La vocazione
golpista della “Mezzaluna”
La
vittoria del SI al referendum costituzionale di inizio anno ha confermato il
sostegno della maggioranza dei boliviani al progetto riformista dell’indio Evo Morales e del suo governo.
La
nuova Costituzione ha sancito - per la prima volta - come diritti fondamentali
l’acqua, i servizi di base, la salute, l’istruzione e le risorse fondamentali
dello Stato. Una novità non da poco, dal momento che tutti questi diritti sono
stati fino ad oggi considerati in Bolivia – e, in generale, in tutto il
continente latinoamericano – come semplici merci da sottoporre alle regole
della domanda e dell’offerta.
Dopo
le dure lotte sostenute dagli indios
negli ultimi decenni contro l’ignoranza e il razzismo di una società “bianca”
arricchitasi grazie ad immense rendite economico-finanziarie, ora finalmente “vengono
riconosciute diverse forme di economia, come quella pubblica e comunitaria e
non solo quella di mercato. Si garantiscono i diritti collettivi e storici dei
popoli originari (quechua ed aymaras), sterminati per 500 anni e trattati come
figli minori da governi che esercitavano la legge sui luoghi dove da millenni i
popoli indigeni avevano edificato cultura e armonia”. *
Ma
il presidente boliviano, che prima del referendum aveva già incassato un altro
importante successo elettorale nell’agosto 2008, ottenendo il 63% dei consensi
alla riconferma del suo mandato, si trova ancora alle prese con le velleità
secessioniste delle ricche circoscrizioni orientali (la cosiddetta “Mezzaluna”),
i cui prefetti, spalleggiati dall’oligarchia imprenditoriale, non solo si
oppongono al nuovo dettato costituzionale ma continuano a reclamare l’autonomia.
Non a caso nella Mezzaluna, macroregione comprendente i dipartimenti di Tarija,
Santa Cruz, Beni e Pando (situati a nord e a est del Paese), si concentrano le
maggiori ricchezze economiche (imprese e siti produttivi) e grandi riserve
energetiche e naturali (acqua, gas e idrocarburi), da decenni oggetto di
sfruttamento selvaggio da parte dei governi corrotti e delle compagnie
multinazionali.
Dal
gennaio del 2006, anno in cui Morales ha assunto l’incarico presidenziale, l’azione
delle forze dell’opposizione non si è affatto limitata alle critiche o
all’ostruzionismo politico, nella logica del confronto civile, ma è stata
spesso condotta con mezzi illegali e violenti. Grazie al lavoro della
magistratura boliviana, che sta indagando sul conto di alcune organizzazioni paramilitari,
è stata recentemente scoperta una cospirazione per destabilizzare l’attuale
governo in carica, con la complicità di alcuni influenti “attori”
internazionali.
Tutto
ha inizio il 16 aprile quando in un lussuoso hotel di Santa Cruz (nell’omonimo
distretto) tre sospetti malviventi sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con
la polizia locale. Qualche ora più tardi, nei magazzini della fiera campionaria
che si tiene della stessa città, la Fexpocruz, la polizia scopriva un nascondiglio di
armi ed esplosivi, impiegati con ogni probabilità per compiere attentati.
A
capo della cellula terrorista c’era Eduardo Rozsa Flores, uno degli uomini
morti nella retata dell’hotel. Membro del partito ungherese neonazista “Jobbik”,
Rozsa prestò servizio nelle milizie croate durante la guerra nella ex
Iugoslavia, prima di essere assunto sotto falsa identità dall’impresa COTAS
(Cooperativa Telefonica di Santa Cruz), di proprietà di vari dirigenti del
Comitato Civico Pro Santa Cruz (uno dei più accaniti gruppi separatisti) e
dell’organizzazione razzista Nación Camba.
Alcuni
giorni dopo la sua morte, la stampa rendeva pubblica un’intervista nella quale
Rozsa dichiarava che “il Consiglio Dipartimentale di Santa Cruz ha deciso la
creazione di un corpo di sicurezza regionale [milizia armata, ndr]” e in
un’altra aggiungeva “dichiareremo l’indipendenza e creeremo un nuovo Paese!”.
Secondo altre fonti, questo mercenario di origine magiara avrebbe mantenuto strette
relazioni con alti funzionari della sede boliviana dell’ente newyorkese “Human
Right Foundation” (HRF) e con alcuni delegati dell’organizzazione di estrema
destra “UnoAmérica”.
Di
recentissima creazione la
UnoAmérica, formata da militari ultranazionalisti e da
paramilitari provenienti da El Salvador, Colombia, Argentina e Venezuela,
riceve sostanziosi finanziamenti dall’Agenzia Internazionale per lo Sviluppo
(USAID) e dal National Endowment of Democracy (NED), lo stesso ente
nordamericano che sostiene dal 2005 anche il Comitato Civico Pro Santa Cruz.
Secondo la studiosa Eva Golinger, dal 2002 USAID avrebbe destinato ben 97
milioni di dollari ai gruppi della destra autonomista boliviana, per il
finanziamento di programmi atti a favorire la “decentralizzazione” (o meglio, la
“balcanizzazione”) del paese andino. Il presidente di UnoAmérica è Alejandro
Peña Esclusa, un politico venezuelano antichavista che alle ultime elezioni
politiche tenutesi nel suo paese ha ottenuto 2.424 voti, pari allo 0,04%.
Sul
conto della HRF, conosciuta per i suoi legami con la CIA, si può osservare come dal
2005 (anno della fondazione) questo ente “benefico” abbia cominciato ad
interessarsi seriamente alla realtà sociale (e politica) latinoamericana tanto
da creare nuove filiali in Bolivia (2007), Ecuador (2008) e prossimamente, secondo
quanto ammesso dagli stessi dirigenti, anche in Nicaragua.
Solo
pochi mesi fa, l’interferenza degli Usa negli affari interni della Bolivia e la
loro complicità nel fomentare la secessione dei dipartimenti “ribelli” aveva indotto
il governo di La Paz
ad espellere dal paese l’ambasciatore statunitense Philip Goldberg, un vero e
proprio esperto di “balcanizzazione” avendo lavorato dal 1994 al 1996 in Kosovo. Evidentemente,
buttare giù il governo di Evo Morales non è solo l’obbiettivo dell’oligarchia
della “Mezzaluna”.
Andrea Necciai
Note:
* “Ecuador
e Bolivia: la natura nella Costituzione” di Giuseppe De Marzo, in
“Latinoamerica” n°105 (04/2008).
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