Quanti morti servono per riprendere il dialogo? E portare il paese alle elezioni?
La lunga e drammatica crisi venezuelana divide radicalmente le opinioni degli osservatori, esperti e politici, in particolare in America Latina. Intanto la situazione è sempre più critica: in pochi giorni i morti sono ormai saliti a 21 (30 al momento della pubblicazione sul ns. blog, NdR). Da giorni, a diverse ore della giornata, in tutte le principali città del Paese gli scontri fra le due parti si moltiplicano e la spirale della violenza non si ferma. Ovviamente la situazione venezuelana divide anche l’opinione pubblica ovunque e anche i media. C’è chi dà ragione al governo del Presidente Nicolás Maduro e ai partiti che lo appoggiano: otto, di cui 4 con rappresentazione parlamentare. Invece c’è ch
i sostiene i partiti dell’opposizione riuniti nel Tavolo per l’unità democratica (MUD): sedici di cui 13 con rappresentanza parlamentare. Nell’Assemblea Nazionale, parlamento unicamerale, il governo ha 55 voti e le opposizioni 112 (Legislatura 2016-2021).
Dentro il Paese le cose però sono un po’
più articolate perché una parte dei venezuelani, abbastanza minoritaria,
si colloca in questa dialettica descritta e si tratta spesso di gruppi
guidati e manipolati dai sostenitori o dai contrari al governo. Sono
minoranze ma rumorose e sanno avvalersi con astuzia dei media che,
divisi anche essi in due posizioni, partecipano con entusiasmo al gioco.
L’immensa maggioranza del Paese vive,
meglio sopravvive, in un’altra dimensione: contrari o favorevoli a
Maduro sono milioni di venezuelani che cercano ogni giorno di passare la
giornata e garantirsi un minimo per il domani. Loro non hanno tempo per
far parte attiva dello scontro che dilania e devasta la nazione
venezuelana. Le loro teste si trovano in un’altra dimensione che,
naturalmente, è lontana anni luce dalla guerra tra le oligarchie che
hanno preso in ostaggio il Paese. Se nelle manifestazioni di questi
giorni sono scesi per strada 6 milioni di venezuelani, cifra senza
riscontro e verifica plausibili, si tratterebbe solo del 20% della
popolazione totale (30.410.000).
In Venezuela nessuna delle parti, governo
e opposizioni, rappresentano una soluzione; anzi, governo e opposizioni
sono il vero problema, in particolare il fatto che nessuna riconosce
l’altro come vero interlocutore. Da quattro anni almeno il Paese è
paralizzato, ingabbiato, in discesa continua, dall’odio reciproco, dalla
mediocrità politica, dalle ambizioni smisurate dei leader o presunti
tali e dalla confusione mentale che colpisce in uguale maniera ciò che
resta del “chavismo” senza Chávez (Maduro e i suoi, forti solo perché
sostenuti dalla maggioranza delle Forze armate) e ciò che viene chiamato
opposizione ma che in realtà è un raggruppamento di 4 o 5 pretendenti
alla poltrona di Maduro con la propria parvenza di partito politico.
Questo antagonismo dei protagonisti, non
particolarmente sinceri e lineari, maestri del gioco tattico, meschini,
senza visione lungimirante sul futuro del Paese e, in realtà, senza
particolare interesse vero per il popolo, ormai allo stremo, non ha mai
permesso il decollo di un dialogo e tutti coloro, e sono tanti, che
hanno provato a mediare e/o facilitare l’incontro tra le parti sono
stati impallinati dall’una e dall’altra parte. E’ accaduto con la buona
volontà di Papa Francesco e della diplomazia vaticana, con l’Unione
delle Nazioni Sudamericane (Unasur) guidata dall’ex Presidente
colombiano Ernesto Samper, con l’autorevole assistenza di tre politici
di primo ordine: l’ex Premier spagnolo Rodríguez Zapatero, gli ex
governanti Leonel Fernández (Repubblica Dominicana) e Martín Torrijos
(Panamà). Non solo. Le parti, in particolare Maduro e gli uomini forti
del “chavismo”, hanno fatto, tra bugie e acrobazie verbose, orecchie da
mercante di fronte ai consigli saggi e tempestivi dei governi di Cuba,
del Cile, della Bolivia, del Nicaragua e di tanti altri come le Nazioni
Unite, l’Unione Europea e la stessa Russia di Putin così come della Cina
e dell’Algeria.
L’una e l’altra parte è convinta che può
schiacciare l’avversario e quindi non sono mai stati sinceramente
disposte al dialogo e per dare una parvenza di giustificazione al
proprio settarismo si sono arrampicate su mille tralicci ideologici, a
volte farneticanti. Ora sembrerebbe che tutti e due hanno imboccato la
strada dello scontro e della violenza, prove di guerra civile. Il
penultimo errore prima della catastrofe.
A questo c’è una sola via che può evitare
il peggio: la mobilitazione dei governi dell’America Latina, ma non
solo, dell’ONU e dell’Unione Europea per costringere le parti ad andare
al voto per rinnovare le più alte cariche dello Stato e i governatori
degli stati ma anche l’Assemblea Nazionale dando garanzie su un processo
elettorale breve, pulito e sotto osservazione internazionale, ma anche
garanzie sul rispetto dei risultati.
La stampa riferisce che, Papa Francesco
avrebbe espresso al Ministro degli Affari esteri dell’Argentina, signora
Susana Malcorra, la sua angoscia e preoccupazione per la situazione in
Venezuela e il suo desiderio di mantenere fermo l’impegno in favore del
dialogo tra le parti. Simile concetto avrebbe ribadito alla Ministro
argentina il Segretario di Stato, card. Pietro Parolin. E’ l’unica via
sensata e possibile per fermare la violenza ormai senza freni. Occorre
però che, in particolare, i governi latinoamericani esercitino pressioni
per indurre le parti alla ragionevolezza, e cioè alle elezioni. A
questo punto, seppure con ritardo, è urgente restituire al popolo
venezuelano il suo diritto a decidere e quanto sarà eventualmente deciso
nelle urne deve essere rispettato da tutti.
La Chiesa cattolica in Venezuela,
trascinata spesso alla propria causa da parte delle opposizioni,
violentamene attaccata e contestata dal governo, può avere un ruolo
decisivo se riesce a far passare i veri contenuti della sua posizione
altrimenti, come accade già oggi, sarà immischiata in un conflitto
gravissimo. Deve essere chiarissimo che la Chiesa non è patrimonio
politico di nessuno e che non è sua missione deporre o insediare
governi. Spetta alla Chiesa la difesa del bene comune dei venezuelani e
oggi questo bene comune si chiama “soluzione politica del conflitto”.
Occorre dunque chiarire ogni ambiguità e i vescovi dovrebbero agire in
modo più compatto evitando di moltiplicare commenti e analisi in una
situazione tanto ingarbugliata che a volte basta una sola parola poco
felice per trarre conseguenze fuorvianti. Occorre più compattezza dietro
alle esortazioni di Papa Francesco e dietro a quanto ormai dice dal
giorno della sua elezione.