di Marco Consolo
Per la prima volta in Cile due donne si
affronteranno al ballottaggio. La ex-presidente socialista Michelle Bachelet, candidata della coalizione Nueva Mayoria
(centro-sinistra e Partito Comunista) passa il primo turno con il 46%
sconfiggendo la pinochetista Evelyn Matthei, che si ferma a poco più del
25%. La Matthei candidata ufficiale della destra, è riuscita a
rimontare nelle ultime settimane uno scenario in cui si parlava
addirittura della possibilità di non arrivare al ballottaggio. La
destra, infatti, si è presentata profondamente divisa, e la parte
moderata ha scelto Franco Parisi, un’economista liberale indipendente
che ha eroso la base elettorale della Matthei con proposte “trasversali”
ed ottiene il quarto posto con poco più del 10%. Nonostante ciò la Uniòn Democractica Independiente (UDI), il partito dei dinousari di Pinochet, è ancora il più votato e ciò la dice lunga sulla base sociale della dittatura.
L’astensione raggiunge il 50%, ed
impedisce la vittoria al primo turno della candidata socialista
Bachelet. Per motivare al voto non è bastata la riforma della legge
elettorale con l’iscrizione automatica nelle liste, annacquata dal voto
volontario. Una riforma disegnata sui principi liberali del voto come
“diritto” e non come “dovere” di cittadinanza, che si rifanno al sistema
statunitense. E che disincentiva anche nel terreno elettorale la
partecipazione, che probabilmente diminuirà al ballottaggio del 15
dicembre.
Ad una prima analisi più dettagliata del
voto, ancora a caldo, il dato dell’astensionismo è più forte nei
quartieri popolari (quasi il 60%) e minore in quelli medio-alti (40%).
Se il dato si conferma, il risultato parla della distanza e della
disaffezione con rispetto al sistema politico della base sociale
“naturale” del centro-sinistra e della sinistra. Ma nei quartieri
popolari anche il voto della destra dura è di tutto rispetto. Secondo
la recente inchiesta del Latino-barometro la società cilena è la meno interessata alla politica tradizionale di tutto il continente.
Il Partito comunista, presente nella coalizione Nueva Mayoria,
esce molto bene dalla competizione elettorale capitalizzando la sua
presenza attiva nei movimenti. Raddoppia i suoi parlamentari, passando a
6 deputati, tra le quali 2 donne, dirigenti di movimenti
giovanili, Karol Cariola (Segretaria della Gioventù Comunista) e Camila
Vallejo (ex-presidente de la Federazione degli Studenti Universitari).
Il contributo dei comunisti alla vittoria della Bachelet al primo turno è
stato decisivo.
Non c’è dubbio che, grazie alle
mobilitazioni studentesche, si è incrinata la cappa di piombo che
gravava sulla società cilena, prima per i 17 anni di dittatura militare e
poi per i 23 del governo della Concertaciòn di centro-sinistra. Dopo la lunga parentesi della Concertaciòn, che
ha “migliorato” il modello sociale neo-liberista dei “Chicago boys” e
realizzato la modernizzazione capitalista, 4 anni fa i cileni avevano
eletto la destra di Piñera che ha dovuto però affrontare le crescenti
mobilitazioni sociali. I movimenti (in primo luogo gli studenti, ma
anche il movimento sindacale e quello ambientalista), rivendicando la
loro autonomia dal quadro istituzionale, hanno rimesso al centro della
politica alcuni temi centrali: la riforma costituzionale (e la legge
elettorale binominale), quella tributaria, quella dell’educazione.
Non a caso la lettura della destra (in prima fila El Mercurio e La Tercera)
oggi centra la sua attenzione sui quorum del parlamento necessari per
le riforme strutturali. Quorum altissimi stabiliti dalla costituzione
pinochetista per impedire qualsiasi cambiamento strutturale. Basti
pensare che nella costituzione in vigore il ruolo dello Stato è definito
come «complementare al mercato». E nonostante i risultati i seggi ottenuti non garantiscono un margine di manovra efficace per trasformazioni di fondo.
Il programma della Bachelet, discusso da
tutta la coalizione, riflette le contraddizioni esistenti anche se di
certo è più avanzato che nel passato. E diversi grandi gruppi economici
che hanno appoggiato la campagna della Bachelet, chiederanno presto il
conto.
La richiesta di un’Assemblea Costituente
(AC) è stata espressa da uno schieramento amplio anche attraverso
l’apposizione sulla scheda elettorale di un simbolico AC, insieme al
voto.
Spinosa la riforma tributaria che
prevede l’aumento dal 20 al 25% delle imposte alle imprese (seppure in 4
anni). Così come il grande tema della “fine del lucro” nel settore
educativo, che sarà un banco di prova per la coalizione. Un buon segnale
è che siano stati promossi tutti i candidati del movimento studentesco,
non solo quelli comunisti, ma anche gli indipendenti Giorgio Jackson e
Gabriel Boric, mentre un settore dei liceali aveva chiamato
all’astensionismo.
IL tema della politica estera sarà un
altro punto di conflitto, visti i cattivi rapporti con i vicini Bolivia e
Perù, la distanza dal Venezuela bolivariano e la collocazione cilena
nell’Alleanza del Pacifico che riunisce i governi della destra
latinoamericana, un fattore di destabilizzazione dell’integrazione
continentale in atto.
Insieme ad una distanza dal politicismo
espressa dall’astensionismo e dal rifiuto verso istituzioni che non
hanno voluto risolvere i grandi problemi del paese, allo stesso tempo il
risultato elettorale consegna un parlamento più dinamico, che riflette
la richiesta di cambiamento di un modello sociale, economico,
ambientale.
Nonostante l’ampio margine, il
ballottaggio non sarà in discesa. Nessuno dei candidati sconfitti ha
dichiarato di voler appoggiare la Bachelet e la Nueva Mayoria.
Neanche Marco Enriquez Ominami, uscito dal centrosinistra prima delle
scorse elezioni e candidato del suo “Partito Progressista, che non ha
voluto fare nessuna alleanza di coalizione. Esce sconfitto con l’11% e
dimezza i suoi voti rispetto alla tornata elettorale di 4 anni fa.
Il prossimo marzo vi sarà il cambio di governo. I nodi verranno al pettine allora.
Il prossimo sabato il PC deciderà se
partecipare o meno nel governo, nel caso di una vittoria al
ballottaggio della coalizione. Nella storia cilena, il PC ha
partecipato due volte nel governo. La prima nel 1946, con il presidente
radicale González Videla, eletto grazie ai voti comunisti che dichiarò: «Io
vi assicuro che non ci sarà né potere umano, nè divino capace di
rompere il vincolo che mi unisce al Partito Comunista ed al popolo». Ma appena due anni dopo, nel Settembre del 1948, promulgò la “Legge di difesa della democrazia”, conosciuta come Ley maldita, che mise fuori legge il Partito Comunista per ben 11 anni ed eliminò dai registri elettorali i suoi militanti.
La seconda volta fu con Salvador Allende nel governo di Unidad Popular, che
terminò con il colpo di Stato di Pinochet che, per “estirpare il cancro
marxista”, represse nel sangue la sinistra ed il Partito Comunista.
Come sottolinea il suo Presidente, Guillermo Tellier, con questi
antecedenti, i comunisti discuteranno a fondo i termini della loro
eventuale partecipazione. Ma tutto sta ad indicare che saranno parte
della coalizione di governo.
La storia non si ripete, ma il passato bussa alla porta.
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