la stretta relazione esistente tra povertà e mancato accesso all’acqua e come questa dovrebbe essere diritto umano anche per le popolazioni impoverite del sud del mondo. “L’acqua è vita, per questo vogliamo impegnarci ad usarla correttamente, riciclandola, cambiando gli stili di vita e utilizzare l’acqua del rubinetto per bere, insegnando alle altre persone che è possibile fare della risorsa idrica un uso più corretto e responsabile”. Durante questa giornata, una delegazione di ragazzi ha partecipato all’incontro dello Ierpe su “Acqua e città”, portando le proprie proposte, sottolineando la necessità di una maggiore cooperazione tra politica e cittadini rispetto alla tematica dell’acqua, che si traduca in una maggiore partecipazione e governo collettivi sia a livello locale sia nazionale e internazionale.
 “Con i messaggi e le richieste fatte ai parlamentari, ma soprattutto con il loro entusiasmo e la loro voglia di essere cittadini attivi e responsabili – ha sottolineato Raffaella Cavallo (CeVI) –  i ragazzi hanno dimostrato di volersi impegnare per migliorare il proprio futuro e hanno messo in luce la loro capacità di dialogare con le istituzioni per promuovere e diffondere il diritto all’acqua per tutti”. I parlamentari non sono rimasti insensibili alle richieste dei ragazzi: il rappresentante dell’europarlamentare belga Bart Staes si è impegnato a fare arrivare i messaggi dei Portatori d’acqua al Parlamento europeo, e ad inserirli in una risoluzione proposta da 5 europarlamentari di diverse nazionalità, tra cui 2 italiani, che tratterà del riconoscimento del diritto umano all’acqua, la protezione della risorsa idrica e la sua gestione pubblica. 
“Vogliamo proseguire questo cammino di dialogo e partecipazione attiva dei giovani alle politiche sull’acqua – continua Raffaella Cavallo – cercando di replicare il modello dello Scheldt Youth Parliament. Un Parlamento composto da giovani tra i 15 e i 23 anni che vivono o studiano nel bacino dello Scheldt tra Francia, Belgio e Olanda e partecipano attivamente alle riunioni del Parlamento europeo sull’acqua, portando le loro proposte ed elaborando progetti sulla qualità dell’acqua, la biodiversità e la sostenibilità. Non vogliamo e non possiamo fermarci qui, ma pianificare un percorso che porti una delegazione di questi giovani al World Water Forum di Marsiglia 2012”.
L’evento è stato organizzato dalla Campagna "Portatori d'Acqua" a conclusione di tre anni di azione e impegno a difesa dell'acqua, all’'interno del progetto internazionale “WATER - Water Access Through Empowerment of Rights” (ACQUA – Accesso all’'acqua attraverso la promozione dei diritti), il cui obiettivo generale è quello di inserire il riconoscimento del diritto all’'acqua per tutti i cittadini, soprattutto dei paesi del Sud del mondo, nei quadri normativi e nell’'organizzazione dei servizi per l’'accesso all’'acqua. La Campagna è promossa da un consorzio di Ong e associazioni  europee - Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull’Acqua, Cevi, Solidarietà e Cooperazione Cipsi, Cospe, Legambiente e altre Ong europee (CERAI - Spagna; Humanitas – Slovenia; France Libertés – France; GREEN– Belgium; KE.S.S.A. Dimitra – Greece; TNI - Olanda).
Per guardare la galleria fotografica dell'evento clicca qui
Per informazioni: CeVI -  Udine - Raffaella Cavallo, tel. 0432 548886, eas@cevi.coop e Green Bruxelles - Sophie Clesse, s.clesse@greenbelgium.org
Con il supporto dell’'Unione Europea nell’'ambito del progetto:
“WATER - Water Access Through Empowerment of Rights” (ONG-ED/2007/136-066).
  cipsi | Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale

mercoledì 1 dicembre 2010

La sofferenza dei gay cristiani

«I nostri obiettivi sono chiari: da un lato mettere a disposizione un luogo accogliente dove una persona omosessuale cristiana possa fare un percorso di riconciliazione tra la propria Fede e la propria omoaffettività, percorso che, ahimé, solo gruppi come il nostro offrono in questo momento; dall’altro dialogare con le comunità cristiane, parrocchiali e non, per fornire spunti di comprensione sull’accoglienza delle persone omosessuali». Questo è la missione di Nuova Proposta, “donne e uomini omosessuali cristiani”, riassunta nelle parole di Andrea Rubera, il suo presidente. L’associazione ha da poco compiuto “i suoi primi venti anni” e Andrea l’anno prossimo festeggerà 25 anni di vita insieme a suo marito, Dario, con il quale si è sposato il 9 dicembre scorso in Canada.
Luca

Le recenti dichiarazioni del Papa contenute nell’ultimo libro intervista non contengono nessun elemento di novità. Ma forse qualche commento vuoi farlo comunque: trovi delle differenze rispetto al passato? Leggendo le anticipazioni, soprattutto quelle che escludono le persone gay dal disegno divino, a chi è andato il vostro primo pensiero?
Il mio personale primo pensiero è andato alle ragazze e ai ragazzi omosessuali credenti che hanno ascoltato queste parole e che sono purtroppo ancora oggi in una situazione di totale isolamento e vivono in solitudine il loro tentativo di coniugare due aspetti fondamentali dell’esistenza, che costituiscono altrettanti mattoni fondamentali dell’identità: la Fede e l’orientamento affettivo. Penso a cosa possono avere provato nel sentire definire la loro esistenza “moralmente ingiusta” e alla ferita profonda che si può essere generata. Mi sono rivisto nella sofferenza che ho provato io da adolescente nel prendere coscienza della mia omosessualità e nel non trovare alcun appiglio per orientare in maniera pacificata questo conflitto. Troppo spesso, infatti, e anche questa volta,  parlando di omosessualità lo si fa ragionando per categorie astratte, legate all’etica e alla morale cattolica, e nel farlo si tralascia l’effetto che queste stesse parole hanno sulle persone che ne sono destinatarie, soprattutto gli adolescenti. Nella maggior parte dei casi si gettano questi ragazzi nella disperazione perché vedono bollata con una lettera scarlatta indelebile la loro esistenza. Nella parole del Papa sull’omosessualità, purtroppo non vedo molta novità… Si continua a considerare l’omoaffettività solamente sotto il profilo “sessuale” quando, invece, andrebbe inquadrata, in maniera più ampia ed esaustiva, sotto l’aspetto dell’affettività.

Insieme alla condanna dell’omosessualità, c’è un monito contro la discriminazione delle persone gay. Considerando che, in linea  con la lettera del 1986 sulla “sulla cura pastorale delle persone omosessuali” della Congregazione per la dottrina della Fede, si tende a proporre un approccio compassionevole e mai di reale accettazione, credi che sia sufficiente? Ci sono molti che ritengono che l’immutata serie di condanne  non faccia che alimentare i sentimenti omofobici, sei d’accordo?
La posizione del magistero su questo tema mi sembra piuttosto inequivocabile: c’è una scissione netta tra condizione omosessuale e esercizio della sessualità omosessuale. Se da un lato si raccomanda l’accoglienza “caritatevole” delle persone omosessuali, dall’altra si ribadisce la necessità di stigmatizzare “l’esercizio della sessualità”. Credo che in qualche modo questo possa contribuire all’affermazione di sentimenti omofobici in quanto, in base a questo ragionamento, la persona omosessuale viene vista sotto una luce di persona per cui non è previsto il pieno sviluppo della persona, sviluppo che sappiamo poter prevedere l’affettività e, all’interno di essa, la sessualità. Gli effetti maggiori, tuttavia, li vedo sulle persone omosessuali credenti, molte delle quali, purtroppo, tendono, sulla base di questa visione dell’omosessualità, a vivere in maniera pericolosamente dissociata la loro affettività, relegando il loro essere omosessuali all’esercizio di una sessualità vista come “caduta” e non all’interno di uno sviluppo completo di un’affettività feconda. In questo modo, la sessualità diventa un “nemico”, qualcosa da fare in maniera nascosta, casuale, un’esigenza genitale incontenibile dopo il cui esercizio piombare nello sconforto. Quanto sarebbe più facile, invece, se affettività e sessualità fossero conciliate in maniera serena, prevedendo la possibilità per una persona omosessuale di immaginare per la propria esistenza, qualora lo voglia, un disegno di amore anche come sviluppo di un progetto di coppia!

A proposito di percorso pastorale e di accompagnamento spirituale, non trovi che ci siano delle assonanze con le teorie praticate da associazione come il Narth di Joseph Nicolosi? Anche lì si pretende di “curare” le persone gay attraverso la religione…
Direi di no, in realtà. Il fenomeno delle teorie riparative non credo venga incoraggiato dalla Gerarchia Cattolica. Ritengo sia un fenomeno per fortuna di nicchia e che trova sostegno all’interno di movimenti cattolici fondamentalisti. Le teorie riparative sono state ufficialmente “sconfessate” anche da buona parte degli psichiatri/psicologi cattolici proprio perché è diffusa ormai la consapevolezza che non ci sia nulla da “riparare” perché nulla è “rotto”, ma piuttosto sia necessario promuovere un percorso di serena accettazione per uno sviluppo pieno della propria persona.

Nel libro c’è un parallelismo tra il celibato dei preti e il divieto per i gay a prendere gli ordini. Non trovi che sia infelice accostare l’omosessualità a una scelta, come quella della castità?
Credo che il problema vero  non sia accostare l’omosessualità alla castità, quanto pensare che l’eventuale scelta di castità non possa essere appannaggio di una persona omosessuale che voglia diventare sacerdote. La sessualità, omo o eterosessuale che sia, si muove con dinamiche personali e, francamente, pensare che la scelta di “celibato” di un eterosessuale sia più valida di quella di un omosessuale mi lascia molto perplesso proprio perché implicitamente posiziona su una scala valoriale diversa le due condizioni. Non trovo nulla di strano se una persona omosessuale si senta spinta alla scelta di castità e a diventare sacerdote, se questo proviene da una pulsione reale, da una vocazione e da una scelta serene, e non da una forzatura.

Oltre ai preti noti per la loro disponibilità, che arriva a livelli di vero “attivismo gay”, come don Franco Barbero, avete contatti con altri sacerdoti?
Abbiamo delle serie difficoltà a contattare le parrocchie o religiosi in genere. C’è qualche parroco, qualche religioso o religiosa più “illuminati” che ci ascoltano, ci offrono degli stimoli di riflessione e ci danno un grande aiuto soprattutto nell’offrirci un’immagine di Dio come Padre misericordioso, ma si contano veramente sulle dita di una mano. Purtroppo nei confronti di gruppi come il nostro credo ci sia ancora un certo pregiudizio e una paura che francamente non mi spiego. Temo che pensino che vogliamo in qualche modo creare dei “gruppi paralleli” di cristiani omosessuali. In realtà nulla è più lontano dalla nostra volontà: saremmo ben lieti di non esistere più qualora ci fosse una pastorale seria per le persone omosessuali e quando una persona omosessuale potrà vivere serenamente la sua condizione di Fede e di affettività all’interno della sua comunità cristiana. Questo pregiudizio fa sì che questo cammino dobbiamo costruircelo da soli, senza l’aiuto di nessuno. Ogni anno scriviamo alle oltre 300 parrocchie romane per fornire aggiornamenti sia sul nostro programma di incontri sia fornire spunti di riflessione sulle difficoltà che possono incontrare le persone omosessuali cristiane. A queste nostre comunicazioni hanno finora risposto ufficialmente solo tre parrocchie. Molte di più ci hanno chiesto di non inviare più loro alcuna comunicazione perché le hanno ritenute ora “offensive”, ora addirittura “dissacranti”. Mi chiedo cosa ci sia di dissacrante nel proporre uno spunto per l’accoglienza delle persone. Noi di Nuova Proposta amiamo definire il nostro gruppo una “locanda”; questa metafora ci è sempre piaciuta proprio perché dà il vero senso del nostro servizio: cerchiamo di essere un luogo caldo ed accogliente dove chiunque possa fermarsi per ristorarsi, magari solo per un pasto caldo o per abbeverarsi e poi ripartire, oppure per fermarsi un tempo più lungo, qualora la fatica del suo cammino sia stata più forte e i tempi di recupero più sostanziosi.

E salendo di grado, avete qualche tipo di rapporti?
Nuova Proposta negli anni ’90 ha avuto un percorso di incontri con un vescovo, Mons. Riva, particolarmente illuminato. Questi incontri sono stati sempre a carattere “ufficioso”, sebbene molto fecondi.
Da qualche anno, inoltre, scriviamo regolarmente al cardinale Vicario perché, sentendoci parte della chiesa, popolo di Dio in cammino, riteniamo utile informarlo delle nostre attività. A luglio scorso siamo stati ufficialmente ricevuti in Vicariato dal card. Vallini. E’ stato un incontro importante e sereno. Abbiamo avuto modo, credo, di dissipare alcuni dubbi e di ribadire le finalità del nostro gruppo, di parlare del problema reale dell’isolamento che un adolescente omosessuale, a maggior ragione se cristiano, vive nel sentirsi ovunque “fuori posto”, in casa, a scuola, in parrocchia e come questo isolamento, se non affrontato con lo strumento dell’Amore, possa sfociare, con un’incidenza purtroppo preoccupante, in depressioni, ossessioni e addirittura nel suicidio, come si evince dalgli ultimi terribili fatti di cronaca. Ovviamente il cardinale ha ribadito la posizione ufficiale del Magistero ma ci ha anche lasciati dicendoci che se riusciremo a far capire alle persone che arrivano al nostro gruppo che Dio le ama, avremo fatto un buon lavoro. Ci è sembrato un messaggio incoraggiante in qualche modo. Anche se è chiaro che i tempi non sono purtroppo ancora maturi, può essere l’inizio di un dialogo importante, se lo faremo da entrambe le parti veramente con l’obiettivo di porci alla sequela dell’Amore che ci invita a guardare all’altro non come un essere da annientare e mortificare ma come oggetto del nostro Amore e del nostro servizio, ad ogni costo, oltre ogni “ragionevolezza”... E per noi è talmente vero che ne abbiamo fatto la nostra ragione di vita, scegliendo come nostro motto le parole di San Paolo quando scrive: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.”

Cosa pensi del recente reportage di Panorama sui preti gay?
Bah… sono sempre molto perplesso nei confronti di questi reportage che puntano agli aspetti “morbosi” del problema… Non credo che fare “outing” su preti omosessuali che frequentano chat o locali a sfondo erotico sia un buono strumento. Mi sembra in qualche modo una violenza gratuita nei confronti di persone che, in linea teorica, non stanno commettendo “reati”. So di sacerdoti che, dopo reportage come questo, sono piombati nella disperazione e nello sconforto perché temono di essere allontanati o cacciati. Ritengo che ogni nostra azione si misuri sulla base dei frutti: se il frutto di questi reportage è solo quello di rendere disperate delle persone, senza incidere in alcun modo sull’accoglienza delle persone omosessuali, allora me ne chiedo il senso. Inoltre, questo taglio giornalistico non fa altro che ribadire un concetto secondo me sbagliatissimo: inquadrare l’omoaffettività solo, come ho già detto, dal punto di vista della sessualità nascosta, rubata, di cui ci si vergogna. Sarebbe diverso forse se l’outing fosse relativo confronti di sacerdoti esplicitamente omofobi che, poi, venissero scoperti essere omosessuali “praticanti”. In questo caso il dito l’enfasi sarebbe non sul loro essere omosessuali ma sull’incoerenza dei loro pronunciamenti. E questo avrebbe un valore differente. Credo che i giornalisti farebbero comunque meglio a raccontare storie di “affettività” che, credimi, sono molto più frequenti di quello che si pensi. Non credo si risolverà in questo modo la questione dell’accoglienza delle persone omosessuali da parte della Gerarchia Cattolica, perché il problema non sta nel rendere noto che esistano dei sacerdoti omosessuali, quanto piuttosto “denunciare” l’inesistenza di un percorso di accoglienza per gli omosessuali cristiani.

Non sono pochi i fedeli cattolici che, in risposta alle critiche della comunità lgbt, invitano le persone omosessuali ad allontanarsi definitivamente dalla fede cattolica piuttosto che crearsi una “religione fai da te”. E’ difficile pensare che ragionino da credenti, considerando che tutta la teologia cattolica descrive la fede come un Dono di Dio. Cosa ti senti di rispondergli? E cosa pensi di quelle persone gay e lesbiche che iniziano a seguire la Chiesa Valdese, o altre chiese protestanti, perché meno ostili o addirittura del tutto aperte all’omosessualità?
Credo fermamente che la Chiesa siamo tutti noi e non solo la Gerarchia. Come ci ricorda san Paolo, ognuno di noi è una parte del corpo della Chiesa e tutti contribuiamo al suo funzionamento. La vedo come un’entità molto più in movimento di quello che possa apparire e molto più estesa. I tentativi di ecumenismo che si stanno facendo a partire dal Concilio Vaticano II vanno in questa direzione: nel riconoscerci tutti parte di una stessa Chiesa in quanto figli di Dio. Preferisco, ma è la mia opinione personale, continuare a pensarmi come “parte della comunità” piuttosto che cercare altri contesti dove sentirmi esattamente “accettato”. Il mio impegno va nel far capire alla comunità cattolica come, dove, quando e perché ci sia bisogno di un’accoglienza per le persone omosessuali, piuttosto che andare altrove. Io voglio rimanere perché troppe persone omosessuali ancora oggi abbandonano la propria Fede in Cristo perché si sentono giudicate dalla Gerarchia. Vogliamo cercare di far sì che non si rinunci ad un bene così importante come la Fede. Molte volte ci dicono: “Ma come fare a essere cristiani con tutto quello che dice la Chiesa degli omosessuali?”… A questa domanda noi rispondiamo invitando a leggere il Vangelo e il messaggio di Amore e inclusione incondizionati che Gesù ci propone e che ha una portata talmente generatrice di Vita che non si può “abbandonare” solo per i pronunciamenti di alcuni rappresentanti della Chiesa. Se ce ne andassimo tutti, come potremmo contribuire al cammino evolutivo della Chiesa Cattolica? Il nostro personale invito a tutte le sorelle i a tutti i fratelli omosessuali cristiani è a non mollare, a non gettare alle ortiche la propria Fede, a mantenere vivo dentro di sé questo fuoco, nonostante tutto, nonostante tutti... Perché se si ha Fede non si può fingere di non averla: è una sorgente che sgorga libera dentro di noi, e rinunciarvi è forse solo un’operazione posticcia che rischia di generare solo una frattura interna, una scelta coatta che porta al rancore, che è un’energia negativa di cui dobbiamo tutti cercare di liberarci…

Dopo 24 anni  di fidanzamento con Dario vi siete sposati in Canada. Non credi che sia davvero “troppo”? Avete ricevuto disapprovazione da altre persone gay credenti?
Francamente no. Io e Dario siamo cresciuti insieme: siamo stati il primo e l’unico per entrambi. Ci siamo inventati il modo di stare insieme. Abbiamo coltivato con amore la nostra storia, e non è stato un percorso facile. Per molti anni l’abbiamo vissuta in segreto, senza dirlo a nessuno, con la “consegna del silenzio”. Per gli altri eravamo due amici. Poi abbiamo maturato la consapevolezza del fatto che ci stavamo infliggendo una terribile violenza e allora abbiamo cominciato ad aprirci agli altri. E’ stato tutto molto naturale e non abbiamo avuto alcun problema. Sposarci è stata un’evoluzione naturale del nostro rapporto. Ci sentivamo sposati già da tempo ma abbiamo voluto concederci anche un momento simbolico, tutto per noi. Purtroppo in Italia non è possibile aspirare a niente di vicino allo sposarsi e allora siamo volati in Canada, dove abbiamo esperito la “normalità” di essere una coppia. La cosa più stupefacente è stata il constatare come, in quanto coppia gay, eravamo veramente “invisibili”… Per gli impiegati del comune di Toronto eravamo solamente una coppia che voleva sposarsi. Dopo la cerimonia, abbiamo scattato qualche foto fuori al Comune… E’ stato incredibile vedere i passanti, di ogni età e genere, che ci facevano le congratulazioni come ad una qualunque coppia di sposi. Bello, molto bello… E’ una sensazione difficile da spiegare quella di sentirsi per una prima volta “trasparenti” per quanto riguarda il proprio orientamento affettivo.

[intervista di Andrea Tornese, Diritto di Critica]

AlReves: El Salvador


L’inferno delle maquilas
Flessibilità e sfruttamento, ricette vecchie e nuove per salvare l’economia salvadoregna

San Salvador, novembre 2010.

L’industria manifatturiera del Salvador segna il passo. La crisi economica mondiale ha duramente colpito il settore tessile - quello delle maquiladoras - che nel 2003, anno della sua massima espansione, poteva contare sulla produzione in 230 stabilimenti, tutti ubicati nelle cosiddette “zone franche”. Solo pochi anni dopo quelle stesse imprese si erano già dimezzate, in seguito alle pesanti ristrutturazioni adottate dalle proprietà taiwanesi per far fronte alla crisi.

In realtà, a pagare il conto più salato sono stati - e continuano ad essere - i lavoratori, nella stragrande maggioranza giovani donne, e cioè l’84% della forza lavoro del settore. Da decenni sottoposte ad orari e a condizioni di lavoro massacranti, in cambio di salari che si aggirano attorno ai 200 dollari mensili, moltissime di loro non sono sfuggite alla falcidia dei licenziamenti di massa: negli ultimi due anni si contano circa 25.000 operaie tessili espulse dalle fabbriche.

Nelle maquilas impera la legge della foresta. I traguardi di produzione fissati dalle aziende richiedono ben più di 8 ore di lavoro, cosicché le lavoratrici si devono dannare l’anima per raggiungerli se vogliono almeno portare a casa i loro 162 dollari di salario minimo. Una paga misera, e ben al di sotto dei livelli minimi di sussistenza.

In più, al già magro trattamento economico si aggiungono altre forme di umiliazione e di sfruttamento come il divieto di organizzarsi in sindacati, i ricatti dei datori di lavoro, il mobbing e i danni alla salute provocati dalle sostanze tossiche.

La tendenza delle imprese tessili, diffusissime in Centroamerica, è sempre stata quella di produrre più profitti riducendo progressivamente la mano d’opera. Alla fine del 2007, per citare un esempio, nello stabilimento taiwanese Charter S.A., situato nella Zona Franca Internazionale di Olocuilta, erano occupate 1.400 persone; attualmente ne sono rimaste solo 370. Ciononostante la proprietà ha deciso comunque di elevare il traguardo di produzione giornaliero da 935 a 2.500 pezzi, costringendo il personale sotto organico a sopportare ritmi di lavoro impossibili. 

L’estate scorsa la CAMTEX, l’associazione degli impresari delle maquiladoras, ha addirittura proposto al Ministero del Lavoro di aumentare da 8 a 12 ore la giornata lavorativa degli operai del settore tessile, “con l’obbiettivo di creare più posti di lavoro”. In cambio i proprietari si impegnerebbero a ridurre i giorni lavorativi da 5 a 3 e mezzo, alternandoli con altri 3,5 giorni di riposo settimanale.  

Il progetto confindustriale, motivato dall’urgenza di riformare il mercato del lavoro con maggiori misure di flessibilità, ha lo scopo di migliorare l’efficienza e la competitività delle industrie. Sul fronte contrario il Tavolo Sindacale della Maquila, il maggiore sindacato del settore, si è opposto fermamente riuscendo ad organizzare negli ultimi mesi numerose manifestazioni di protesta.
La proposta di CAMTEX ha destato perplessità anche nel Procuratore per la Difesa dei Diritti Umani (PDDH), Oscar Luna, che si è espresso in questi precisi termini: “la proposta di modificare l’orario di lavoro agli operai delle maquilas non si accorda con le aspirazioni della popolazione salvadoregna ad uno sviluppo economico e sociale basato sul più ampio rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei lavoratori”.
Una presa di posizione, quella di una delle cariche più importanti del Salvador, senza dubbio molto coraggiosa se si considera che nella storia recente del Centroamerica le confindustrie locali hanno
sempre imposto la loro avidità sfruttatrice, spadroneggiando sulle deboli istituzioni statali come sui sindacati.
In attesa che anche il governo di Mauricio Funes si pronunci sulla questione in forma più chiara e responsabile, a difesa dei diritti dei suoi cittadini il Procuratore ha citato anche l’Articolo 161 del Codice del Lavoro, che ricorda “l’obbligo dello Stato di tutelare il diritto di ogni lavoratore a godere di un trattamento giusto e soddisfacente, che possa assicurargli adeguati periodi di riposo e di tempo libero nell’ottica di una ragionevole limitazione delle ore di lavoro”.
Frattanto però, in barba a tutte le leggi a tutela dei diritti, nelle maquilas si continua impunemente ad applicare una vecchia prassi: lo sfruttamento dei lavoratori.

Andrea Necciai