La dottrina del
“potere intelligente”
La
nuova strategia militare Usa e il ruolo delle “Forze Speciali”
In
un suo recente discorso il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha spiegato
che in fatto di politica estera gli Stati Uniti adotteranno un programma ispirato
al principio dello smart power (o “potere
intelligente”).
Ciò
segnerebbe il passaggio “da un esercizio diretto del potere”, come quello
adottato dai falchi repubblicani di Bush , “ad un’applicazione dello stesso più
sofisticata, che implica una delicata combinazione di influenza ed uso della
forza (…) e che richiede pazienza e perseveranza poiché l’esercizio indiretto
del potere ha bisogno di molto tempo”. (Hillary Clinton, 2010).
Lo
smart power si configura quindi come
una giusta miscela tra soft power (la
capacità di influire nel mondo attraverso la diplomazia e la propaganda
culturale) e hard power, l’uso
diretto della forza militare alla quale gli Usa hanno fatto ricorso
ripetutamente dal conflitto in Vietnam fino alle più recenti Guerre del Golfo.
A
prima vista, il nuovo approccio potrebbe significare un sostanziale cambiamento
di rotta rispetto al passato verso una politica estera finalmente più morbida e
“multilaterale”: meno interventi militari e più impegno nell’azione diplomatica
per risolvere la controversie internazionali, il tutto condito dal sorriso
rassicurante del presidente Obama.
Secondo
le informazioni pubblicate da numerose fonti nordamericane (tra cui il New York
Times), una “direttiva segreta” del Pentagono in particolare, quella del
dicembre 2009 firmata dal Generale Petraeus, conterrebbe indicazioni
illuminanti per comprendere il nuovo orientamento della neonata dottrina
militare Usa.
In
perfetta continuità con l’”era Bush”, la politica estera del governo Obama
assegna un ruolo cruciale all’intervento militare in tutti quei paesi che, pur
non trovandosi in stato di guerra con gli Usa, risultano strategici per i loro
interessi oppure potenzialmente pericolosi per la loro “Sicurezza Nazionale”. In
prima fila, tra i paesi considerati “ostili”, ci sono Cuba (vittima da decenni
di un embargo assurdo ed anacronistico) e il Venezuela chavista con il suo ambizioso progetto di integrazione regionale
antistatunitense (ALBA).
Secondo
le stesse fonti citate, l’intervento militare nei paesi “non allineati” vedrà
un coinvolgimento sempre maggiore delle “forze speciali” (corpi d’elite,
contractors, agenti segreti).
Si
tratta di unità addestrate nello svolgere compiti nell’ambito della guerra
psicologica e delle “operazioni coperte”, sullo stile di quelle che in passato
provocarono l’abbattimento dei governi progressisti di Abenz (Guatemala),
Goulart (Brasile) ed Allende (Cile). Tutto ciò non deve sorprendere se si
considera che le tattiche di guerra non convenzionali sono proprio alla base
delle operazioni svolte dalle “forze speciali”.
Un
altro compito assegnato alle “forze speciali” consiste nel raccogliere
informazioni [lavoro di intelligence] e nel costruire legami con le forze di
sicurezza locali. Fino ad oggi è stata la CIA ad occuparsi di queste “delicate” funzioni.
Si può citare come esempio il “Piano Condor” - messo in atto dalle dittature
del Sudamerica nel corso degli anni 70 per “liquidare la sovversione” - in cui
l’agenzia Usa svolse un ruolo determinante nel “consigliare” e coordinare i
servizi di intelligence della regione. Questo tipo di cooperazione rese anche possibile
lo scambio di informazioni, il trasferimento dei prigionieri e l’esecuzione di
operazioni “congiunte”, quali il sequestro, la tortura e l’omicidio di
centinaia di persone in Cile, Argentina e Uruguay.
Negli
Stati Uniti, uno dei dubbi che si nutrono nei confronti delle “forze speciali”,
sottoposte al Dipartimento della Difesa, riguarda il fatto che “le loro operazioni
non necessitano dell’approvazione del Presidente, né il Congresso ha la facoltà
di essere informato sulle loro attività”*. Ciò conferisce all’Esercito
un’autonomia che va al di là dell’azione di controllo da parte delle autorità
civili, circostanza di per sé estremamente pericolosa in qualunque democrazia.
Considerando
il calo d’immagine e di consenso che gli Stati Uniti hanno subito di recente, non
solo in America Latina ma un po’ in tutto il mondo, il governo Obama sta cercando
di stanziare più fondi da investire nell’attuazione dei programmi per la sua politica
estera.
Il
Segretario alla Difesa, Robert Gates, ha chiesto all’amministrazione del suo governo
più soldi e più sforzi per il soft power
(la diplomazia, l’assistenza economica e la propaganda attraverso i mezzi di
comunicazione), “poiché i militari non possono da soli difendere gli interessi
degli Stati Uniti d’America in tutto il mondo. Ha inoltre sottolineato che la
spesa militare ammonta a circa mezzo trilione di dollari all’anno, a fronte di
un bilancio complessivo del Dipartimento di Stato di 36 miliardi di dollari.”**
Il
mantenimento della “Pax Americana” in tutto il pianeta, anche mediante il
“potere intelligente”, continua a rivelarsi un affare molto costoso.
Andrea Necciai
Note:
* “Poder
Inteligente, discurso de la
Pax Americana en el gobierno de Obama: continuidades y
discontinuidades”,
di Silvina
Maria Romano e Gian Carlo Delgado Ramos – “Rebelión”.
** ”Smart
Power, un nuovo approccio della politica estera statunitense”, di Joseph S. Nye
Jr.
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