Lucarelli: "Adesso i comuni possono scegliere il loro modello. Come ha fatto Napoli"
di Antonella Loi (Tiscali Notizie, 15.06.11)
L'effetto immediato del risultato del referendum è che cade l'obbligo di cedere il 40 per cento delle società di gestione dell'acqua (articolo 23) entro il 31 dicembre. Una norma che avrebbe spalancato le porte ai privati e che invece lascia spazio alle norme europee. L'affarone fiutato da molti, insomma, è sfumato: i comuni, qualora lo ritengano necessario, sono infatti liberi di ripubblicizzare i servizi idrici. Che peraltro, fino ad ora e con poche eccezioni, sono quasi tutti in mano pubblica. "Gli enti pubblici territoriali possono scegliere il loro modello", conferma Alberto Lucarelli, docente di diritto pubblico e tra gli estensori dei quesiti referendari sull'acqua, oltreché neo assessore ai Beni comuni della giunta De Magistris a Napoli. "A norma del decreto legislativo 152 - dice Lucarelli - possono scegliere se optare per un modello misto o in house o fare le gare a evidenza pubblica e quindi privatizzare. In questo senso i comuni sono tornati padroni dei loro beni".
Ma qual è la situazione acqua in Italia?
Un'indagine dell'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (Avcp) dice che su 106 casi di servizi idrici dati "in affidamento", 66 sono quelli gestiti da organismi controllati direttamente dai comuni o da altri enti locali. Nei casi non "in house" sono presenti i privati, ma sempre in minoranza. I contratti in essere dunque proseguiranno fino alla naturale scadenza. Così, per esempio la società di gestione del servizio idrico di Milano, Metropolitana milanese Spa (interamente partecipata dal comune), potrà essere titolare del contratto fino al 2027. Cosa può cambiare ora, dopo il risultato referendario? Ce lo spiega con estrema chiarezza, anche nei fatti, proprio il neo assessore ai Beni comuni del comune di Napoli dove, a tempo di record, pochissimi giorni dopo il referendum, il primo atto di indirizzo è stato quello di riportare l'acqua sotto l'ombrello comunale. "Tramite la mia delibera, la prima in Italia - dice Lucarelli - si decide di trasformare l'Arin Spa in una società di diritto pubblico partecipata. E' una scelta che, dopo il referendum, il comune fa legittimamente: ovviamente si tratta di una scelta politica".
Un'indagine dell'Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (Avcp) dice che su 106 casi di servizi idrici dati "in affidamento", 66 sono quelli gestiti da organismi controllati direttamente dai comuni o da altri enti locali. Nei casi non "in house" sono presenti i privati, ma sempre in minoranza. I contratti in essere dunque proseguiranno fino alla naturale scadenza. Così, per esempio la società di gestione del servizio idrico di Milano, Metropolitana milanese Spa (interamente partecipata dal comune), potrà essere titolare del contratto fino al 2027. Cosa può cambiare ora, dopo il risultato referendario? Ce lo spiega con estrema chiarezza, anche nei fatti, proprio il neo assessore ai Beni comuni del comune di Napoli dove, a tempo di record, pochissimi giorni dopo il referendum, il primo atto di indirizzo è stato quello di riportare l'acqua sotto l'ombrello comunale. "Tramite la mia delibera, la prima in Italia - dice Lucarelli - si decide di trasformare l'Arin Spa in una società di diritto pubblico partecipata. E' una scelta che, dopo il referendum, il comune fa legittimamente: ovviamente si tratta di una scelta politica".
Come politica è anche la scelta fatta dalla Puglia all'indomani del responso delle urne.
"Ma quanto accade nella Regione guidata da Vendola - spiega Lucarelli - è diverso perché trattasi di un ente con potestà legislativa e quindi è una sfera un po' diversa". Autore del disegno di legge di ripubblicizzazione dell'Aqp Spa presentato la settimana scorsa al consiglio regionale, Lucarelli precisa come però "la strada sia diversa e fatta addirittura sotto l'ombrello normativo del regime Ronchi". E infatti, spiega ancora, "il problema sorge per i comuni che non hanno la possibilità di fare leggi ma devono procedere con atti amministrativi". La strada è quella tracciata da Napoli.
"Ma quanto accade nella Regione guidata da Vendola - spiega Lucarelli - è diverso perché trattasi di un ente con potestà legislativa e quindi è una sfera un po' diversa". Autore del disegno di legge di ripubblicizzazione dell'Aqp Spa presentato la settimana scorsa al consiglio regionale, Lucarelli precisa come però "la strada sia diversa e fatta addirittura sotto l'ombrello normativo del regime Ronchi". E infatti, spiega ancora, "il problema sorge per i comuni che non hanno la possibilità di fare leggi ma devono procedere con atti amministrativi". La strada è quella tracciata da Napoli.
Capire come si muoveranno ora provincie come quella di Firenze,
dove l'affluenza alle urne (in città) è stata una delle più alte d'Italia con il 67,2 per cento. Un dato che non stupisce, proprio perché la città dei Medici, stando ad uno studio di Federconsumatori sul servizio idrico (condotto in 93 città italiane), è quella che detiene il record tariffario in bolletta: 478 euro in città e nel comprensorio, con Pistoia, Arezzo e Prato, contro una media nazionale di 311 euro per un consumo annuo di 200 metri cubi. A Firenze l'acqua è gestita da Publiacqua Spa con un 40 per cento di capitale in mano privata (tra cui figurano Acea S.p.A., Suez Environnement S.A., MPS S.p.A.).
dove l'affluenza alle urne (in città) è stata una delle più alte d'Italia con il 67,2 per cento. Un dato che non stupisce, proprio perché la città dei Medici, stando ad uno studio di Federconsumatori sul servizio idrico (condotto in 93 città italiane), è quella che detiene il record tariffario in bolletta: 478 euro in città e nel comprensorio, con Pistoia, Arezzo e Prato, contro una media nazionale di 311 euro per un consumo annuo di 200 metri cubi. A Firenze l'acqua è gestita da Publiacqua Spa con un 40 per cento di capitale in mano privata (tra cui figurano Acea S.p.A., Suez Environnement S.A., MPS S.p.A.).
Altra realtà critica è quella di Acqualatina Spa
che, anch'essa ceduta in parte a gestori privati, fa registrare nel Lazio incrementi in bolletta ben al di sopra della media nazionale: +11,9% contro il 6,7%, secondo uno studio di Cittadinanza attiva. "Acqualatina - spiegava pochi giorni fa Alberto De Monaco del comitato Acqua pubblica - ha acceso un mutuo da 114 milioni di euro con Depfa Bank, di questi ne sono stati spesi solo 90, mentre il costo per la collettività tra interessi, swap e consulenze, ha già toccato i 21 milioni di euro". Da qui alla ribellione della gente di Aprilia il passo è breve: sono ormai anni che i residenti della cittadina in provincia di Latina pagano le bollette direttamente al comune come se fosse il gestore. Se allora è vero, come rileva l'esponente del comitato Acqua pubblica, che "gli aumenti dal 2004 (anno di cessione dei servizi idrici ad Acqualatina) al 2011 sono stati misurati nel 200 per cento" e che a questo dato bisogna aggiungere che le tariffe programmate in bolletta prevedono "un incremento del 5 per cento ogni anno fino al 2014", la domanda è se i comuni possano ora intervenire efficacemente per calmierare i prezzi dell'acqua.
che, anch'essa ceduta in parte a gestori privati, fa registrare nel Lazio incrementi in bolletta ben al di sopra della media nazionale: +11,9% contro il 6,7%, secondo uno studio di Cittadinanza attiva. "Acqualatina - spiegava pochi giorni fa Alberto De Monaco del comitato Acqua pubblica - ha acceso un mutuo da 114 milioni di euro con Depfa Bank, di questi ne sono stati spesi solo 90, mentre il costo per la collettività tra interessi, swap e consulenze, ha già toccato i 21 milioni di euro". Da qui alla ribellione della gente di Aprilia il passo è breve: sono ormai anni che i residenti della cittadina in provincia di Latina pagano le bollette direttamente al comune come se fosse il gestore. Se allora è vero, come rileva l'esponente del comitato Acqua pubblica, che "gli aumenti dal 2004 (anno di cessione dei servizi idrici ad Acqualatina) al 2011 sono stati misurati nel 200 per cento" e che a questo dato bisogna aggiungere che le tariffe programmate in bolletta prevedono "un incremento del 5 per cento ogni anno fino al 2014", la domanda è se i comuni possano ora intervenire efficacemente per calmierare i prezzi dell'acqua.
Partendo dall'abrogazione referendaria della norma che assegnava il 7 per cento di remunerazione ai gestori a fronte degli investimenti e che di fatto si rifletteva sulle tariffe ai cittadini, "è immaginabile che eliminando quel 7 per cento si riduca la bolletta", spiega Lucarelli. L'obiettivo, nell'idea portante che soggiace al referendum, è andare oltre il profitto. "Se si gestisce il servizio senza avere questo obiettivo, come per natura hanno le Spa, si supera il problema. Cioè - spiega ancora il professore - l'efficienza deve avere delle ricadute sui cittadini perché se ha ricadute solo sulla società allora è facile fare profitti alzando le bollette". Il problema invece è fare investimenti e "ridurre ulteriormente i margini dei profitti a vantaggio di una gestione efficiente". Né più né meno come successo a Parigi dove, da quando la gestione è pubblica, "c'è una forte riduzione delle bollette".
E a chi dice che il pubblico gli investimenti non li farà mai,
Lucarelli risponde che "sono piuttosto i privati a non aver investito un euro da quando stanno nel settore". L'unica loro preoccupazione, fino ad oggi, è stata quella "di giocare sulle tariffe massimizzando i profitti. Questo discorso - chiosa Lucarelli - è quindi fasullo perché da quando i privati sono entrati nella gestione del servizio idrico integrato c'è stata una riduzione degli investimenti pari al 65-70 per cento". Ma forse tutto il discorso è da rivedere perché l'inserimento nel "magico" decreto Sviluppo, in approvazione in Parlamento, rimette in campo un organismo come l'Agenzia per l'acqua - autorità di nomina politica che dovrebbe regolare il mercato idrico - che un senso ce l'aveva solo nell'ambito di un discorso di privatizzazione, in quanto modellata sul quell'articolo 23 del decreto Ronchi abrogato dal referendum. Come dire che, in barba alla volontà popolare, il privato esce dalla porta e rientra dalla finestra?
Lucarelli risponde che "sono piuttosto i privati a non aver investito un euro da quando stanno nel settore". L'unica loro preoccupazione, fino ad oggi, è stata quella "di giocare sulle tariffe massimizzando i profitti. Questo discorso - chiosa Lucarelli - è quindi fasullo perché da quando i privati sono entrati nella gestione del servizio idrico integrato c'è stata una riduzione degli investimenti pari al 65-70 per cento". Ma forse tutto il discorso è da rivedere perché l'inserimento nel "magico" decreto Sviluppo, in approvazione in Parlamento, rimette in campo un organismo come l'Agenzia per l'acqua - autorità di nomina politica che dovrebbe regolare il mercato idrico - che un senso ce l'aveva solo nell'ambito di un discorso di privatizzazione, in quanto modellata sul quell'articolo 23 del decreto Ronchi abrogato dal referendum. Come dire che, in barba alla volontà popolare, il privato esce dalla porta e rientra dalla finestra?