E' stato un simbolo, ma avrebbe voluto che la sua morte
avvenisse lontano dai riflettori. A sapere che era morto Don Enzo Mazzi,
il primo prete che aveva platealmente 'rotto' con le gerarchie
ecclesiastiche – o viceversa – sono state solo le persone a lui più
vicine. Poi in serata la notizia ha 'bucato' anche quella rete di
affettuosa riservatezza.
Per qualcuno era un ''prete
contro'', ma ascoltando i membri della Comunità dell'Isolotto non c'è stata altra persona oltre a lui che sia stata così ''per'', e non
''contro''. Soprattutto ''per'' loro e, più in generale, ''per'' gli
ultimi.
Don Enzo Mazzi era Enzo e basta, anche prima che
quel titolo ecclesiale non gli spettasse più; un rapporto franco e
diretto con i parrocchiani, l'attenzione a quell'attualità della fine
anni Sessanta fatta di tante contraddizioni anche nella fede, l'impegno
quotidiano in uno dei quartieri popolari e periferici di Firenze. Lo
stesso impegno che ha mantenuto fino a quando, ormai molto malato le
forze glielo hanno consentito.
Ormai da diverso tempo non
si svolgono le ''assemblee eucaristiche', come le chiamava lui, in
piazza, con i fedeli della Comunità fondata dopo la rimozione da
parroco nel 1968 dal cardinale Ermenegildo Florit: spesso sotto il sole
o, quando pioveva, sotto le tettoie del mercato del quartiere. Il
braccio di ferro con le gerarchie ecclesiastiche cominciò con la
lettera di solidarietà agli occupanti del Duomo di Parma. Florit chiese
di ritirare quella lettera ma di fronte non si trovo il diniego del
riottoso parroco dell'Isolotto, bensi' centinaia di fedeli.
Così
il 4 dicembre 1968, tre giorni prima della clamorosa protesta degli
studenti davanti alla Scala di Milano e poche settimane prima di una
analoga, ma sanguinosa manifestazione davanti alla Bussola di Viareggio,
arrivò la rimozione da parroco.
Si susseguirono le
manifestazioni di protesta e anche ''sfide'' plateali. Una la ricordava
lo stesso Mazzi: ''Quando venne un incaricato del vescovo a chiedermi le
chiavi della chiesa dell'Isolotto si trovò davanti a centinaia di
persone che tirarono fuori dalle tasche le chiavi delle loro case
dicendo 'eccole, sono queste le chiavi della chiesa'. Fu un concerto di
chiavi – raccontava Don Mazzi – un concerto meraviglioso''.
''Poi
mandarono un povero prete a sostituirmi, un kamikaze – raccontava
ancora – che denunciò alcuni fedeli dicendo che gli avevano impedito di
celebrare la Messa. Furono allora altre centinaia di persone che si
autodenunciarono dicendo: allora lo abbiamo fatto anche noi''.
Da
quei momenti ''caldi'' e attraverso i decenni Don Mazzi ha comunque
proseguito il suo lavoro pastorale nel mondo delle comunità di base, a
partire da quella che si era costituita attorno a lui. I suoi interventi
si sono susseguiti anche negli ultimi anni su temi delicati come quello
del fine-vita, continuando a segnare e ad animare la discussione tra
cattolici e non.
E che il segno sia comunque rimasto lo
testimoniano i messaggi ed i commenti di personalità molto diverse tra
loro, dal sindaco Matteo Renzi che ne ricorda l'impegno speso per la sua
gente fino all'ultimo, all'arcivescovo emerito Silvano Piovanelli che
invita alla preghiera e a non giudicare, fino a Don Alessandro Santoro,
un altro prete di frontiera considerato in parte un suo 'erede', che
ricorda come Mazzi amasse ''il vero Gesu'''.
Domani
l'ultimo saluto di preghiera della ''sua'' comunità, quella che
tintinnava le chiavi per fargli sentire che era dalla sua parte.