martedì 22 luglio 2014

La sentenza "RubyRubacuori" spiegata in Dipietrese

Montenero, 18 luglio 2014 -
 
 Le sentenze si rispettano sempre, sia quando piacciono che quando non piacciono e a me francamente non piace né la sentenza di appello che ha assolto Silvio Berlusconi per la vicenda Ruby, né la sentenza di primo grado che invece, per gli stessi fatti, lo aveva condannato a 7 anni di carcere.
Ripeto, le sentenze vanno sempre rispettate ed io anche stavolta mi atterrò a questo sacro principio. Le sentenze però possono anche essere serenamente commentate (pur rispettando i giudici, gli accusati e gli accusatori).
Ciò premesso, a me pare che - nel caso di specie - ci siano state due forzature di troppo: in primo grado aver condannato Berlusconi anche per "concussione per costrizione" ed in appello averlo assolto anche per il reato di "prostituzione minorile”.
Ma andiamo con ordine ed innanzitutto riassumiamo la vicenda.
La Procura della Repubblica di Milano, in relazione alla vicenda Ruby, aveva accusato Berlusconi di due specifici reati: quello di aver avuto rapporti sessuali con la minorenne Karima-Ruby El Marhouh (Ruby Rubacuori, appunto) punito dall’art. 600 bis del codice penale con la pena da uno a sei anni di reclusione e quello di concussione per costrizione punito dall’art. 317 del codice penale con la pena da sei a dodici anni di reclusone, per avere egli– nella sua qualità, all’epoca dei fatti, di Presidente del Consiglio in carica- abusato di tale sua qualità per "costringere” il Capo di Gabinetto della Questura di Milano Pietro Ostuni a far rilasciare la predetta Ruby (che, nel frattempo era stata portata in Questura dagli agenti di Polizia ed ivi trattenuta per accertamenti) sostenendo che, altrimenti, sarebbe successa una diatriba internazionale in quanto la predetta era imparentata con l’ex Presidente egiziano Hosni Mubarak (mentre invece, nella realtà era ed è una cittadina marocchina che nulla aveva a che vedere con l’Egitto).
Ebbene, i giudici di primo grado hanno riconosciuto Berlusconi colpevole di entrambi i reati, ritenendo provato sia che Berlusconi fosse perfettamente al corrente che la signorina Ruby fosse minorenne (e quindi aveva il dovere di non avere rapporti sessuali con lei perché appunto la legge vieta ai maggiorenni di avere rapporti sessuali con minorenni) sia che il funzionario della Questura Ostuni fosse stato costretto ad assecondare le richieste del Presidente del Consiglio di far uscire dalla Questura la signorina Ruby. I giudici di Appello, invece, hanno assolto Berlusconi da entrambi i reati, sebbene con motivazioni diverse. Egli infatti è stato assolto dall’accusa di concussione "perché il fatto non sussiste” e dall’accusa di prostituzione minorile "perché il fatto non costituisce reato”.
Assoluzione che ho così tradotto "in dipietrese” a mia sorella Concetta che – qui a Montenero dove mi trovo - me ne ha appena chiesto spiegazione: i giudici di appello hanno assolto Berlusconi dall’accusa di concussione perché il dr. Ostuni della Questura di Milano non era e non può essere considerato alla stregua di un "povero cristo” che - siccome gli telefona il Presidente del Consiglio - si impaurisce a tal punto da non potergli "resistere” e quindi da non potergli dire che Ruby non era e non poteva essere affatto parente di Mubarak e soprattutto che non poteva essere rilasciata nell’immediatezza in quanto, anche nei suoi confronti, dovevano essere effettuati gli accertamenti di rito che ogni Ufficio Stranieri di ogni Questura d’Italia ha l’obbligo di svolgere in casi del genere.
Insomma, ai giudici di Appello potrebbe essere sembrato più plausibile che il dr. Ostuni si sia volontariamente adeguato alle richieste di Berlusconi, pur essendo le stesse improprie e fuori luogo. Attenzione però: per capire meglio le ragioni per cui i giudici di Appello si sono determinati ad assolvere Berlusconi dobbiamo attendere la pubblicazione delle motivazioni perché non dobbiamo dimenticarci che, nel frattempo, è intervenuta le legge n.190 del 6 novembre 2012 con cui è stato di fatto abolito il reato di "concussione per induzione”, reato tipico di chi vuole convincere spintaneamente – si ho detto "spintaneamente” e non spontaneamente – un pubblico ufficiale a favorirlo, abolizione che è comunque intervenuta a fagiolo per risolvere anche questo caso (come anche il "caso Penati”, in verità).
Quindi, ed in conclusione, per la Corte di Appello di Milano -mancando un elemento essenziale per la commissione del reato (ovvero la "costrizione”) - il fatto-reato "non sussiste”, vale a dire che è come se non si fosse mai verificato
Berlusconi, però, è stato assolto anche dall’accusa di prostituzione minorile ma in questo caso non perché "il fatto non sussiste” bensì perché "il fatto non costituisce reato”, vale a dire che – sempre secondo i giudici di Appello- il "fatto” c’è o ci potrebbe essere stato ma non è reato in quanto Berlusconi non aveva avuto la percezione di avere a che fare con una minorenne (anche in questo caso, comunque è bene attendere la pubblicazione della sentenza per capire meglio su quali elementi di fatto i giudici sono arrivati a tale conclusione).
Così stando le cose, e tornando all'inizio del mio discorso, ribadisco che a me – pur dovendo rispettare, come rispetto, entrambe le sentenze – nessuna delle due mi convince.
Già non mi aveva convinto la sentenza di primo grado e cioè quella che aveva condannato Berlusconi per "concussione per costrizione” ai danni del dr. Ostuni e ciò in quanto a me è sembrato sin da primo momento più plausibile che tale funzionario della Questura di Milano possa aver deciso di sua sponte di assecondare Berlusconi o quanto meno possa esservi stato "indotto” dal fatto che stava parlando con il Presidente del Consiglio in persona ma in tal caso -come abbiamo sopra precisato – tale tipo di reato era stato nel frattempo abolito dalle legge n. 190 del 2012 (che fortunata coincidenza, eh!!!).
Comunque per me - per come sono fatto io e per come mi sono sempre comportato -  avrei preferito che il funzionario della Questura avesse reagito come dovrebbe reagire sempre un Pubblico Ufficiale "con le palle”(scusate il termine), resistendo a qualsiasi pressione esterna, fosse pure del Presidente del Consiglio!!!
Bene quindi hanno fatto i giudici di Appello a rivedere questo passaggio della sentenza di primo grado, anche se, forse poteva essere meglio esplorata la figura processuale del nuovo reato pure introdotto dalla legge n.190/12 (istigazione alla corruzione) e, comunque, attendiamo di leggere come si esprimeranno in relazione all'abolito reato di "concussione per induzione”.
Non mi convince, invece,  neanche l’assoluzione che in Appello i giudici hanno riconosciuto a Berlusconi per il reato di prostituzione minorile e ciò perché non vedo la ragione per cui costui si sia dato tanto da fare quella notte per far uscire dalla Questura la ragazzina Ruby Rubacuori e farla affidare addirittura alle cure della nota consigliere regionale ma, soprattutto, igienista dentale Nicole Minetti se non perché poteva sapere che la ragazza era minorenne e quindi poteva metterlo nei guai.
Ma comunque, ripeto, le sentenze si rispettano ed io ho voluto esprimere le mie riserve, solo per far sapere come la penso e non già per pretendere di giudicare gli altri.
Per il resto chi vivrà vedrà!!!
Antonio Di Pietro
già magistrato ed ora contadino

Srebrenica, Olanda condannata per non aver fermato il massacro

di Emiliano Germani (DirittoDiCritica)

Non esiste neutralità di fronte ad un assassino. Non fare nulla per fermarlo è già una scelta, non è essere neutrale”. È una delle frasi più significative del film “No man’s land”, che con ironia e intelligenza ha raccontato l’orrore della guerra in Bosnia e la frequente inerzia della diplomazia internazionale e delle cosiddette “forze di pace” dell’ONU di fronte ad una violenza tanto ottusa quanto inutile.

Una follia etnica. Srebrenica è il nome di una cittadina dell’ex Jugoslavia, oggi parte di quella assurda entità geografica nata dalle sue ceneri la Bosnia Erzegovina. Una sorta di stato inter-etnico, nato da anni di massacri tra bosniaci serbi ortodossi, bosniaci croati cattolici e bosniaci musulmani. Persone che, dopo aver vissuto per anni come vicini di casa, colleghi, spesso addirittura come parenti, all’improvviso hanno trovato nel delirio nazionalistico una ragione per odiarsi, farsi del male, uccidersi e depredarsi.

Il massacro. Srebrenica dista da Roma poco più di 600 km in linea d’aria. Come Bolzano, pressappoco. Eppure molti italiano non sanno che poco più di 19 anni – l’anniversario è caduto in questi giorni – lì furono uccise circa 8mila persone. Anche se i calcoli sull’effettivo numero dei morti è reso difficile dal fatto che i corpi sono stati prima ammassati in fosse comuni, poi dissepolti e spostati, per paura che qualcuno un giorno potesse trovarli. Ad oggi, sono stati identificate 6mila persone. Ma quelle che mancano all’appello sono molte, molte di più.

L’Onu immobile. A difendere Srebrenica 11 anni fa c’era un contingente ONU olandese. Le persone di Srebrenica vedevano nei caschi blu la garanzia della loro salvezza. Ma quando i miliziani serbi si presentarono alle porte della città, l’Onu non li fermò. Quando i miliziani serbi chiesero che le migliaia di bosniaci rifugiati nella loro base uscissero, i caschi blu olandesi acconsentirono. E quando i serbi entrarono in città, 8mila bambini, uomini e vecchi dai 12 ai 77 anni sparirono nel nulla, mentre le donne e le bambine rimaste sole divennero preda dello stupro etnico.

La sentenza. Oggi, il Tribunale dell’Aja, a cui si erano rivolti i parenti delle vittime, ha ritenuto il governo di Amsterdam “civilmente responsabile” per la morte di 300 persone deportate dai serbi bosniaci dal compound olandese di Potocari, alle porte di Sebrenica. Il governo olandese dovrà quindi risarcire le famiglie delle vittime. Tuttavia, al tempo stesso, il tribunale ha sancito che lo stato olandese non può essere giudicato responsabile complessivamente della strage perché anche se la avesse denunciato direttamente alle Nazioni Unite, ciò “non avrebbe comportato un intervento militare diretto dell’Onu” e non avrebbe perciò impedito il genocidio.

Fare i conti con l’inadeguatezza militare. Difficile e forse ingiusto giudicare i militari olandesi che all’epoca si trovavano a Srebrenica. La maggior parte di loro eseguiva semplicemente degli ordini e anche gli ufficiali si trovarono a fare i conti non solo con una evidente inadeguatezza militare (poche centinaia di olandesi contro migliaia di serbi bene armati), ma anche con le pastoie burocratiche dell’Onu e della diplomazia internazionale. Tra l’altro, molti di quei soldati, tornati in patria, hanno sofferto per anni di stress post-traumatico, molto probabilmente legato anche all’orrore di Srebrenica. L’Olanda, dal canto suo, ha affrontato la questione sia dal punto di vista politico (nel 2002 la pubblicazione di un report che denunciava i limiti organizzativi e militari del contingente inviato in Bosnia causò una crisi di governo), sia dal punto di vista giudiziario, come dimostra la sentenza appena emessa. Certo, tempi lunghi, lunghissimi.
In ogni caso, a distanza di anni, rimane lo sgomento per l’orrore della guerra e per come, nel pieno cuore dell’Europa, l’Onu si sia trovata ad essere spesso spettatore passivo delle sofferenze di persone che doveva proteggere.