sabato 29 gennaio 2011
venerdì 28 gennaio 2011
Tutti a Milano il 5 febbraio per le dimissioni di B.
Inoltro questo messaggio che mi è stato inviato da Libertà e Giustizia...
L'indignazione e l'azione democratica degli italiani per bene sta crescendo!
Abbasso gli italiani bunga bunga
beppe
|
BERLUSCONI DIMETTITI
In risposta alla vergognosa idea di B. di far diventare piazza del Duomo di milano un postribolo contro i PM e la magistratura, si stanno moltiplicando molte iniziative CONTRO questa manifestazione e A FAVORE DEI PM E DELLA MAGISTRATURA.
Se non si riesce ad andare in piazza, almeno sosteniamole!
Eccone alcune che ho recuperato da Il Fatto.
beppe
Il 13 febbraio a Roma "Vado al Massimo…"
Non possiamo consentire che il governo autoritario di Berlusconi si trasformi in vero e proprio regime. Questo potrebbe accadere con la marcia su Milano del 13 febbraio. Quel giorno, approfittando dell'appoggio della frangia leghista, cercherà di riempire piazza Duomo per dimostrare che "gli italiani sono con lui".
Finora sono i suoi sondaggi virtuali a trasmettere questo messaggio. E grazie alle sue tv, ha potuto giocarselo senza contraddittorio. Ma se davvero, il 13 febbraio, l'unico segnale che l'Italia (e il mondo) recepisse fosse l'aggressione squadrista ai magistrati che lui sta preparando in piazza, sarebbe realmente la fine dello stato democratico e lo spegnimento delle residue speranze di riscossa.
Per questo sostengo l'idea di Beppe Giulietti e Federico Orlando di Articolo 21 di mobilitarci per reagire con una grande manifestazione alternativa a Roma perché gli italiani – di ogni connotazione sociale e politica – il 13 febbraio possano dimostrare di volere la legalità costituzionale, la dignità delle donne e la difesa delle istituzioni democratiche.
Tre mobilitazioni preparatorie importanti avvicineranno la scadenza del 13 febbraio: domani a Milano, con Un'altra storia italiana è possibile, alle 15 in Piazza della Scala ci saranno le donne, per "ridare dignità all'Italia"; il 5 febbraio, sempre a Milano, con la grande manifestazione promossa da Libertà e Giustizia Dimettiti. Per un'Italia libera e giusta al Palasharp; il 12 febbraio in tutta Italia con le manifestazioni Adesso Basta! Berlusconi dimettiti organizzate dal Popolo Viola .
Il 13 dovrà essere una manifestazione imponente e democratica, con in mano il tricolore e la Costituzione, aperta a tutti i soggetti che si riconoscono e difendono questi due simboli della coesione italiana. Per questo abbiamo già prenotato una piazza importante, la più importante di Roma: il Circo Massimo.
Decideremo insieme – nella riunione convocata da Articolo 21 per mercoledì 2 alle 13.30 nella sala San Claudio di palazzo Marini a Roma – le modalità e le iniziative necessarie per poter organizzare la più grande manifestazione degli ultimi tempi. I tempi sono brevi ma credo nell'indignazione e nell'orgoglio dei cittadini italiani che amano la legalità repubblicana. Per poter gridare – insieme a tutte le forze sociali, politiche e sindacali italiane – il nostro "Vado al Massimo… per la Costituzione, la difesa delle istituzioni democratiche, la dignità delle donne, la legalità".
Finora sono i suoi sondaggi virtuali a trasmettere questo messaggio. E grazie alle sue tv, ha potuto giocarselo senza contraddittorio. Ma se davvero, il 13 febbraio, l'unico segnale che l'Italia (e il mondo) recepisse fosse l'aggressione squadrista ai magistrati che lui sta preparando in piazza, sarebbe realmente la fine dello stato democratico e lo spegnimento delle residue speranze di riscossa.
Per questo sostengo l'idea di Beppe Giulietti e Federico Orlando di Articolo 21 di mobilitarci per reagire con una grande manifestazione alternativa a Roma perché gli italiani – di ogni connotazione sociale e politica – il 13 febbraio possano dimostrare di volere la legalità costituzionale, la dignità delle donne e la difesa delle istituzioni democratiche.
Tre mobilitazioni preparatorie importanti avvicineranno la scadenza del 13 febbraio: domani a Milano, con Un'altra storia italiana è possibile, alle 15 in Piazza della Scala ci saranno le donne, per "ridare dignità all'Italia"; il 5 febbraio, sempre a Milano, con la grande manifestazione promossa da Libertà e Giustizia Dimettiti. Per un'Italia libera e giusta al Palasharp; il 12 febbraio in tutta Italia con le manifestazioni Adesso Basta! Berlusconi dimettiti organizzate dal Popolo Viola .
Il 13 dovrà essere una manifestazione imponente e democratica, con in mano il tricolore e la Costituzione, aperta a tutti i soggetti che si riconoscono e difendono questi due simboli della coesione italiana. Per questo abbiamo già prenotato una piazza importante, la più importante di Roma: il Circo Massimo.
Decideremo insieme – nella riunione convocata da Articolo 21 per mercoledì 2 alle 13.30 nella sala San Claudio di palazzo Marini a Roma – le modalità e le iniziative necessarie per poter organizzare la più grande manifestazione degli ultimi tempi. I tempi sono brevi ma credo nell'indignazione e nell'orgoglio dei cittadini italiani che amano la legalità repubblicana. Per poter gridare – insieme a tutte le forze sociali, politiche e sindacali italiane – il nostro "Vado al Massimo… per la Costituzione, la difesa delle istituzioni democratiche, la dignità delle donne, la legalità".
Santoro: "Il 13 febbraio manifestazione davanti al tribunale di Milano"
"Berlusconi non rispetta gli altri". Per questo "Michele Santoro, Barbara Spinelli e Marco Travaglio hanno deciso di lanciare un appello. Il 13 febbraio senza bandiera e simboli dei partiti saremo davanti al tribunale di Milano per manifestare in difesa del lavoro della magistratura e dei valori di indipendenza e autonomia che sono fondanti nella nostra Costituzione".
Re: Flash Mob
L'italia non è una repubblica fondata sulla prostituzione
Con il termine flash mob (dall'inglese flash: breve esperienza o in un lampo, e mob: folla) si indica un gruppo di persone che si riunisce all'improvviso in uno spazio pubblico, mette in pratica un'azione insolita generalmente per un breve periodo di tempo per poi successivamente disperdersi. Il raduno viene generalmente organizzato
attraverso comunicazioni via internet o tramite telefoni cellulari. In molti casi, le regole dell'azione vengono illustrate ai partecipanti pochi minuti prima che l'azione abbia luogo.
per chi non c'era mercoledì... http://www.youtube.com/watch?v=BGsaUYpqJzM
Con il termine flash mob (dall'inglese flash: breve esperienza o in un lampo, e mob: folla) si indica un gruppo di persone che si riunisce all'improvviso in uno spazio pubblico, mette in pratica un'azione insolita generalmente per un breve periodo di tempo per poi successivamente disperdersi. Il raduno viene generalmente organizzato
attraverso comunicazioni via internet o tramite telefoni cellulari. In molti casi, le regole dell'azione vengono illustrate ai partecipanti pochi minuti prima che l'azione abbia luogo.
per chi non c'era mercoledì... http://www.youtube.com/watch?v=BGsaUYpqJzM
Re: Taranto, salute
'BOCCIATO' IL RIGASSIFICATORE DI TARANTO
DALLA COMMISSIONE TECNICA DI VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE
(DIRE - Notiziario Sanità) Roma, 27 gen. - La Commissione Tecnica di VIA (Valutazione dell'Impatto Ambientale) ha espresso parere negativo sulla realizzazione del rigassificatore nel porto di Taranto. La società proponente era la Gas Natural International SDG S.A. Il parere è definito "interlocutorio" in quanto in questi giorni passa all'esame del Ministro dell'Ambiente. Il decreto di VIA è comparso sul sito del Ministero dell'Ambiente e prende in considerazione i vari rischi di incidente rilevante che il Comitato contro il Rigassificatore di Taranto aveva evidenziato con le proprie osservazioni e con un'apposita petizione a partire dal 2006.
Il progetto di Taranto avrebbe comportato la realizzazione di un rigassificatore di gas naturale liquefatto (GNL) a poca distanza dall'acciaieria Ilva, dalla raffineria Eni e da altri siti ad alto rischio. Le opere marittime da realizzarsi nel porto industriale di Taranto avrebbero previsto un dragaggio sul fondale contaminato da "concentrazioni di cromo totale superiore a quella prevista dalla normativa ex lege 471/99 con l'inevitabile trasformazione dei fanghi in rifiuti".
La Commissione Tecnica di VIA ha inoltre obiettato che "il proponente non ha presentato alcuna specifica caratterizzazione dal punto di vista della salute umana e della comunità potenzialmente coinvolta" e ha sottolineato che "si sarebbe dovuta effettuare la descrizione degli inquinanti considerati, i processi di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene alimentari eventualmente coinvolte".
La Commissione Tecnica ha raccolto un'osservazione del Comitato contro il Rigassificatore evidenziando che "il Golfo di Tarato è riconosciuto essere esposto al risentimento di eventuali tsunami generati dall'area sismogenetica dell'arco ellenico (Cefalonia-Creta)".
Attualmente quello di Taranto risulta l'unico rigassificatore "bocciato" dalla Commissione Tecnica di VIA. Risultano invece approvati, con apposito decreto, tutti gli altri rigassificatori esaminati, anche se il parere positivo è "con prescrizioni".
I decreti VIA favorevoli riguardano i rigassificatori di Recanati, Rosignano Marittima (Livorno), Portovenere (La Spezia), Falconara Marittima (Ancona), Brindisi, Trieste, Porto Empedocle (Agrigento), Melilli (Siracusa), Gioia Tauro (Reggio Calabria) e un rigassificatore offshore al largo della Toscana.
Il progetto di Taranto avrebbe comportato la realizzazione di un rigassificatore di gas naturale liquefatto (GNL) a poca distanza dall'acciaieria Ilva, dalla raffineria Eni e da altri siti ad alto rischio. Le opere marittime da realizzarsi nel porto industriale di Taranto avrebbero previsto un dragaggio sul fondale contaminato da "concentrazioni di cromo totale superiore a quella prevista dalla normativa ex lege 471/99 con l'inevitabile trasformazione dei fanghi in rifiuti".
La Commissione Tecnica di VIA ha inoltre obiettato che "il proponente non ha presentato alcuna specifica caratterizzazione dal punto di vista della salute umana e della comunità potenzialmente coinvolta" e ha sottolineato che "si sarebbe dovuta effettuare la descrizione degli inquinanti considerati, i processi di dispersione, diffusione, trasformazione e degradazione e delle catene alimentari eventualmente coinvolte".
La Commissione Tecnica ha raccolto un'osservazione del Comitato contro il Rigassificatore evidenziando che "il Golfo di Tarato è riconosciuto essere esposto al risentimento di eventuali tsunami generati dall'area sismogenetica dell'arco ellenico (Cefalonia-Creta)".
Attualmente quello di Taranto risulta l'unico rigassificatore "bocciato" dalla Commissione Tecnica di VIA. Risultano invece approvati, con apposito decreto, tutti gli altri rigassificatori esaminati, anche se il parere positivo è "con prescrizioni".
I decreti VIA favorevoli riguardano i rigassificatori di Recanati, Rosignano Marittima (Livorno), Portovenere (La Spezia), Falconara Marittima (Ancona), Brindisi, Trieste, Porto Empedocle (Agrigento), Melilli (Siracusa), Gioia Tauro (Reggio Calabria) e un rigassificatore offshore al largo della Toscana.
giovedì 27 gennaio 2011
Re: Zanotelli, acqua
“ FIUMI BATTETE LE MANI! “
Sono queste le parole del Salmo 98 che mi sono improvvisamente affiorate alla mente quando mi è stato comunicato che la Corte Costituzionale aveva dato il via al referendum sull’acqua. Dopo anni di impegno, un sussulto di gioia e di grazie al Signore che riesce ancora a operare meraviglie, e un grazie allo straordinario “popolo dell’acqua” che ci ha regalato in due mesi un milione e mezzo di firme. La Corte ha approvato due dei tre quesiti referendari: il primo, che afferma che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e il terzo che toglie il profitto dall’acqua. Che la Corte Costituzionale (piuttosto conservatrice) abbia accolto queste due istanze sull’acqua in contrasto con i dogmi del sistema neo-liberista, è un piccolo miracolo. E questo grazie agli straordinari costituzionalisti che le hanno formulate e difese, da Rodotà a Ferrara, da Mattei a Lucarelli senza dimenticare Luciani. Ma la grande vincitrice è la cittadinanza attiva di questo paese che diventa il nuovo soggetto politico con cui anche i partiti dovranno fare i conti. “ I cittadini si sono appropriati del diritto di esprimersi sui beni comuni- hanno commentato A. Lucarelli e U. Mattei- sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali. Si è dato così significato e dignità all’art.1 della Costituzione Italiana , ovvero al principio che assegna al popolo la sovranità in una stagione di tragedia della democrazia rappresentativa.”
Tutto questo apre a una nuova stagione di democrazia: il cammino per riappropriarci dei beni comuni che ci sono stati sottratti. E questo l’abbiamo ottenuto senza finanziamenti (ognuno ha dato quello che ha potuto), senza i partiti presenti in Parlamento e senza l’appoggio dei grandi media. Questo rende ancora più straordinaria questa vittoria, la prima nel suo genere nell’Unione Europea. Dobbiamo ora lavorare sodo per informare, sensibilizzare, per convincere 25 milioni di italiani ad andare a votare (questo è il quorum necessario per la validità del referendum). Sarà una campagna referendaria molto dura perché abbiamo davanti un Sistema economico-finanziario che non può perdere l’oggetto del desiderio del XXI secolo: l’oro blu che è già scarso e andrà sempre più scarseggiando per il surriscaldamento del Pianeta. Per questo dobbiamo organizzarci bene con comitati a livello provinciale come a quello regionale. Dobbiamo imparare i processi democratici partendo dal basso, lavorando in rete e tenendoci tutti per mano, nel profondo rispetto del volto di ogni persona. Dobbiamo far nascere il nuovo dentro un Sistema che mercifica tutto, anche le persone. Nel frattempo invitiamo poi i cittadini a chiedere tre cose:
1) la Moratoria della legge Ronchi, per impedire la privatizzazione dell’acqua in pieno svolgimento del referendum perché, in caso di vittoria, quei Comuni che avranno privatizzato, dovranno sborsare somme notevoli ai privati per riappropriarsi della loro acqua;
2) la convocazione di un consiglio comunale monotematico sull’acqua per sottrarre il servizio idrico alle regole del mercato e della concorrenza, e sostenere e appoggiare i due Sì al referendum promosso dal Comitato
referendario "2 Sì per l’acqua bene comune";
3) il voto referendario venga associato alle elezioni amministrative previste per il mese di maggio.
Riteniamo poi fondamentale il ruolo che la Chiesa italiana può svolgere in questo referendum. Pertanto ai cristiani, alle parrocchie, alle comunità ecclesiali, chiediamo il coraggio di scendere a fianco di questo grande movimento dell’acqua pubblica. Chiediamo ai nostri vescovi di esprimersi ribadendo che l’acqua è la vita ed è un diritto fondamentale umano. In vista del referendum, chiediamo che la CEI si esprima sul tema di questo referendum, perché si tratta di un problema etico e morale.
Tutto questo è stato espresso molto bene dal vescovo cileno Luis Infanti della Mora di Aysén (Patagonia), nella sua stupenda lettera pastorale “Dacci oggi la nostra acqua quotidiana” : “ La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi. Alcune multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura, e soprattutto dell’acqua, possono essere legalmente padroni di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente proprietari di un bene dal quale dipende la vita dell’umanità. E’ un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà, facendo sì che la natura sia la più sacrificata e che la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri in particolare.”
E allora diamoci tutti da fare perché ‘ i fiumi ritornino a battere le mani’ quando il popolo italiano sancirà con i 2 Sì che l’acqua è bene comune, diritto fondamentale umano.
Alex Zanotelli
PD, Veltroni/Bersani
Vi segnalo questa acuta analisi di Luca Ricolfi uscita oggi sulla Stampa. Mi sembra che ci abbia preso in pieno sia sul tema Veltroni/Bersani, che sulla situazione più generale. Che ne pensate?
Lo
Le armi a doppio taglio del Pd
di Luca Ricolfi, 26.01.11
Lo
Le armi a doppio taglio del Pd
di Luca Ricolfi, 26.01.11
Da qualche giorno si torna a parlare di Walter Veltroni. C’è chi dice che la grande adunata di sabato scorso al Lingotto, con il tentativo di resuscitare lo spirito del «suo» Pd, sia il prologo di un’autocandidatura di Veltroni a guidare il centrosinistra, e forse un futuro governo in caso di vittoria elettorale. C’è chi dice che Veltroni stia per fare quello che Nenni fece nel 1976, allorché lanciò Craxi contro il segretario del Psi di allora, Francesco De Martino, spodestato nella «notte del Midas» (l’albergo nel quale i socialisti tenevano il loro Comitato centrale). Oggi la storia starebbe per ripetersi, con Veltroni che spodesta Bersani lanciando un giovane (Renzi, sindaco di Firenze) o un «non vecchio» (Zingaretti, presidente della Provincia di Roma).
C’è chi pensa che Veltroni sia semplicemente tornato a fare politica, riproponendo le sue idee di tre anni fa: riformismo radicale e vocazione maggioritaria. E c’è, infine, chi pensa che Veltroni sia l’unico leader riformista capace di far sognare il popolo di sinistra, sottraendolo all’attrazione fatale dell’altro sognatore, l’amatissimo ma assai poco riformista Nichi Vendola. Ho letto attentamente il lungo intervento di sabato al Lingotto e, confesso, mi sono ritrovato abbastanza nel commento di Pierluigi Bersani: «Nemmeno un Nobel riuscirebbe a trovare la differenza tra di noi». A dispetto di quanto affermano gli analisti più raffinati, che definiscono «introverso» il Pd di Bersani, e «estroverso» quello di Veltroni (così Roberto D’Alimonte sul «Sole 24 Ore»), a me i due Pd paiono molto simili. Il fatto stesso che, per cogliere le differenze, si debbano evocare categorie psicologiche, come l’estroversione e l’introversione, ma soprattutto il fatto che il destinatario della presunta critica (Bersani) si complimenti con chi la formula (Veltroni), ci rivela più di qualsiasi analisi politica: il Pd di Bersani e quello di Veltroni si somigliano come due gocce d’acqua, e si somigliano per la semplice ragione che sono entrambi vecchi. Due organismi vecchi e stanchi, appesantiti da un linguaggio che non se ne vuole andare, un linguaggio ormai logoro, fatto di formule generiche e messaggi in codice, così in codice che i due contendenti possono persino sembrare d’accordo su tutto. Lo sono davvero?
In un certo senso sì. Perché già solo il fatto di non darsi battaglia in campo aperto, dicendo in modo chiaro su che cosa non sono d’accordo, non fa che rafforzare nell’opinione pubblica l’impressione che il Pd non abbia nulla di veramente nuovo da dire.
Ma c’è anche un altro elemento di somiglianza, e di vecchiaia: proprio gli argomenti di cui si discute con più passione, come le primarie o la moralità del premier, hanno un inconfondibile sapore di strumentalità e di muffa. Di primarie, nonostante le accuse ricorrenti di brogli e voti pilotati (come in questi giorni a Napoli), si parla essenzialmente per trovare il modo di bloccare Nichi Vendola, che rischia di vincerle sia contro Bersani sia contro Veltroni. Quanto alla moralità del premier, né Veltroni né Bersani si mostrano capaci di resistere alla madre di tutte le tentazioni per un uomo politico: usare i guai extra-politici dell’avversario per «infilzarlo» politicamente, come ha mestamente rilevato Pierluigi Battista sul «Corriere della Sera». Ancora una volta, l’elettorato progressista deve amaramente constatare che il maggior partito della sinistra non è in grado di battere politicamente Berlusconi, e perciò ci prova con le armi di sempre: magistratura e scandali. Senza avvedersi che, su questo, l’elettorato è molto più avanti, molto più laico e maturo, del ceto politico. Contrariamente a quanto pensano gli osservatori stranieri, l’elettorato italiano non è indifferente agli scandali, ma semplicemente evita di politicizzarli oltre un certo limite. L’ultimo sondaggio di Renato Mannheimer lo certifica nel modo più clamoroso: il prestigio del premier è in calo, il numero di elettori che vorrebbero Berlusconi sempre in sella è diminuito, ma il consenso al suo partito, il Pdl, è addirittura cresciuto. Mentre il consenso al Pd non solo non è aumentato, ma sembra in ulteriore flessione. Come se gli elettori, a differenza dei media, fossero molto restii a mescolare morale e politica.
Accecati dal disprezzo per Berlusconi, i dirigenti della sinistra non sembrano rendersi conto che la loro scelta di cavalcare gli scandali sessuali per disarcionare il capo del governo è un’arma a doppio taglio. Non solo perché indirettamente rivela che essi non hanno molti altri argomenti da spendere, ma perché proprio la politicizzazione delle vicende private del premier può portare voti al suo partito, come Bossi - con il suo innato fiuto politico - ebbe immediatamente ad avvertire. Capisco che chi non è abituato ad entrare nella testa degli altri stenti a farsene una ragione, ma bisognerà pur rendersi conto, prima o poi, che quando il dispiegamento di mezzi («l’ingente mole di strumenti di indagine», come l’ha definita il cardinal Bagnasco) supera una certa soglia, e l’uso politico della morale diventa troppo spregiudicato, nel pubblico scattano reazioni diverse da quelle ordinarie. Se la magistratura avesse operato con mezzi più sobri, e i suoi avversari non avessero preteso di incassare subito il dividendo politico dello scandalo, lasciando che il Cavaliere consumasse da sé la propria parabola, oggi probabilmente l’opposizione sarebbe più forte. Avendo invece deciso di cavalcare un’azione giudiziaria già di per sé fuori misura, l’opposizione ha scatenato anche la reazione opposta: quella di chi vede Berlusconi come vittima, o semplicemente pensa che i giudici abbiano esagerato, e che quel che è toccato a Berlusconi potrebbe capitare a chiunque. Un’osservazione che Gianni Agnelli ebbe occasione di fare ai tempi dello scandalo Lewinsky, quando così ebbe ad esprimersi sul malcapitato Bill Clinton: «Un Presidente venuto dal nulla, che si è fatto da solo e che finisce maciullato nei verbali. Come capiterebbe a chiunque, intendiamoci, se le sue cose intime finissero squadernate, sezionate e amplificate da inquisitori, giornali, televisioni e Internet».
E un segnale che qualcosa del genere stia succedendo nel pubblico, lo rivelano - di nuovo - proprio i dati dell’ultimo sondaggio di Mannheimer. Da cui risulta che, contrariamente a quanto si poteva supporre, l’elettorato di centrodestra non si sta rifugiando nei partiti alleati, esenti dagli scandali (Lega Nord e Futuro e libertà), ma semmai sta rientrando nel Pdl, quasi a serrare le file. Un altro capolavoro degli strateghi del Pd.
C’è chi pensa che Veltroni sia semplicemente tornato a fare politica, riproponendo le sue idee di tre anni fa: riformismo radicale e vocazione maggioritaria. E c’è, infine, chi pensa che Veltroni sia l’unico leader riformista capace di far sognare il popolo di sinistra, sottraendolo all’attrazione fatale dell’altro sognatore, l’amatissimo ma assai poco riformista Nichi Vendola. Ho letto attentamente il lungo intervento di sabato al Lingotto e, confesso, mi sono ritrovato abbastanza nel commento di Pierluigi Bersani: «Nemmeno un Nobel riuscirebbe a trovare la differenza tra di noi». A dispetto di quanto affermano gli analisti più raffinati, che definiscono «introverso» il Pd di Bersani, e «estroverso» quello di Veltroni (così Roberto D’Alimonte sul «Sole 24 Ore»), a me i due Pd paiono molto simili. Il fatto stesso che, per cogliere le differenze, si debbano evocare categorie psicologiche, come l’estroversione e l’introversione, ma soprattutto il fatto che il destinatario della presunta critica (Bersani) si complimenti con chi la formula (Veltroni), ci rivela più di qualsiasi analisi politica: il Pd di Bersani e quello di Veltroni si somigliano come due gocce d’acqua, e si somigliano per la semplice ragione che sono entrambi vecchi. Due organismi vecchi e stanchi, appesantiti da un linguaggio che non se ne vuole andare, un linguaggio ormai logoro, fatto di formule generiche e messaggi in codice, così in codice che i due contendenti possono persino sembrare d’accordo su tutto. Lo sono davvero?
In un certo senso sì. Perché già solo il fatto di non darsi battaglia in campo aperto, dicendo in modo chiaro su che cosa non sono d’accordo, non fa che rafforzare nell’opinione pubblica l’impressione che il Pd non abbia nulla di veramente nuovo da dire.
Ma c’è anche un altro elemento di somiglianza, e di vecchiaia: proprio gli argomenti di cui si discute con più passione, come le primarie o la moralità del premier, hanno un inconfondibile sapore di strumentalità e di muffa. Di primarie, nonostante le accuse ricorrenti di brogli e voti pilotati (come in questi giorni a Napoli), si parla essenzialmente per trovare il modo di bloccare Nichi Vendola, che rischia di vincerle sia contro Bersani sia contro Veltroni. Quanto alla moralità del premier, né Veltroni né Bersani si mostrano capaci di resistere alla madre di tutte le tentazioni per un uomo politico: usare i guai extra-politici dell’avversario per «infilzarlo» politicamente, come ha mestamente rilevato Pierluigi Battista sul «Corriere della Sera». Ancora una volta, l’elettorato progressista deve amaramente constatare che il maggior partito della sinistra non è in grado di battere politicamente Berlusconi, e perciò ci prova con le armi di sempre: magistratura e scandali. Senza avvedersi che, su questo, l’elettorato è molto più avanti, molto più laico e maturo, del ceto politico. Contrariamente a quanto pensano gli osservatori stranieri, l’elettorato italiano non è indifferente agli scandali, ma semplicemente evita di politicizzarli oltre un certo limite. L’ultimo sondaggio di Renato Mannheimer lo certifica nel modo più clamoroso: il prestigio del premier è in calo, il numero di elettori che vorrebbero Berlusconi sempre in sella è diminuito, ma il consenso al suo partito, il Pdl, è addirittura cresciuto. Mentre il consenso al Pd non solo non è aumentato, ma sembra in ulteriore flessione. Come se gli elettori, a differenza dei media, fossero molto restii a mescolare morale e politica.
Accecati dal disprezzo per Berlusconi, i dirigenti della sinistra non sembrano rendersi conto che la loro scelta di cavalcare gli scandali sessuali per disarcionare il capo del governo è un’arma a doppio taglio. Non solo perché indirettamente rivela che essi non hanno molti altri argomenti da spendere, ma perché proprio la politicizzazione delle vicende private del premier può portare voti al suo partito, come Bossi - con il suo innato fiuto politico - ebbe immediatamente ad avvertire. Capisco che chi non è abituato ad entrare nella testa degli altri stenti a farsene una ragione, ma bisognerà pur rendersi conto, prima o poi, che quando il dispiegamento di mezzi («l’ingente mole di strumenti di indagine», come l’ha definita il cardinal Bagnasco) supera una certa soglia, e l’uso politico della morale diventa troppo spregiudicato, nel pubblico scattano reazioni diverse da quelle ordinarie. Se la magistratura avesse operato con mezzi più sobri, e i suoi avversari non avessero preteso di incassare subito il dividendo politico dello scandalo, lasciando che il Cavaliere consumasse da sé la propria parabola, oggi probabilmente l’opposizione sarebbe più forte. Avendo invece deciso di cavalcare un’azione giudiziaria già di per sé fuori misura, l’opposizione ha scatenato anche la reazione opposta: quella di chi vede Berlusconi come vittima, o semplicemente pensa che i giudici abbiano esagerato, e che quel che è toccato a Berlusconi potrebbe capitare a chiunque. Un’osservazione che Gianni Agnelli ebbe occasione di fare ai tempi dello scandalo Lewinsky, quando così ebbe ad esprimersi sul malcapitato Bill Clinton: «Un Presidente venuto dal nulla, che si è fatto da solo e che finisce maciullato nei verbali. Come capiterebbe a chiunque, intendiamoci, se le sue cose intime finissero squadernate, sezionate e amplificate da inquisitori, giornali, televisioni e Internet».
E un segnale che qualcosa del genere stia succedendo nel pubblico, lo rivelano - di nuovo - proprio i dati dell’ultimo sondaggio di Mannheimer. Da cui risulta che, contrariamente a quanto si poteva supporre, l’elettorato di centrodestra non si sta rifugiando nei partiti alleati, esenti dagli scandali (Lega Nord e Futuro e libertà), ma semmai sta rientrando nel Pdl, quasi a serrare le file. Un altro capolavoro degli strateghi del Pd.
martedì 25 gennaio 2011
Flash Mob
Per chi si sente in dovere di fare qualcosa...anche solo simbolicamente...
Tu ci sarai?
Tu ci sarai?
FLASH MOB DI PROTESTA CIVILE
MERCOLEDI 26 GENNAIO, 18.30, STAZIONE DI PORTA NUOVA
L'iniziativa è aperta a tutti, donne e uomini.
CAVALIERE, L'ITALIA NON E' UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA PROSTITUZIONE
Dimissioni subito!
MERCOLEDI 26 GENNAIO, 18.30, STAZIONE DI PORTA NUOVA
L'iniziativa è aperta a tutti, donne e uomini.
CAVALIERE, L'ITALIA NON E' UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA PROSTITUZIONE
Dimissioni subito!
Avere una valigia di Luis Vuitton al braccio e Lele Mora come autista...pretendono di farci credere che sia la massima ambizione di una donna!
Partecipare a tristi festini travestite da oggetto del piacere di un vecchio e patetico miliardario ossessionato dalla sua virilità... Pretendono di farci credere che sia per le donne il più autorevole attestato di affermazione sociale!
Non ci hanno convinte!
Nonostante quindici anni di lavaggio del cervello, di audience tv cercato mostrando donne nude e mute, di una classe politica sempre più volgare e sfacciata.
Non ci hanno convinte! È ora di prendere la parola per dire basta.
Dimissioni subito!
Quando
Mercoledì 26 gennaio, dalle ore 18,30 alle 18,45
Durata 15 minuti
Puntualità imprescindibile
Partecipare a tristi festini travestite da oggetto del piacere di un vecchio e patetico miliardario ossessionato dalla sua virilità... Pretendono di farci credere che sia per le donne il più autorevole attestato di affermazione sociale!
Non ci hanno convinte!
Nonostante quindici anni di lavaggio del cervello, di audience tv cercato mostrando donne nude e mute, di una classe politica sempre più volgare e sfacciata.
Non ci hanno convinte! È ora di prendere la parola per dire basta.
Dimissioni subito!
Quando
Mercoledì 26 gennaio, dalle ore 18,30 alle 18,45
Durata 15 minuti
Puntualità imprescindibile
Dove
Stazione Porta Nuova Torino, atrio binari, sotto tabellone orari principale
Stazione Porta Nuova Torino, atrio binari, sotto tabellone orari principale
Cosa
un flash mob di protesta civile, un'azione dimostrativa inattesa e carica di valenza simbolica. Una moltitudine di persone che si riunisce all'improvviso in uno spazio pubblico, attuando un'azione insolita per un breve periodo di tempo, per poi disperdersi.
un flash mob di protesta civile, un'azione dimostrativa inattesa e carica di valenza simbolica. Una moltitudine di persone che si riunisce all'improvviso in uno spazio pubblico, attuando un'azione insolita per un breve periodo di tempo, per poi disperdersi.
Tratti riconoscibili dei partecipanti
- abiti neri
- grandi occhiali da sole
- rossetto rosso sulle labbra (per le donne)
- abiti neri
- grandi occhiali da sole
- rossetto rosso sulle labbra (per le donne)
Svolgimento
1. Al primo segnale sonoro tutti i partecipanti dovranno mettersi a ballare.
2. Al secondo segnale sonoro tutti i partecipanti dovranno fermarsi e rimanere immobili. Le donne dovranno togliersi lentamente gli occhiali da sole, togliersi il rossetto dalle labbra con le mani e srotolare lo striscione con la scritta: CAVALIERE, L'ITALIA NON E' UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA PROSTITUZIONE. Dimissioni subito!.
3. Terminata la musica il gruppo si disperde.
1. Al primo segnale sonoro tutti i partecipanti dovranno mettersi a ballare.
2. Al secondo segnale sonoro tutti i partecipanti dovranno fermarsi e rimanere immobili. Le donne dovranno togliersi lentamente gli occhiali da sole, togliersi il rossetto dalle labbra con le mani e srotolare lo striscione con la scritta: CAVALIERE, L'ITALIA NON E' UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA PROSTITUZIONE. Dimissioni subito!.
3. Terminata la musica il gruppo si disperde.
L'iniziativa è aperta a tutti, donne e uomini.
Per informazioni:
Laura – laufusca@yahoo.it
Anastasia – a.frandino@hotmail..it
Elena – elena_castelli@fastwebnet.it
Laura – laufusca@yahoo.it
Anastasia – a.frandino@hotmail..it
Elena – elena_castelli@fastwebnet.it
venerdì 21 gennaio 2011
H2O 2R
Acqua, così la privatizzazione gonfia le nostre bollette
Entro dicembre la gestione della rete idrica sarà affidata alle imprese e la corsa ad accaparrarsi l'oro blu è già iniziata. Un business da 64 miliardi, ma c'è l'incognita referendum
di Ettore Livini (La Repubblica, 21.01.11)
Entro dicembre la gestione della rete idrica sarà affidata alle imprese e la corsa ad accaparrarsi l'oro blu è già iniziata. Un business da 64 miliardi, ma c'è l'incognita referendum
di Ettore Livini (La Repubblica, 21.01.11)
Il risiko dell'oro blu si prepara a ridisegnare la mappa dell'acqua italiana. Nei prossimi 12 mesi - salvo stop dal referendum di giugno - un po' di maxi utility italiane, i grandi costruttori di casa nostra e un'agguerrita pattuglia di colossi stranieri si affronteranno in una partita miliardaria: la riorganizzazione della rete idrica tricolore con un'apertura più decisa ai privati. I vincitori si spartiranno un Bingo da sogno: il ricco (e anticiclico) mercato delle bollette - già cresciute del 65% dal 2002 a fine 2010 - e la gestione dei 64 miliardi di euro di investimenti necessari per rimettere in sesto i 300mila chilometri di tubi che trasportano il prezioso liquido dalle sorgenti fino ai rubinetti di casa nostra. Un colabrodo "non degno di un paese avanzato" - come dice tranchant il Censis - che perde per strada 47 litri ogni 100 immessi in rete, con un danno di 2,5 miliardi l'anno.
La strada a livello legislativo è già tracciata: entro dicembre - dice il decreto Ronchi - gli enti locali dovranno aprire definitivamente ai privati questo mercato. Mantenendo la proprietà dell'acqua ma affidandone a terzi la gestione industriale. C'è solo un ultimo (fondamentale) ostacolo per questa rivoluzione che rischia di avere conseguenze importanti anche per il portafoglio dei consumatori: il referendum di giugno che chiede l'abrogazione del provvedimento, lasciando il servizio idrico nazionale in mano allo Stato. Ma quanta acqua potabile abbiamo in Italia e perché la nostra rete è in condizioni così disastrose? Chi saranno i protagonisti di questa corsa all'oro blu? Ed è vero che con lo sbarco dei privati nei rubinetti di casa pagheremo bollette molto più alte?
Un tesoro dal cielo
Giove pluvio ha avuto un occhio di riguardo per il Belpaese. Sull'Italia, certifica Eurostat, cadono in media 296 miliardi di metri cubi l'anno di pioggia (per il 42% al nord) cifra che ci mette al sesto posto nel continente dietro Francia (485), Norvegia (470), Spagna (346) e vicini a Svezia (313) e Germania (307). Al netto dell'evaporazione e dei deflussi abbiamo accesso a 157 miliardi di metri cubi (3mila l'anno per abitante). Un capitale immenso che però - come spesso accade nel nostro paese - non riusciamo a far fruttare visto che in rete pompiamo "solo" 136 metri cubi a testa ogni dodici mesi. Dove si perde tutto questo ben di Dio che piove dal cielo? In buona parte nei fiumi e sottoterra. "L'Italia non ha gli invasi necessari per conservare questo tesoro per i periodi siccitosi", ripete da anni l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (l'agricoltura consuma 20 miliardi di metri cubi l'anno contro i 16 dell'industria e i 5,2 per consumi domestici). I 337mila chilometri di acquedotti tricolori ci danno così accesso solo a un terzo di quanto è disponibile in pozzi e sorgenti. E quando bene siamo riusciti a imbrigliare l'acqua in un tubo, non riusciamo a trasportarla sana e salva a destinazione: di100 litri raccolti alla fonte, al rubinetto ne arrivano solo 53. A Bari, certifica l'Istat, bisogna mettere in rete 206 litri per riuscire a consegnarne 100. A Palermo 188, a Trieste 176. Milano (dove i smarriscono solo 11 litri ogni 100) e Venezia (9) sono mosche bianche in questa liquidissima galassia di sprechi che butta dalle sue falle - calcolano Civicum e Mediobanca - qualcosa come 2,5 miliardi di euro di oro blu ogni anno. In Germania, per dire, la dispersione è di sette litri su 100 (e lì è una cifra che fa scandalo) mentre la media europea è del 13%.
Il quadro di regole
Chi gestisce oggi la rete idrica nazionale? Cosa cambierà con il decreto Ronchi che - salvo successo del referendum - allargherà la presenza dei privati nel settore da fine 2011? Fino a pochi mesi fa il quadro di regole era quello disegnato dalla legge Galli a metà degli anni '90. Un'Italia dell'acqua "federale" divisa in 92 Ambiti territoriali ottimali (Ato) pubblici - prima se ne occupavano 8.500 comuni - che dopo aver steso un programma di interventi necessari per migliorare la rete dovevano riaffidare il servizio. Una piccola rivoluzione accompagnata dal passaggio da un sistema tariffario rigido (regolato dal Cipe per tutto il paese) a una tariffa reale media in grado di coprire gli investimenti e un rendimento garantito al gestore (il 7%). Con un tetto di incremento annuo per i prezzi al consumo fissato comunque al 5%. La metamorfosi però va ancora a rilento. A 15 anni dalla riforma, dei 92 Ato - dice il Blue Book 2010 di Utilitatis - solo 72 hanno provveduto ad affidare il servizio. E l'acqua è ancora saldamente in mano pubblica. Ben 34 Ato hanno girato la gestione a realtà controllate al 100% da enti locali. In tredici casi è stata passata a società quotate ma a forte presenza pubblica come le multitutility e in altri dodici ad aziende miste pubblico-privato. Solo 6 Ato - di cui cinque in Sicilia - hanno consegnato le chiavi dei loro acquedotti (ma non la proprietà) interamente ai privati. Cosa cambierà a fine 2011? Il Decreto Ronchi farà decadere tutti gli affidamenti in house, quelli a società interne, a meno che non si apra il capitale per almeno il 40% a un socio privato. Le municipalizzate potranno invece conservare la gestione solo se la quota pubblica del loro capitale scenderà sotto il 40% a giugno 2013 e sotto il 30% a fine 2015.
I nuovi padroni dell'oro blu
Chi sono i protagonisti privati di questo risiko dell'oro blu? L'identikit dei concorrenti ai nastri di partenza è già abbastanza chiaro. Anche perché molti di loro hanno già messo uno zampino nel mercato idrico nazionale e si stanno organizzando da tempo per la grande partita della privatizzazione. A far gola non è soltanto il business dell'acqua in sé. Anzi: "Il tetto al 5% dell'incremento delle tariffe è un limite che spaventa molti potenziali investitori", ammette Adolfo Spaziani, direttore di Federutility. Il boccone più grosso sono gli investimenti necessari per tappare le falle degli acquedotti nazionale: una torta gigantesca da 64,1 miliardi nell'arco dei prossimi 30 anni (compresi interventi su fogne e impianti di depurazione), stima il Blue Book 2011, che fa gola anche ai costruttori. Da dove arriveranno questi soldi? Per il 14%, stima il Censis, da aiuti pubblici a fondo perduto. Per il resto saranno finanziati con le bollette. L'aumento necessario tra il 2010 e il 2020 - calcola Utilitatis - sarebbe del 18%. Soldi. Tanti. Che hanno già attirato diversi pretendenti al business dell'acqua privata. La pattuglia tricolore vede in campo tre big e qualche comprimario. Acea, la municipalizzata romana nel cui capitale sta crescendo rapidamente il gruppo Caltagirone (attivo nelle costruzioni), ha già oggi 8 milioni di utenti in diversi Ato a cavallo tra Lazio, Toscana e Umbria. Non solo. La società capitolina non ha mai nascosto il suo interesse per l'Acquedotto Pugliese (che Nichi Vendola sta cercando di blindare in mano pubblica) e ha iniziato a muovere i suoi primi passi anche verso la Lombardia. L'astro emergente - pronto a sfidare Acea per la leadership tricolore - è la Iren, la utility nata dalla fusione delle municipalizzate di Genova, Torino, Parma, Piacenza e Reggio Emilia e partecipata da IntesaSanpaolo. Opera già in Emilia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia. E ha stretto un'alleanza azionaria di ferro con F2I, il fondo per le infrastrutture di Vito Gamberale, pronto a una scommessa importante sul business dell'acqua. Alla finestra c'è anche la Hera, la utility bolognese, forte nella regione d'origine ma ai nastri di partenza - almeno in apparenza - con piani meno ambiziosi. Mentre A2a e Acegas si muovono per ora solo a livello locale. Chi sono i big stranieri pronti a scalare l'acqua tricolore? Due hanno già scoperto le carte: Suez, il colosso transalpino, in campo a fianco dell'Acea, con cui già lavora in Toscana e Umbria e il rivale francese Veolia, che distribuisce l'acqua nell'Ato di Latina, a Lucca, Pisa, Livorno e nel Levante ligure. Una sbirciatina al dossier Italia l'hanno data gli inglesi di Severn Trent (che ha già messo un piedino in Umbria) e gli spagnoli di Aqualia sbarcati da tempo a Caltanissetta.
Il rebus pubblico-privato
Meglio per l'utente un gestore pubblico o privato? La risposta naturalmente non è facile. E l'esperienza degli ultimi anni non aiuta certo a sciogliere il dubbio. Ci sono amministrazioni pubbliche più che efficienti ed economiche - Milano ad esempio spreca poca acqua e ha una delle tariffe più basse d'Europa - e altre con bilanci e acquedotti che fanno acqua in tutti i sensi. I privati hanno spesso prezzi più alti ma in media tendono a garantire più servizi e investimenti. Proviamo a far parlare i pochi dati disponibili. Primo fatto: in assenza di un'authority che regoli il settore nessuno, pubblico o privato, riesce a rispettare gli impegni. Gli investimenti previsti dagli Ato nei loro primi anni di vita sono stati realizzati solo al 56%, dice il Coviri, l'ente che vigila sul settore con pochissimi poteri. Le realtà a controllo pubblico sono riuscite a mandarne in porto molto meno del 50% ("anche perché lo stato taglia gli stanziamenti e loro non riescono a finanziarsi sul mercato o con nuove tasse", sostiene Spaziani). Le Spa miste e le municipalizzate li hanno ridotti "solo" del 13% in base agli studi del Blue Book. "Però da quando nell'acqua operano i privati l'occupazione è scesa del 30% e i consumi sono aumentati della stessa misura", sottolinea Marco Bersani del Forum movimenti per l'acqua pubblica. La legge Galli, per assurdo, ha ingessato il sistema. Fino al 1995, quando pagava tutto Pantalone (alias lo Stato), si spendevano 2 miliardi l'anno per la manutenzione di acquedotti, fogne e depuratori. Oggi siamo fermi a 700 milioni. Roma taglia e i privati, in assenza di meccanismi tariffari premianti, investono con il contagocce.
Il nodo delle tariffe
I privati fanno pagare di più l'acqua? Questo, naturalmente, è il dato che interessa di più l'utente finale che fino a quando vede l'acqua scorrere dal rubinetto di casa si preoccupa più del suo portafoglio che dei buchi della rete a monte. Anche qui - sul fronte della bolletta - i dati empirici sono per ora pochi. Certo gli affidamenti degli Ato ad aziende miste o private che hanno promesso più investimenti hanno comportato un balzo secco della bolletta. Nel 2002 ogni italiano pagava in media 182 euro l'anno per il servizio idrico. Oggi siamo a 301, il 65% in più. Gli abitanti di Toscana (462 euro di spesa l'anno), Umbria (412), Emilia (383) e Liguria (367) - le regioni dove il processo di privatizzazione è più avanti - sono quelli che scontano prezzi più elevato (i lombardi, per dire, spendono 104 euro). Dei 25 Ato con tariffe al top, 21 sono privati o in gestione mista. "Ma una spiegazione c'è - dice Spaziani - . Lì si investe di più mentre gli Ato a gestione pubblica privilegiano per ovvi motivi di consenso politico la tariffa bassa al servizio efficiente". Ma non sempre è così: "Ad Agrigento c'è la bolletta più alta del paese e l'acqua arriva due volte la settimana e solo in due terzi della città - dice Bersani - . Salvo poi scoprire che il gestore privato Girgenti Acque ne vende un bel po' a Coca Cola per fare una bevanda gassata". A Latina - dove il Comune è affiancato da Veolia - i costi sono schizzati "tra il 300 e il 3000%" calcola Bersani e 700 famiglie si autoriducono ogni mese la bolletta pagando il giusto (dicono loro) al Comune.
A fine 2010 un metro cubo d'acqua costava 1,37 euro (con picchi di 2,28 per l'alta Toscana e di 0,66 a Milano). Nel 2020 saremo a quota 1,63, il 18% in più con punte di +75% per l'area di Lecco (che passa alla tariffa media) e del 67% nell'Ato Bacchiglione gestito da Aps-Acegas. "Ma attenzione - dice Giuseppe Roma della Fondazione Censis - restiamo comunque ben al di sotto di quanto si spende nel resto d'Europa". Un berlinese paga per l'acqua quasi mille euro l'anno, a Bruxelles la bolletta è di 580, a Varsavia 545. A Barcellona, Oslo, Helsinki e San Francisco siamo al doppio dei 200 dollari della capitale italiana. "Purtroppo dobbiamo rassegnarci - spiega Roma - . Il dilemma pubblico-privato è un falso problema: il sistema fa acqua da tutte le parti. Due italiani su dieci non hanno il servizio di fogna, al sud quasi uno su due riceve acqua non depurata. Non importa chi gestirà la rete in futuro. Per far funzionare la rete dobbiamo alzare e non di poco il prezzo. Le tariffe oggi riflettono solo la ricerca di consenso politico". Senz'acqua, in fondo, non si può stare. E - come ricorda Spaziani - per la bolletta idrica spendiamo oggi solo lo 0,8% delle uscite mensili contro il 2% per il telefono, il 5,3% in elettricità e riscaldamento, il 14,9% per i trasporti e lo 0,9% per le sigarette. Per non parlare, dulcis in fundo, del più assurdo dei paradossi: in Italia una famiglia di 4 persone spende in media 340 euro l'anno in acqua minerale. Trentanove in più di quanto stanzia (lamentandosi) per quella che arriva dal rubinetto.
La strada a livello legislativo è già tracciata: entro dicembre - dice il decreto Ronchi - gli enti locali dovranno aprire definitivamente ai privati questo mercato. Mantenendo la proprietà dell'acqua ma affidandone a terzi la gestione industriale. C'è solo un ultimo (fondamentale) ostacolo per questa rivoluzione che rischia di avere conseguenze importanti anche per il portafoglio dei consumatori: il referendum di giugno che chiede l'abrogazione del provvedimento, lasciando il servizio idrico nazionale in mano allo Stato. Ma quanta acqua potabile abbiamo in Italia e perché la nostra rete è in condizioni così disastrose? Chi saranno i protagonisti di questa corsa all'oro blu? Ed è vero che con lo sbarco dei privati nei rubinetti di casa pagheremo bollette molto più alte?
Un tesoro dal cielo
Giove pluvio ha avuto un occhio di riguardo per il Belpaese. Sull'Italia, certifica Eurostat, cadono in media 296 miliardi di metri cubi l'anno di pioggia (per il 42% al nord) cifra che ci mette al sesto posto nel continente dietro Francia (485), Norvegia (470), Spagna (346) e vicini a Svezia (313) e Germania (307). Al netto dell'evaporazione e dei deflussi abbiamo accesso a 157 miliardi di metri cubi (3mila l'anno per abitante). Un capitale immenso che però - come spesso accade nel nostro paese - non riusciamo a far fruttare visto che in rete pompiamo "solo" 136 metri cubi a testa ogni dodici mesi. Dove si perde tutto questo ben di Dio che piove dal cielo? In buona parte nei fiumi e sottoterra. "L'Italia non ha gli invasi necessari per conservare questo tesoro per i periodi siccitosi", ripete da anni l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (l'agricoltura consuma 20 miliardi di metri cubi l'anno contro i 16 dell'industria e i 5,2 per consumi domestici). I 337mila chilometri di acquedotti tricolori ci danno così accesso solo a un terzo di quanto è disponibile in pozzi e sorgenti. E quando bene siamo riusciti a imbrigliare l'acqua in un tubo, non riusciamo a trasportarla sana e salva a destinazione: di100 litri raccolti alla fonte, al rubinetto ne arrivano solo 53. A Bari, certifica l'Istat, bisogna mettere in rete 206 litri per riuscire a consegnarne 100. A Palermo 188, a Trieste 176. Milano (dove i smarriscono solo 11 litri ogni 100) e Venezia (9) sono mosche bianche in questa liquidissima galassia di sprechi che butta dalle sue falle - calcolano Civicum e Mediobanca - qualcosa come 2,5 miliardi di euro di oro blu ogni anno. In Germania, per dire, la dispersione è di sette litri su 100 (e lì è una cifra che fa scandalo) mentre la media europea è del 13%.
Il quadro di regole
Chi gestisce oggi la rete idrica nazionale? Cosa cambierà con il decreto Ronchi che - salvo successo del referendum - allargherà la presenza dei privati nel settore da fine 2011? Fino a pochi mesi fa il quadro di regole era quello disegnato dalla legge Galli a metà degli anni '90. Un'Italia dell'acqua "federale" divisa in 92 Ambiti territoriali ottimali (Ato) pubblici - prima se ne occupavano 8.500 comuni - che dopo aver steso un programma di interventi necessari per migliorare la rete dovevano riaffidare il servizio. Una piccola rivoluzione accompagnata dal passaggio da un sistema tariffario rigido (regolato dal Cipe per tutto il paese) a una tariffa reale media in grado di coprire gli investimenti e un rendimento garantito al gestore (il 7%). Con un tetto di incremento annuo per i prezzi al consumo fissato comunque al 5%. La metamorfosi però va ancora a rilento. A 15 anni dalla riforma, dei 92 Ato - dice il Blue Book 2010 di Utilitatis - solo 72 hanno provveduto ad affidare il servizio. E l'acqua è ancora saldamente in mano pubblica. Ben 34 Ato hanno girato la gestione a realtà controllate al 100% da enti locali. In tredici casi è stata passata a società quotate ma a forte presenza pubblica come le multitutility e in altri dodici ad aziende miste pubblico-privato. Solo 6 Ato - di cui cinque in Sicilia - hanno consegnato le chiavi dei loro acquedotti (ma non la proprietà) interamente ai privati. Cosa cambierà a fine 2011? Il Decreto Ronchi farà decadere tutti gli affidamenti in house, quelli a società interne, a meno che non si apra il capitale per almeno il 40% a un socio privato. Le municipalizzate potranno invece conservare la gestione solo se la quota pubblica del loro capitale scenderà sotto il 40% a giugno 2013 e sotto il 30% a fine 2015.
I nuovi padroni dell'oro blu
Chi sono i protagonisti privati di questo risiko dell'oro blu? L'identikit dei concorrenti ai nastri di partenza è già abbastanza chiaro. Anche perché molti di loro hanno già messo uno zampino nel mercato idrico nazionale e si stanno organizzando da tempo per la grande partita della privatizzazione. A far gola non è soltanto il business dell'acqua in sé. Anzi: "Il tetto al 5% dell'incremento delle tariffe è un limite che spaventa molti potenziali investitori", ammette Adolfo Spaziani, direttore di Federutility. Il boccone più grosso sono gli investimenti necessari per tappare le falle degli acquedotti nazionale: una torta gigantesca da 64,1 miliardi nell'arco dei prossimi 30 anni (compresi interventi su fogne e impianti di depurazione), stima il Blue Book 2011, che fa gola anche ai costruttori. Da dove arriveranno questi soldi? Per il 14%, stima il Censis, da aiuti pubblici a fondo perduto. Per il resto saranno finanziati con le bollette. L'aumento necessario tra il 2010 e il 2020 - calcola Utilitatis - sarebbe del 18%. Soldi. Tanti. Che hanno già attirato diversi pretendenti al business dell'acqua privata. La pattuglia tricolore vede in campo tre big e qualche comprimario. Acea, la municipalizzata romana nel cui capitale sta crescendo rapidamente il gruppo Caltagirone (attivo nelle costruzioni), ha già oggi 8 milioni di utenti in diversi Ato a cavallo tra Lazio, Toscana e Umbria. Non solo. La società capitolina non ha mai nascosto il suo interesse per l'Acquedotto Pugliese (che Nichi Vendola sta cercando di blindare in mano pubblica) e ha iniziato a muovere i suoi primi passi anche verso la Lombardia. L'astro emergente - pronto a sfidare Acea per la leadership tricolore - è la Iren, la utility nata dalla fusione delle municipalizzate di Genova, Torino, Parma, Piacenza e Reggio Emilia e partecipata da IntesaSanpaolo. Opera già in Emilia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia. E ha stretto un'alleanza azionaria di ferro con F2I, il fondo per le infrastrutture di Vito Gamberale, pronto a una scommessa importante sul business dell'acqua. Alla finestra c'è anche la Hera, la utility bolognese, forte nella regione d'origine ma ai nastri di partenza - almeno in apparenza - con piani meno ambiziosi. Mentre A2a e Acegas si muovono per ora solo a livello locale. Chi sono i big stranieri pronti a scalare l'acqua tricolore? Due hanno già scoperto le carte: Suez, il colosso transalpino, in campo a fianco dell'Acea, con cui già lavora in Toscana e Umbria e il rivale francese Veolia, che distribuisce l'acqua nell'Ato di Latina, a Lucca, Pisa, Livorno e nel Levante ligure. Una sbirciatina al dossier Italia l'hanno data gli inglesi di Severn Trent (che ha già messo un piedino in Umbria) e gli spagnoli di Aqualia sbarcati da tempo a Caltanissetta.
Il rebus pubblico-privato
Meglio per l'utente un gestore pubblico o privato? La risposta naturalmente non è facile. E l'esperienza degli ultimi anni non aiuta certo a sciogliere il dubbio. Ci sono amministrazioni pubbliche più che efficienti ed economiche - Milano ad esempio spreca poca acqua e ha una delle tariffe più basse d'Europa - e altre con bilanci e acquedotti che fanno acqua in tutti i sensi. I privati hanno spesso prezzi più alti ma in media tendono a garantire più servizi e investimenti. Proviamo a far parlare i pochi dati disponibili. Primo fatto: in assenza di un'authority che regoli il settore nessuno, pubblico o privato, riesce a rispettare gli impegni. Gli investimenti previsti dagli Ato nei loro primi anni di vita sono stati realizzati solo al 56%, dice il Coviri, l'ente che vigila sul settore con pochissimi poteri. Le realtà a controllo pubblico sono riuscite a mandarne in porto molto meno del 50% ("anche perché lo stato taglia gli stanziamenti e loro non riescono a finanziarsi sul mercato o con nuove tasse", sostiene Spaziani). Le Spa miste e le municipalizzate li hanno ridotti "solo" del 13% in base agli studi del Blue Book. "Però da quando nell'acqua operano i privati l'occupazione è scesa del 30% e i consumi sono aumentati della stessa misura", sottolinea Marco Bersani del Forum movimenti per l'acqua pubblica. La legge Galli, per assurdo, ha ingessato il sistema. Fino al 1995, quando pagava tutto Pantalone (alias lo Stato), si spendevano 2 miliardi l'anno per la manutenzione di acquedotti, fogne e depuratori. Oggi siamo fermi a 700 milioni. Roma taglia e i privati, in assenza di meccanismi tariffari premianti, investono con il contagocce.
Il nodo delle tariffe
I privati fanno pagare di più l'acqua? Questo, naturalmente, è il dato che interessa di più l'utente finale che fino a quando vede l'acqua scorrere dal rubinetto di casa si preoccupa più del suo portafoglio che dei buchi della rete a monte. Anche qui - sul fronte della bolletta - i dati empirici sono per ora pochi. Certo gli affidamenti degli Ato ad aziende miste o private che hanno promesso più investimenti hanno comportato un balzo secco della bolletta. Nel 2002 ogni italiano pagava in media 182 euro l'anno per il servizio idrico. Oggi siamo a 301, il 65% in più. Gli abitanti di Toscana (462 euro di spesa l'anno), Umbria (412), Emilia (383) e Liguria (367) - le regioni dove il processo di privatizzazione è più avanti - sono quelli che scontano prezzi più elevato (i lombardi, per dire, spendono 104 euro). Dei 25 Ato con tariffe al top, 21 sono privati o in gestione mista. "Ma una spiegazione c'è - dice Spaziani - . Lì si investe di più mentre gli Ato a gestione pubblica privilegiano per ovvi motivi di consenso politico la tariffa bassa al servizio efficiente". Ma non sempre è così: "Ad Agrigento c'è la bolletta più alta del paese e l'acqua arriva due volte la settimana e solo in due terzi della città - dice Bersani - . Salvo poi scoprire che il gestore privato Girgenti Acque ne vende un bel po' a Coca Cola per fare una bevanda gassata". A Latina - dove il Comune è affiancato da Veolia - i costi sono schizzati "tra il 300 e il 3000%" calcola Bersani e 700 famiglie si autoriducono ogni mese la bolletta pagando il giusto (dicono loro) al Comune.
A fine 2010 un metro cubo d'acqua costava 1,37 euro (con picchi di 2,28 per l'alta Toscana e di 0,66 a Milano). Nel 2020 saremo a quota 1,63, il 18% in più con punte di +75% per l'area di Lecco (che passa alla tariffa media) e del 67% nell'Ato Bacchiglione gestito da Aps-Acegas. "Ma attenzione - dice Giuseppe Roma della Fondazione Censis - restiamo comunque ben al di sotto di quanto si spende nel resto d'Europa". Un berlinese paga per l'acqua quasi mille euro l'anno, a Bruxelles la bolletta è di 580, a Varsavia 545. A Barcellona, Oslo, Helsinki e San Francisco siamo al doppio dei 200 dollari della capitale italiana. "Purtroppo dobbiamo rassegnarci - spiega Roma - . Il dilemma pubblico-privato è un falso problema: il sistema fa acqua da tutte le parti. Due italiani su dieci non hanno il servizio di fogna, al sud quasi uno su due riceve acqua non depurata. Non importa chi gestirà la rete in futuro. Per far funzionare la rete dobbiamo alzare e non di poco il prezzo. Le tariffe oggi riflettono solo la ricerca di consenso politico". Senz'acqua, in fondo, non si può stare. E - come ricorda Spaziani - per la bolletta idrica spendiamo oggi solo lo 0,8% delle uscite mensili contro il 2% per il telefono, il 5,3% in elettricità e riscaldamento, il 14,9% per i trasporti e lo 0,9% per le sigarette. Per non parlare, dulcis in fundo, del più assurdo dei paradossi: in Italia una famiglia di 4 persone spende in media 340 euro l'anno in acqua minerale. Trentanove in più di quanto stanzia (lamentandosi) per quella che arriva dal rubinetto.
giovedì 20 gennaio 2011
Berlusconi dimettiti
Ecco un link dove potete (se lo desiderate) firmare la petizione per chiedere le dimissioni di B.
Io l'ho fatto, ora non avrò più possibilità di carriera gratuita o soldi facili, me li devo conquistare.... meglio così.
1. Dimissioni
beppe
1. Dimissioni
Chiediamo a Silvio Berlusconi di dimettersi immediatamente.
In nessun altro paese democratico un Primo ministro, indagato per così gravi capi di accusa, rimarrebbe in carica. Tutti i cittadini italiani, di qualsiasi credo politico, devono essere consapevoli che l’immagine del loro paese sarà profondamente danneggiata se Berlusconi rimarrà al suo posto.
2. Presenza in aulaIn nessun altro paese democratico un Primo ministro, indagato per così gravi capi di accusa, rimarrebbe in carica. Tutti i cittadini italiani, di qualsiasi credo politico, devono essere consapevoli che l’immagine del loro paese sarà profondamente danneggiata se Berlusconi rimarrà al suo posto.
Chiediamo a Silvio Berlusconi di non utilizzare la televisione per difendersi e screditare i magistrati grazie al suo considerevole potere mediatico, bensì di presentarsi ai giudici come farebbe ogni cittadino. In tribunale, Berlusconi potrà comunque giovarsi dall’avere ingaggiato gli avvocati più pagati del paese. Speriamo vivamente per lui e per l’Italia che sia in grado di dimostrare la propria innocenza. Visto che Berlusconi e i suoi sostenitori affermano che i giudici sono irrimediabilmente prevenuti nei suoi confronti, ricordiamo che in più di un’occasione gli è stato garantito il beneficio del dubbio. Nel caso Mondadori, ad esempio, la corte giudicò, nel novembre 2001, la posizione di capo del Governo una “circostanza attenuante” che, unicamente nel suo caso, fece cadere in prescrizione l’accusa.
3. Il ruolo del Presidente della Repubblica In una situazione in cui due dei principali poteri dello Stato – la magistratura e l’esecutivo – si affrontano in uno scontro estremamente pericoloso per il futuro della Repubblica, chiediamo al Presidente Napolitano di valutare la situazione e di intervenire tempestivamente, entro i limiti previsti dalla Costituzione.
4. I partiti di opposizione Chiediamo a tutti i partiti di opposizione di mettere da parte le loro divergenze e di abbandonare qualsiasi desiderio di primeggiare, chiedendo invece con una sola voce le dimissioni del Premier.
5. Società civile Invitiamo le numerose associazioni e le centinaia di migliaia di cittadini che si riconoscono nella società civile a concentrare le loro forze e a unirsi in una linea d’azione comune. Chiediamo soprattutto al mondo cattolico di esortare il Vaticano a pronunciarsi su una questione di etica pubblica così rilevante.
6. Gli amici dell’Italia nel mondo Abbiamo scritto questo appello sia in inglese che in italiano per mandare un messaggio a tutti coloro che all’estero amano la nostra democrazia e le sorti del nostro Paese. Non perdete la fiducia nell’Italia! Abbiamo bisogno della vostra solidarietà e del vostro aiuto.
Gustavo Zagrebelsky, Paul Ginsborg e Sandra Bonsanti
per tutta Libertà e Giustizia
per tutta Libertà e Giustizia
mercoledì 19 gennaio 2011
La morale dell'Uomo Ragno
E' il presidente del Consiglio, cribbio (direbbe lui). Il presidente del Consiglio, non un cittadino normale o un miliardario qualsiasi che fa quel che vuole dei suoi soldi e di se stesso, e se si infila venti ricattatrici potenziali sotto le lenzuola, alla peggio ci rimette il portafogli e l'argenteria di famiglia. Lui è il leader politico di uno Stato e i rischi a cui lo espone la sua condotta privata non investono solo la sua persona, ma tutti gli italiani. E se il servizio segreto di una nazione o multinazionale straniera avesse assoldato Ruby per costringere il premier a firmare un accordo economico svantaggioso per l'Italia in cambio del silenzio?
Moralismo? No, Machiavelli. O, se preferite, la morale dell'Uomo Ragno: a grandi poteri grandi responsabilità. Il capo di un governo eletto dal popolo non è «uno di noi». Deve essere meglio di noi o quanto meno sembrarlo. Poiché rappresenta l'immagine del proprio Paese nel mondo, è tenuto a rispettare le sacre regole dell'ipocrisia, a contenere i suoi vizi o comunque a occultarli, come fecero Kennedy, Craxi e Mitterrand. E quando viene beccato, deve chiedere scusa e mostrarsi contrito in stile Clinton, non negare l'evidenza e parlare d'altro, di rispetto della privacy (che per lui non vale) e di complotti che anche se ci fossero non scalfirebbero il nocciolo della questione: chi fa bunga bunga può governare un impero, ma non una democrazia.
Moralismo? No, Machiavelli. O, se preferite, la morale dell'Uomo Ragno: a grandi poteri grandi responsabilità. Il capo di un governo eletto dal popolo non è «uno di noi». Deve essere meglio di noi o quanto meno sembrarlo. Poiché rappresenta l'immagine del proprio Paese nel mondo, è tenuto a rispettare le sacre regole dell'ipocrisia, a contenere i suoi vizi o comunque a occultarli, come fecero Kennedy, Craxi e Mitterrand. E quando viene beccato, deve chiedere scusa e mostrarsi contrito in stile Clinton, non negare l'evidenza e parlare d'altro, di rispetto della privacy (che per lui non vale) e di complotti che anche se ci fossero non scalfirebbero il nocciolo della questione: chi fa bunga bunga può governare un impero, ma non una democrazia.
martedì 18 gennaio 2011
B. ultimo atto?
dal sito spinoza.it
Fist ladyBerlusconi accusato di prostituzione minorile. Ma nessuno è un vecchio porco fino all'ultimo grado di giudizio.
Monsignor Fisichella: "La figa è la figa".
Berlusconi indagato anche per concussione. Ma così, in generale, nella vita.
Perquisita l'abitazione di Ruby sul lungomare genovese. La procura ha confiscato il lampione.
Gli inquirenti hanno esaminato anche la sua stanza nella casa famiglia di Sant'Ilario, dove si accorsero con uno sguardo che non si trattava di un missionario.
In comunità, Ruby si vantava con le altre ragazze: "Lo sapete chi conosco io?". Ma lo conoscevano anche loro.
Ruby trascorse ad Arcore tutta la notte del 25 aprile. Complimenti per la resistenza.
Ghedini, raggiunto telefonicamente dai giornalisti: "Accuse risibili e strumentali". Era la segreteria.
Ghedini: "Ruby fu ingaggiata per motivi ornamentali". E Silvio era l'unico autorizzato a innaffiarla.
Berlusconi si difende con un video. Azzeccata la scelta di non indossare l'impermeabile.
"Non ho mai pagato una donna in vita mia". Dunque erano stagiste.
Berlusconi: "Spesso, nelle conversazioni private tra amici, ci si vanta per gioco di cose mai accadute". Tipo aver pulito Napoli.
Il Giornale: "La Boccassini è un magistrato fuori controllo". Vaglielo a spiegare che è così che deve essere.
È una vicenda squallida" ha commentato Alvaro Vitali.
Monsignor Fisichella: "La figa è la figa".
Berlusconi indagato anche per concussione. Ma così, in generale, nella vita.
Perquisita l'abitazione di Ruby sul lungomare genovese. La procura ha confiscato il lampione.
Gli inquirenti hanno esaminato anche la sua stanza nella casa famiglia di Sant'Ilario, dove si accorsero con uno sguardo che non si trattava di un missionario.
In comunità, Ruby si vantava con le altre ragazze: "Lo sapete chi conosco io?". Ma lo conoscevano anche loro.
Ruby trascorse ad Arcore tutta la notte del 25 aprile. Complimenti per la resistenza.
Ghedini, raggiunto telefonicamente dai giornalisti: "Accuse risibili e strumentali". Era la segreteria.
Ghedini: "Ruby fu ingaggiata per motivi ornamentali". E Silvio era l'unico autorizzato a innaffiarla.
Berlusconi si difende con un video. Azzeccata la scelta di non indossare l'impermeabile.
"Non ho mai pagato una donna in vita mia". Dunque erano stagiste.
Berlusconi: "Spesso, nelle conversazioni private tra amici, ci si vanta per gioco di cose mai accadute". Tipo aver pulito Napoli.
Il Giornale: "La Boccassini è un magistrato fuori controllo". Vaglielo a spiegare che è così che deve essere.
È una vicenda squallida" ha commentato Alvaro Vitali.
giovedì 13 gennaio 2011
Re: Taranto, salute
Vi segnalo due link tratti da un'inchiesta di Repubblica sullo stato dell'inquinamento a Taranto (dove ho passato le vacanze di Natale...!!!), visto che ne avevamo parlato qualche mese fa...! Ciao, Paolo Salute-lavoro, baratto assurdo: l'amara lezione di Taranto |
mercoledì 12 gennaio 2011
L’acqua e i veleni
Editoriale de L'Unità
Concita De Gregorio (09.01.11)
Ho visto un bellissimo film: «Anche la pioggia» di Iciar Bollain, la regista autrice di «Ti do i miei occhi», opera che mi auguro abbiate amato in molti. È candidato a rappresentare la Spagna agli Oscar, un temibile avversario per il nostro «La prima cosa bella», uscirà presto in Italia.
Ve ne parlo oggi perché uscendo dalla sala ho molto pensato a quanto poco i giornali e le tv nazionali parlino della grande battaglia contro la privatizzazione dell’acqua, uno di quei temi che mobilitano grandi passioni soprattutto giovanili -si tratta del futuro, del resto- e che sono trattati in genere, invece, come quelle campagne di certi estremisti che si ritrovano sul web a protestare, inascoltati dalla politica e ignorati dai grandi mezzi di informazione.
È di acqua che parla, anche, il film di Iciar Bollain. Della grande rivolta contro la privatizzazione dell’acqua in Bolivia -anche l’acqua della pioggia, anche su quella il governo ha preteso un dazio- mentre racconta di un film che una troupe spagnola sta girando su Colombo, la conquista delle Indie, Bartolomeo de las Casas. Mentre gli attori il produttore il regista girano una storia di 600 anni fa, si trovano ad osservare, per le strade di Cochabamba, le stesse dinamiche, gli stessi soprusi ai danni degli indios, le stesse parole in bocca a moderni rivoltosi che pretendono solo di continuare a vivere nella loro terra senza morire per riverire l’invasore. Ieri la Spagna, oggi le leggi dell’economia americana.
Ve ne parlo perché la battaglia per l’acqua pubblica è uno di quei segni del tempo che passano inosservati e sono invece grandi trasformazioni epocali destinate a modificare il destino dei popoli, delle generazioni a venire.
Oggi non è di acqua ma di federalismo che si discute.
Discutere è un concetto forte: diciamo che la maggioranza degli italiani subisce senza sapere una trasformazione di cui non conosce connotati e conseguenze.
È la Lega che mena la danza.
Da anni ripete che il federalismo è il futuro del paese, la chiave per chiudere col passato, è la strada per andare avanti anziché tornare indietro. Il federalismo fiscale, antipasto di quello più ampio che dovrebbe seguire a ruota, sta dettando l’agenda politica del paese e del governo.
Senza federalismo niente Unità d’Italia.
Senza federalismo cade il governo.
Senza federalismo si va alle urne.
È una patacca, ma che volete che sia? L’importante è avere un argomento per vincere le elezioni, uno scalpo da mostrare in campagna elettorale. Quella che sta per arrivare. Perché il disegno della Lega è chiaro: prendere il federalismo, andare alle urne, fare il pieno di voti e puntare su un cavallo più verde che azzurro: Tremonti, ad esempio. È il sogno di Bossi ma anche l’incubo di Berlusconi, sulla cui testa si addensano nubi minacciose, come quella che uscirà giovedì dal palazzo della Consulta. Incubi e sospetti, veleni e coltelli (vedi lo splendido duello Feltri-Sallusti). Eccola l’agenda politica del presidente del Consiglio: non risolvere i guai del paese, ma difendere la poltrona più alta. E il federalismo? Sarà un disastro ma facciamo silenzio, non diciamolo a nessuno. Lasciamo che sia il popolo del web ad accorgersene.
Ve ne parlo oggi perché uscendo dalla sala ho molto pensato a quanto poco i giornali e le tv nazionali parlino della grande battaglia contro la privatizzazione dell’acqua, uno di quei temi che mobilitano grandi passioni soprattutto giovanili -si tratta del futuro, del resto- e che sono trattati in genere, invece, come quelle campagne di certi estremisti che si ritrovano sul web a protestare, inascoltati dalla politica e ignorati dai grandi mezzi di informazione.
È di acqua che parla, anche, il film di Iciar Bollain. Della grande rivolta contro la privatizzazione dell’acqua in Bolivia -anche l’acqua della pioggia, anche su quella il governo ha preteso un dazio- mentre racconta di un film che una troupe spagnola sta girando su Colombo, la conquista delle Indie, Bartolomeo de las Casas. Mentre gli attori il produttore il regista girano una storia di 600 anni fa, si trovano ad osservare, per le strade di Cochabamba, le stesse dinamiche, gli stessi soprusi ai danni degli indios, le stesse parole in bocca a moderni rivoltosi che pretendono solo di continuare a vivere nella loro terra senza morire per riverire l’invasore. Ieri la Spagna, oggi le leggi dell’economia americana.
Ve ne parlo perché la battaglia per l’acqua pubblica è uno di quei segni del tempo che passano inosservati e sono invece grandi trasformazioni epocali destinate a modificare il destino dei popoli, delle generazioni a venire.
Oggi non è di acqua ma di federalismo che si discute.
Discutere è un concetto forte: diciamo che la maggioranza degli italiani subisce senza sapere una trasformazione di cui non conosce connotati e conseguenze.
È la Lega che mena la danza.
Da anni ripete che il federalismo è il futuro del paese, la chiave per chiudere col passato, è la strada per andare avanti anziché tornare indietro. Il federalismo fiscale, antipasto di quello più ampio che dovrebbe seguire a ruota, sta dettando l’agenda politica del paese e del governo.
Senza federalismo niente Unità d’Italia.
Senza federalismo cade il governo.
Senza federalismo si va alle urne.
È una patacca, ma che volete che sia? L’importante è avere un argomento per vincere le elezioni, uno scalpo da mostrare in campagna elettorale. Quella che sta per arrivare. Perché il disegno della Lega è chiaro: prendere il federalismo, andare alle urne, fare il pieno di voti e puntare su un cavallo più verde che azzurro: Tremonti, ad esempio. È il sogno di Bossi ma anche l’incubo di Berlusconi, sulla cui testa si addensano nubi minacciose, come quella che uscirà giovedì dal palazzo della Consulta. Incubi e sospetti, veleni e coltelli (vedi lo splendido duello Feltri-Sallusti). Eccola l’agenda politica del presidente del Consiglio: non risolvere i guai del paese, ma difendere la poltrona più alta. E il federalismo? Sarà un disastro ma facciamo silenzio, non diciamolo a nessuno. Lasciamo che sia il popolo del web ad accorgersene.
Vi stanno togliendo l’acqua, e moltissimo di più.
lunedì 10 gennaio 2011
IN PIEDI !
BEATI I COSTRUTTORI DI PACE, anche oggi
.."per chi l'ha visto e per chi non c'era e per chi quel giorno lì inseguiva una sua chimera"..
a Verona io c'ero (delegato Caritas): il grido "in piedi, costruttori di pace" di don Tonino riecheggia ancora e per sempre nelle mie vene e nei miei neuroni. E' una delle energie più intense che ho riconosciuto circolare nel mio corpo, sensazione inenarrabile!
Luca
.."per chi l'ha visto e per chi non c'era e per chi quel giorno lì inseguiva una sua chimera"..
a Verona io c'ero (delegato Caritas): il grido "in piedi, costruttori di pace" di don Tonino riecheggia ancora e per sempre nelle mie vene e nei miei neuroni. E' una delle energie più intense che ho riconosciuto circolare nel mio corpo, sensazione inenarrabile!
Luca
APPELLO
Oggi è la giornata mondiale della pace, un richiamo forte al nostro impegno perché ritorni a fiorire la pace sulla Terra.
“In piedi, costruttori di pace”, aveva gridato nel 1990 Don Tonino Bello nell’Arena di Verona, gremita di gente. Come mai oggi si parla così poco di pace in questo nostro paese, sia a livello ecclesiale che civile? In piedi, costruttori di pace, rimettiamo le bandiere della pace ai nostri balconi e impegniamoci per realizzare questo Sogno. Non possiamo fare altro davanti alla spaventosa militarizzazione sia nel nostro paese come nel mondo, che porta sempre a nuove guerre.
La nostra Finanziaria 2011 stanzia 25 miliardi di euro per la Difesa. Il nostro governo ha tagliato nella stessa Finanziaria 8 miliardi di euro alla scuola, ma stanzia venticinque miliardi di euro per le armi!In perfetta sintonia con il Congresso USA che , a fine dicembre 2010, ha votato 725 miliardi di dollari per la Difesa (37 miliardi in più del 2009). Il governo italiano ha poi deciso di investire, nei prossimi anni 16 miliardi di euro per acquistare 131 cacciabombardieri F35 (Joint Strike Fighter). Questi aerei ,che possono trasportare anche bombe atomiche, servono per una guerra di attacco, mentre la nostra Costituzione dice: ”L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA…” (Articolo 11)! Ne abbiamo fatta carta straccia di quell’articolo, in particolare in questa guerra in Afghanistan , da dove continuano ad arrivare le bare dei nostri soldati.”Che si tratti di guerra è ormai certo, sia perché tutti gli eserciti coinvolti la definiscono tale, sia perché il numero dei soldati che la combattono e le armi micidiali che usano, non lasciano spazio agli eufemismi della propaganda italiana che continua a chiamarla ‘missione di pace’ ”,- afferma l’appello Guerra in Afghanistan: missione di pace?, che abbiamo lanciato lo scorso anno con R. Nogaro, vescovo emerito di Caserta. Questa guerra ci costa 2 milioni di euro al giorno, oltre 600 milioni all’anno , per mantenere in Afghanistan 4.200 soldati italiani.
E tutto questo ci riporta al tema della industria italiana delle armi che è l’unica che non risente della crisi economica! L’export di armi italiane pesanti nel 2009 ha raggiunto quasi 5 miliardi di euro (un incremento del 61% sul 2008): siamo all’ottavo posto al mondo. Siamo invece al secondo posto per armi leggere che esportiamo anche nei paesi più poveri dove mietono milioni di vittime. L’industria delle armi trova troppo stringenti le imposizioni della legge 185 (del 1990) che regola l’export bellico. Per questo sta premendo sul governo Berlusconi perché la modifichi. Ma anche le ‘banche armate’ cioè quelle banche che finanziano la vendita dei nostri prodotti bellici , fanno pressione per modificare la 185 per impedire che vengano rivelati i loro nomi .Noi invece chiediamo a tutti di fare pressione sul governo per evitare qualsiasi modifica alla 185.
Questa politica guerrafondaia italiana riceve ora un’ulteriore spinta dal vertice NATO di Lisbona (19-20 novembre 2010). La NATO, da alleanza difensiva , è diventata alleanza offensiva , per proteggere gli interessi vitali dell’Occidente ovunque siano minacciati, facendo proprio il concetto di “guerra preventiva”. A Lisbona nasce così la NATO 3.0 , una NATO che si propone su scala planetaria. L’Italia gioca un ruolo fondamentale in tutto questo. Avrà sempre più importanza il quartiere generale della Forza congiunta alleata a Napoli che quest’ anno si trasferirà da Bagnoli alla nuova sede di 85.000 mq2 di Varcaturo. Senza dimenticare che sempre a Napoli è stato collocato di recente il quartiere generale di AFRICOM cioè il supremo comando militare navale per l’Africa. A Sigonella (la grande base USA), in Sicilia, entrerà in funzione il sistema Ags, il più sofisticato sistema di spionaggio elettronico. Sarà allo stesso tempo potenziata l’intera rete delle basi USA in Italia , da quelle di Vicenza, base della 173° brigata autotrasportata a quella di Aviano dove probabilmente saranno concentrate tutte le bombe atomiche USA in Europa.Infatti il vertice di Lisbona ha dichiarato che la NATO è una potenza nucleare e “deve mantenere tali bombe finché ci saranno nel mondo tali armi.”
Questa insistenza sulle armi nucleari spaventa : la Bomba atomica è la grande minaccia che pesa sull’umanità.
E lo ‘Scudo- Anti Missili’ approvato per l’Europa dal vertice NATO di Lisbona , non fa che accrescere la paura e la tensione. Il nostro è un mondo sempre più militarizzato: nel 2009 abbiamo speso in armi, a livello mondiale , 1.531 miliardi di dollari (dati Sipri). Davanti a questa follia umana noi invitiamo i cittadini italiani e le comunità cristiane a dire NO a questi venti di guerra e SI ai venti di pace.
Chiediamo a tutti di rimettere ai propri balconi la bandiera della PACE per far sì che il 2011 diventi l’anno della PACE. Sarà l’anno che vedrà la 50° marcia della pace Perugia –Assisi (25 settembre), ideata dal teorico della nonviolenza attiva A. Capitini. Sarà l’anno di due significativi eventi religiosi per costruire la pace: una Convocazione Internazionale Ecumenica sulla pace che si terrà dal 17 al 25 maggio a Kingston, in Giamaica, convocata dal Consiglio Ecumenico delle Chiese e un vertice dei capi delle grandi religioni mondiali a ottobre, proprio ad Assisi, su proposta del Papa Benedetto XVI. Non ci sarà pace sulla Terra se non ci sarà pace tra le grandi religioni.
E allora nella tradizione dei grandi profeti italiani di pace, anche noi gridiamo:
“IN PIEDI, COSTRUTTORI DI PACE”
Alex Zanotelli
sabato 8 gennaio 2011
AlReves: Cile
Sebastián Piñera,
il Berlusconi d’oltreoceano
L’identikit
del mandatario cileno secondo le nuove rivelazioni di Wikileaks
Neppure
il presidente del Cile, il plurimilionario affarista Sebastián Piñera, è stato
risparmiato dal terremoto provocato dalle scottanti divulgazioni di Wikileaks.
Il quotidiano spagnolo “El Pais” ha pubblicato lo scorso dicembre alcuni stralci
di documenti diplomatici dell’ambasciata statunitense a Santiago, dai quali
emerge nettamente il profilo dell’attuale mandatario del Cile, in carica dal
marzo del 2010.
Secondo
un rapporto del 9 ottobre 2009, redatto dalla funzionaria statunitense Carol
Urban, Piñera viene descritto come “un uomo d’affari scaltro e risoluto che
tende ad assumersi molti rischi […]. In passato è stato coinvolto in numerose
vicende giudiziarie circa la natura dei suoi affari, tuttavia gli elettori non
paiono particolarmente interessati alle accuse mosse nei suoi confronti”*.
Tra
le diverse accuse a carico del presidente, il rapporto cita - in particolare - quelle
riferite al periodo in cui Piñera occupava un posto nel Consiglio di
Amministrazione della Banca Talca, prima di candidarsi e votarsi alla politica:
“come altri istituti di credito durante la crisi finanziaria, la Banca Talca concesse molti
crediti a rischio, i quali in un primo momento avevano portato benefici
apprezzabili ma che, alla fine, condussero l’istituto alla bancarotta”*. Ciò
nonostante, Piñera e gli altri manager andarono ben oltre alle tipiche manovre
finanziarie “poco ortodosse” in voga in quell’epoca. Oltre ad approvare crediti
assai dubbi, crearono dozzine di false compagnie alle quali concessero prestiti
bancari, utilizzando in realtà questi fondi per comprare più azioni della
stessa banca.
Al
di là delle sue spregiudicate azioni da “pescecane della finanza”- appellativo
che si è guadagnato grazie alle cause pendenti nei tribunali cileni e
statunitensi che lo hanno consacrato come un vero campione della speculazione
di borsa -, il capo del primo governo di destra eletto dopo il 1958 continua a custodire
nel suo portafoglio la proprietà di Chilevisión (una tra le più importanti reti
televisive del paese) e della LAN (la compagnia aerea cilena privatizzata
durante la dittatura di Pinochet). E tutto ciò, nonostante la promessa
pre-elettorale di vendere tutte le sue azioni milionarie, per risolvere la
questione del “conflitto di interessi” originato dalla sua elezione a
presidente. Una promessa che difficilmente sarà in grado di onorare, a
giudicare anche dai lauti guadagni che ad oggi sta percependo dall’aumento
delle quotazioni delle sue aziende.
Fin
qui e senza dover andare oltre, saltano all’occhio molte analogie e
similitudini con la situazione politica italiana. In effetti dal suo alter ego di casa nostra, Silvio Berlusconi,
lo spregiudicato Piñera sembra aver copiato proprio tutto: i toni, i contenuti,
gli slogan elettorali e le promesse impossibili, come la creazione del fatidico
“milione di posti di lavoro”.
Corre
anche voce che i due siano diventati addirittura amici, sebbene il presidente
cileno non lo abbia mai ammesso pubblicamente, forse un po’ per vergogna, visto
che il Cavaliere a livello internazionale non è esattamente considerato un
modello da prendere come esempio…
Ma
tornando alle rivelazioni di Wikileaks, in un altro dispaccio dell’ambasciata
degli Stati Uniti a Santiago, datato 22 gennaio 2010, viene fatta un’analisi
più dettagliata della figura del neoeletto presidente. Oltre a ribadire alcuni
dei suoi “exploit” da avventuriero della finanza, il rapporto lo definisce con toni
più elogiativi “un milionario istruito ad Harvard [anche da questo dettaglio si
evince la sua matrice ideologica neoliberista, ndr], cattolico conservatore,
anti-Pinochet e grande faticatore, noto per lavorare tutti e sette i giorni
della settimana”*.
Dunque,
a giudicare dal tono di questi dispacci diplomatici, ai funzionari statunitensi
“il presidente delle buone azioni” - come lo definiscono ormai molti cileni, chissà
forse alludendo appunto alle performance dei suoi titoli in borsa - sembra,
tutto sommato, non dispiacere affatto.
La
Casa
Bianca
non pare nemmeno ostile (e come potrebbe essere diversamente?) alla nuova
squadra di governo “padronal-imprenditoriale” di Piñera, nella quale spiccano
tre illustri laureati nelle più famose università nordamericane, i degni
rappresentanti del neoliberismo “alla cilena”. Lo stesso sciagurato sistema
economico che, a partire dalla dittatura pinochetista e proseguendo attraverso
i 20 anni di governo del “centrosinistra” della Concertación, ha avuto l’unico
merito di smantellare lo stato sociale allargando paurosamente la “forbice” tra
ricchi e poveri.
Note: *Wikileaks: "Piñera amministra la politica ed i suoi affari al limite dell’etica e della legge", dal sito de “La Tercera” – 27/12/2010.
Iscriviti a:
Post (Atom)