C'è sempre un complotto pronto
per giustificare gli arresti: le centinaia di giornalisti, scrittori,
oppositori incarcerati da Ankara ne stanno pagando il prezzo
di ROBERTO SAVIANO, LaRepubblica
L'ARRESTO di un reporter potrebbe sembrare a
qualcuno un atto di barbarie distante compiuto da un regime
autocratico, un atto che non riguarda la nostra democrazia. Ma non è
così. La detenzione di Gabriele Del Grande
rientra in un percorso strategico preciso del governo di Erdogan: il
leader di Ankara vuole dimostrare che chiunque racconti liberamente cosa
accade in Turchia delegittima il Paese, alimenta quel clima di
diffamazione agitato dai media neo-ottomani.
Nell'immaginazione di Erdogan la stampa non controllata da lui è sempre una stampa pagata e corrotta da qualcuno: controllarla e censurarla diventa — per il regime — un atto legittimo di un governo sovrano che tutela la sua immagine. È un'argomentazione molto simile a quella che si ascolta nei dibattiti gonfi di veleno che si svolgono sui social, sono argomentazioni in grado di accalappiare — come si fa con un animale preso alla gola — il consenso.
Gabriele non ha commesso alcun reato, non voleva fare altro che raccontare quello che vedeva e di cui veniva a conoscenza. Raccogliere testimonianze dirette è diritto e dovere di qualsiasi giornalista: diritto che dovrebbe essere tutelato in qualsiasi democrazia. Ma il suo arresto riguarda tutti non solo perché Gabriele è innocente.
La Turchia non si allontana semplicemente dall'Europa dei diritti, ma dimostra che sta iniziando un nuovo percorso autoritario che rischia di suggestionare tutte le forze populiste del mondo: quello di affermare che qualsiasi racconto diretto, libero e non negoziato con l'autorità sia un attacco compiuto per conto di gruppi di potere che possono essere di volta in volta gli occidentali, gli ebrei, i massoni e qualsiasi nemico immaginario il regime abbia bisogno di inventare all'occasione. C'è sempre un complotto pronto per giustificare gli arresti: le centinaia di giornalisti, scrittori, oppositori incarcerati da Ankara ne stanno pagando il prezzo.
Per Erdogan i diritti più elementari, come quello della libertà d'espressione, sono semplicemente dettagli e chi li rivendica è un nemico dello sviluppo del Paese. Queste tesi potrebbero essere messe nella bocca di tutti quei leader del mondo che invece di rispondere alle critiche politiche delegittimano chi le pronuncia.
Ecco perché la vita di Gabriele riguarda la nostra vita e i ritardi inspiegabili con cui la Farnesina è intervenuta mostrano quanto non ci si renda conto dell'importanza internazionale di questo caso. Difendere Gabriele equivale a difendere nel mondo la libertà d'espressione.
"MOBILITATEVI PER ME", le iniziative
Nell'immaginazione di Erdogan la stampa non controllata da lui è sempre una stampa pagata e corrotta da qualcuno: controllarla e censurarla diventa — per il regime — un atto legittimo di un governo sovrano che tutela la sua immagine. È un'argomentazione molto simile a quella che si ascolta nei dibattiti gonfi di veleno che si svolgono sui social, sono argomentazioni in grado di accalappiare — come si fa con un animale preso alla gola — il consenso.
Gabriele non ha commesso alcun reato, non voleva fare altro che raccontare quello che vedeva e di cui veniva a conoscenza. Raccogliere testimonianze dirette è diritto e dovere di qualsiasi giornalista: diritto che dovrebbe essere tutelato in qualsiasi democrazia. Ma il suo arresto riguarda tutti non solo perché Gabriele è innocente.
La Turchia non si allontana semplicemente dall'Europa dei diritti, ma dimostra che sta iniziando un nuovo percorso autoritario che rischia di suggestionare tutte le forze populiste del mondo: quello di affermare che qualsiasi racconto diretto, libero e non negoziato con l'autorità sia un attacco compiuto per conto di gruppi di potere che possono essere di volta in volta gli occidentali, gli ebrei, i massoni e qualsiasi nemico immaginario il regime abbia bisogno di inventare all'occasione. C'è sempre un complotto pronto per giustificare gli arresti: le centinaia di giornalisti, scrittori, oppositori incarcerati da Ankara ne stanno pagando il prezzo.
Per Erdogan i diritti più elementari, come quello della libertà d'espressione, sono semplicemente dettagli e chi li rivendica è un nemico dello sviluppo del Paese. Queste tesi potrebbero essere messe nella bocca di tutti quei leader del mondo che invece di rispondere alle critiche politiche delegittimano chi le pronuncia.
Ecco perché la vita di Gabriele riguarda la nostra vita e i ritardi inspiegabili con cui la Farnesina è intervenuta mostrano quanto non ci si renda conto dell'importanza internazionale di questo caso. Difendere Gabriele equivale a difendere nel mondo la libertà d'espressione.
"MOBILITATEVI PER ME", le iniziative
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