La sconfitta
della paura
Dopo due decenni di guerra civile e
di governi dispotici, in Salvador il bastione di una delle oligarchie più
reazionarie dell’intero continente latinoamericano si è finalmente sgretolato.
Alle elezioni presidenziali tenutesi il mese scorso il candidato del Fronte
Farabundo Martì (FMLN), Mauricio Funes, si è imposto con il 51% dei suffragi
sul candidato della destra nazionalista dell’Alleanza Repubblicana Nazionalista
(ARENA), espressione di un regime ventennale solo formalmente “democratico” ma
nella sostanza repressivo e sanguinario.
La storica affermazione elettorale
del FMLN, il partito nato dalla guerriglia che negli anni 80 e 90 seppe tener
testa al più potente e meglio armato esercito salvadoregno, testimonia che il
Salvador è finalmente riuscito a “vincere la paura”. La paura delle possibili
rappresaglie di Washington in caso di una svolta “a sinistra” di questo piccolo
Paese dove 2 milioni di lavoratori emigrati negli Stati uniti contribuiscono
attraverso le loro “remesas” in
denaro a tenere a galla la sua fragile economia; ma soprattutto la paura di non
farcela, anche questa volta, a vincere il confronto elettorale con ARENA, dopo
le precedenti “sonore” sconfitte segnate da brogli clamorosi e da campagne di
terrore montate dall’oligarchia salvadoregna, sempre con il supporto
finanziario e propagandistico degli Stati uniti.
La vittoria della sinistra
salvadoregna giunge nel momento in cui in tutta la “Patria grande” soffiano
venti di cambiamento. Trascinate dall’esempio del Venezuela di Hugo Chavez e
dal suo progetto di “Alternativa
Bolivariana per le Americhe” (ALBA), che parla finalmente di autonomia e di
integrazione per tutti i Paesi dell’America latina, le forze progressiste
guadagnano terreno ora anche in Centroamerica, da sempre considerato il
“cortile di casa” degli Stati uniti, vale a dire terra di sfruttamento, di golpes e di “repubbliche delle banane”
amministrate dai soliti dittatori-fantoccio.
L’affermazione del FMLN è anche il
frutto di un ventennio di lotte che ebbero il loro apice tra il 1980 e il 1992,
l’epoca del conflitto armato che provocò almeno 75.000 vittime tra combattenti
e civili, e che vide parte della popolazione imbracciare le armi come estremo
gesto di ribellione alla miseria e alle ingiustizie sociali.
Dopo la firma degli Accordi di Pace
del 1992, il FMLN è diventato per tutti i Paesi dell’area un solido punto di
riferimento per la lotta contro le politiche neoliberiste, miranti a facilitare
la privatizzazione di imprese e servizi sotto l’egida dei governi filoamericani
e sotto la protezione degli apparati di sicurezza locali. In questa difficile
tappa i dirigenti e i militanti farabundisti, nonostante molti dissidi interni
ed alcuni errori strategici, hanno saputo sviluppare un’indubbia maturità
politica e, dopo aver subito non poche batoste elettorali, sono infine riusciti
a rafforzare il loro legame con le fasce più deboli della popolazione, sostenendone
istanze e diritti.
Così, dopo i successi alle ultime
elezioni amministrative dello scorso gennaio, il FMLN centra finalmente l’obiettivo
delle Presidenziali e si propone come nuova forza di governo per il prossimo
quinquennio. Il presidente eletto Mauricio Funes, che inizierà il suo mandato a
giugno, si impegnerà a mettere in pratica un ambizioso programma frutto di mesi
di consultazioni con le basi popolari e con gli altri settori della società
salvadoregna. Il progetto di Funes è incentrato sulla “responsabilità dello
Stato nell’assicurare il diritto del popolo all’istruzione, alla salute, alla
cultura, al cibo e alla parità dei sessi; anche l’economia sarà orientata al
conseguimento di questi obbiettivi. Nel suo programma si legge chiaramente la
volontà di rivendicare i diritti delle popolazioni indigene, la priorità della
creazione di nuovi posti di lavoro grazie al sostegno alle piccole e medie
imprese, la ferma opposizione a nuove privatizzazioni nel settore dei servizi
pubblici e la lotta alla corruzione.”*
Realizzare tutti questi propositi
richiederà uno sforzo straordinario in termini di mobilitazione di tutte le parti
sociali, ma anche – e soprattutto – di negoziazione con le altre forze
politiche e imprenditoriali. Un’altra debolezza è rappresentata dal fatto che
il FMLN non possiede la maggioranza in parlamento (cosa che potrebbe, in taluni
casi, mettere a rischio la governabilità del Paese). Per di più la destra, sebbene
sia uscita sconfitta dalle elezioni, è ancora in grado di “influenzare” il
sistema giudiziario e mantiene saldamente il controllo delle Forze armate, della
Polizia e di gran parte degli apparati burocratici statali. A tutto ciò si deve
aggiungere che l’economia del Salvador dipende quasi totalmente da quella
statunitense - a causa dei Trattati di Libero Commercio imposti sotto le ultime
legislature di ARENA - e dalle “rimesse” dei lavoratori emigrati negli States.
Il compito è davvero improbo, in
una realtà dove la miseria, la disuguaglianza e la violenza, vale a dire le tre
maggiori piaghe del “Pollicino d’America”, rappresentano i veri nemici da
combattere. Il popolo salvadoregno ha scelto per il cambiamento, ora tocca al nuovo
governo fare la sua parte.
Andrea Necciai
Note
* Da “El
Salvador: la esperanza venció al miedo” – La Jornada, Angel Guerra.
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