Torna in auge il più folle dei progetti di G.W. Bush.
Il 20 maggio del 2004 il presidente Bush annunciò con
grande clamore di aver messo a punto un piano infallibile per abbattere
l'odiato regime castrista e gettare così le basi per una futura “annessione” di
Cuba. La divulgazione del documento, che risultava essere composto da più di
450 pagine, scatenò sulle prime una pioggia di critiche all’indirizzo del suo
incauto autore, per piombare subito dopo nel dimenticatoio.
Dopo più di due anni di imbarazzante silenzio sul tema,
ecco riapparire sul sito del Dipartimento di Stato americano, in data
20/6/2006, l’estratto di un nuovo “progetto” per la dissoluzione di Cuba, che
alcuni media di Miami (molto vicini agli interessi della comunità anticastrista
locale) hanno già ribattezzato, enfaticamente, “borrador”. In questo nuovo documento vengono annunciate nuove e più
severe misure “per accelerare la caduta della Cuba socialista”.
Per raggiungere finalmente lo scopo tanto agognato, cioè
porre fine a quasi cinquant’anni di rivoluzione cubana, il governo
nordamericano - seguendo i suggerimenti del “Piano Bush” - dovrà percorrere tre
fondamentali linee d’azione:
1)
Ulteriore inasprimento del blocco economico,
probabilmente attraverso un irrigidimento della già “asfissiante" legge
Helms-Burton;
2)
Aumento dei finanziamenti a favore dei gruppi di
dissidenti politici (e di mercenari-terroristi) che operano all’interno e al di
fuori della nazione cubana;
3)
Intensificazione della campagna di propaganda e disinformazione,
per delegittimare il regime castrista ed aumentarne il discredito soprattutto a
livello internazionale.
Secondo il “Piano Bush” una volta raggiunto il controllo
dell’isola, il necessario processo di transizione dal sistema socialista al
nuovo “capitalismo dei Caraibi” sarà affidato ad una specie di governatore
generale, con funzioni analoghe a quelle di Paul Bremer (l’ex amministratore
dell’Iraq occupato), investito del pomposo incarico di “Coordinatore della
ricostruzione di Cuba”.
Il nuovo burocrate - che pare sia già stato nominato (!),
confidando evidentemente nelle più rosee previsioni circa l’esito di
un’eventuale invasione - si dovrà occupare innanzitutto della restituzione agli
antichi possessori di tutte le proprietà confiscate dalla Rivoluzione dopo il
1959, con conseguente sfratto di migliaia di famiglie che ne stanno tuttora
beneficiando; l’operazione dovrà compiersi sotto la supervisione dell’apposita
“Commissione del Governo degli Stati Uniti per la devoluzione delle proprietà
di Cuba”.
Un altro importante capitolo da affrontare riguarderà la privatizzazione dell’economia del Paese,
compresi i settori dell’educazione e dei servizi sanitari (vale a dire, i due
più importanti benefici di cui può ancora godere il popolo cubano): “tutte le
cooperative verranno sciolte e sarà immediatamente ripristinato il vecchio
sistema del latifondo; sarà inoltre eliminato il vecchio apparato di assistenza
sociale e chiuse tutte le strutture per anziani (pensionati e ricoveri)”.* Di
tutto ciò si dovrebbe occupare un altro fondamentale apparato governativo, il
“Comitato permanente del Governo degli Stati Uniti per la ricostruzione
economica di Cuba”.
Ora però, per
muovere una guerra contro Cuba (e sempre che si opti per una soluzione
militare), gli Usa saranno costretti a trovare un pretesto più che credibile.
Storicamente, esiste già al riguardo un’impressionante serie di precedenti che
partono dall’(auto)affondamento della corazzata “Maine” nel Mar dei Caraibi
(che provocò nel 1898 l’inizio della guerra ispano-americana), passando per
Pearl Harbour (7 dicembre 1941), fino ad arrivare all’attentato dell’11
settembre 2001, il casus belli
dell’invasione dell’Afganistan e dell’Iraq.
Del resto, già a
partire dal lontano 1962 Cia e Pentagono avevano cominciato ad elaborare
strategie per giustificare un attacco contro Cuba. Ciò è testimoniato
dall’esistenza di numerosi documenti declassificati chiamati “Piani
Northwoods”. Ad esempio, nella sezione denominata “Annex to appendix to
enclusure A” di uno di questi fascicoli i compilatori, alcuni brillanti esperti
di strategia militare del Dipartimento della Difesa, suggerivano di:
·
Diffondere a Cuba voci false utilizzando radio
clandestine;
·
Dare vita a finti attacchi, sabotaggi e rivolte
nella baia di Guantanamo, sede della base americana, accusando poi le forze
cubane;
·
Bruciare con bombe incendiarie i raccolti di
nazioni come Haiti, Repubblica Dominicana o altre, fornendo poi prove della
responsabilità cubana.
Ma forse il vero
problema per Bush è che l’invasione di Cuba da parte di soldati americani
sarebbe - in qualsiasi caso - mal tollerata dalla comunità internazionale, per
non parlare poi del rischio di subire
ingenti perdite. Perciò nell’eventualità di un attacco all’isola, il “lavoro
sporco” toccherebbe ai soliti gruppi di paramilitari prezzolati (stile
“contras”) - come già accaduto nel 1961 nel caso del fallito tentativo di
invasione alla Baia dei Porci - evitando in tal modo situazioni di guerra
“molto imbarazzanti” che vedrebbero coinvolte truppe regolari dell’esercito
degli Stati Uniti.
Perfettamente
adatte a questo scopo sono le decine di unità paramilitari di estrema destra
che da anni compiono in Florida i loro cicli di addestramento, tollerate quando
non incoraggiate dalle stesse autorità statunitensi. I loro capi sarebbero
disposti, e senza alcuna esitazione, ad impegnarsi in incursioni sul territorio
cubano, come ha più volte dichiarato pubblicamente Romy Frometa, sedicente
comandante dell’unità denominata “Commando F-4”, già responsabile in passato di
attività terroristiche e di sabotaggio a Cuba e in Venezuela.
In aggiunta ai
guerriglieri di destra altri “enti” foraggiati dalla Cia, come la “Fondazione
Caribe” o la ben più celebre “Fondazione Nazionale Cubano Americana” (FNCA),
continuano a rivelarsi delle preziose fonti di appoggio alla causa
anticastrista, sia a livello propagandistico che sotto un profilo
logistico-militare. José Antonio Llama, ex direttore della FNCA, durante
un’intervista rilasciata ad un’emittente televisiva americana, ha confessato di
aver personalmente provveduto ad acquistare per conto della sua fondazione “un
elicottero da carico, 10 aerei ultraleggeri, 7 imbarcazioni, 1 lancia veloce e
del materiale esplosivo”, in vista di un loro l’impiego in operazioni di
sabotaggio sull’isola caraibica.
E così, mentre
Mr. Bush non perde occasione per lanciare crociate contro “stati canaglia” e
fantomatiche centrali del terrorismo internazionale, il governo da lui
presieduto continua a proteggere e a far circolare a piede libero terroristi del
calibro di Orlando Bosch e di Antonio Posada Carriles (membro, quest’ultimo,
del commando che nel 1976 fece esplodere un aereo di linea cubano con centinaia
di passeggeri a bordo), garantendo loro l’assoluta impunità. Al contrario i
cinque informatori cubani, arrestati ingiustamente nel 1998 mentre stavano
indagando sulle attività terroristiche dei gruppi anticastristi presenti in
Florida, rimangono tuttora reclusi nelle carceri di massima sicurezza
americane; anche di fronte all’intervento dell’Alto Commissariato per i Diritti
Umani dell’Onu che ha dichiarato arbitraria ed illegale la detenzione dei
cinque cubani, sollecitando il Governo degli Stati Uniti a risolvere detta
situazione.
Tutto questo
continua ad accadere, oggi, nel Paese che si propone al mondo intero come
alfiere della libertà e della democrazia.
Andrea “Chile” Necciai
Note:
* “Il Piano Bush di assistenza a una Cuba libera”.
Cronaca di una guerra annunciata.
Ricardo Alarcón de Quesada.
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